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L'eterno labirinto

Raccontare esperienze , emozioni ed ogni altro sentire.  Questo è il nostro laboratorio Maria
 
Percorri corridoi, pareti colorate che scivolano sulla tua retina come paracarri in corsa. Camici, visi di medici e infermiere, poi letti. Pazienti in attesa. Lenzuola, simili a pagine bianche avvolte attorno a corpi che comprimono, infagottano, schiacciano. Fogli, cartelline, radiografie, flebo che stillano gocce. Tubi di plastica che fanno da contrappunto a altri tubi di metallo lucido, quelli di aerazione, di riscaldamento. Grovigli di cavi. Funi che salgono e scendono con le loro gabbie colme di parenti in visita. È il teatro della sofferenza, che si muove, si anima.
Suoni, luci, quasi un bigliardino elettronico, un flipper. Entri e esci da questo percorso labirintico, proprio come una pallina d'acciaio che rimbalza sulle sponde, che accende un punteggio che quasi mai ti fa vincere la partita.
Giochi tu, i tuoi parenti, conoscenti e sconosciuti.
L'incidente di turno, il bambino, l'anziano, lo straniero.
Giochi a rimpiattino con la salute, spingi questo flipper scuotendolo fino a che non provochi Tilt. E allora le luci si spengono e in sala scende il silenzio, una cortina fredda legata a un lento scorrere di minuti.
Poi la pausa.
Una nebbia opaca, impalpabile, che avvolge visi ricoperti da mascherine invade il tuo campo visivo. Luci bianche, algide come la temperatura dell'ambiente. Un tavolo che ti raccoglie, ti costringe. La pelle fredda abbandona il tremito spontaneo, si arrende a quelle gocce scure che invadono le tue vene. Scivoli in un buio profondo mentre l'eco dei ferri e le voci in sala sembrano un brusio fuori campo.
Sogni?
Ti sembra di essere piombato nel pozzo dei tuoi giorni passati.
Momenti del ricordo, incastonati come piccoli gioielli, affiorano.

Giorni comuni.

 
Da una finestra scrutar l'infinito
la lontananza che mi siede accanto.
 
Sei luce sei buio sei l'anima inquieta
tormento estasi intensa nel mio cercare.
 
Di te un ricordo un profumo un sorriso
esile suono di voce lontana ora che manca.
 
Crudele il tempo che ora sembra fermato
ancora un giorno una notte ancora.
 
Poi l'alba e il domani sperato distante
il tepore di un sole in un giorno comune.
 
Atlantis

Melodramma 2 - Nero Giaietto

Sono stanca – dico
Così stanca, sai?
 
Ed ho negli occhi un bagliore
di nero giaietto
mentre mi volto
e vado via
 
Con passi lenti e lunghi
arrivo
dove la strada gira
e non ti vedo più
 
non ci vedo più
 
il silenzio
non sarà più doloroso
del nulla
 
 
 

Che Ne Sapete Voi Dell'Amore

Che ne sapete voi dell'amore,
corazzati dalla tranquillità
ordinata e senza sussulti
di chi ha spento il suo cuore?

Che ne sapete voi di lacrime
che scorrono senza freno
portandosi appresso la vita
perché ha perduto il suo senso?

 
      loripanni               

L'adagio

Regalarti le parole senza senso
che si muovono dentro
mi è impossibile
come frenare il lampo di tristezza
quando vai via.

Se il giorno

Se il giorno non cede
parlami di te sotto le spighe
Mangerò i grani della tua angoscia
e di pane fragrante
costruiremo il nostro tempo
 

Mani

Mi soffermo a guardare le sue mani come sono oggi. Mani da vecchio, ma lui vecchio non è. Sono mani scarne, ossute, esili, pallide, divenute stranamente sottili, affilate, sempre fredde.
Stasera è scivolata via la sua vera ed anche il fermanello che doveva tenerla intrappolata al suo anulare perché divenuta troppo larga. L’ho cercata davanti a lui mortificato e dolente, l’ho raccolta da terra e gliel’ho ridata teneramente con un sorriso e un bacio.
Quella vera racchiude due nomi, i nostri nomi, e le date dei due “sì” pronunciati con un trepido e sognante sorriso il primo, convinto e maturo il secondo dopo venticinque anni.
Una vita vissuta insieme a quelle mani grandi e forti, tenere e calde a sorreggermi, difendermi e riscaldarmi nelle lunghe notti d’inverno.
Mani sempre operose in ogni occasione, oneste con tutti, disponibili e accoglienti a chi chiedeva aiuto.
Mani sempre innamorate della sua donna, di me, anche nei giorni no. Mani che hanno  amato con passione e lo fanno ancora.
Mani che hanno saputo accarezzare visi di bimbi, i suoi bimbi, consolare dopo una caduta, incoraggiare davanti alle difficoltà.
Ora quelle mani sono quasi bloccate, non si aprono più completamente, ma sanno sempre abbracciare completamente e… amare completamente.
Quanto le amo quelle mani! Le guardo muta, le fisso con dolcezza, le accarezzo languidamente, voglio riscaldarle quando sono fredde. E le stringo a me.

Per una donna e mai più.

Non vive poichè non morì, come s’intende la pioggia,
solo fu attratta altrove.
 
La vedevo andare ai sacramenti
sulla corsia della quaresima
- in auge i suoi tremori -
portando calibri esatti di passione.
 
Fu una matassa di passi, su tutti i sentieri che andavano dalle rotule ai sogni:
un colpo vero al peso che costò alla terra
una quercia di un secolo scorso;
uno spartiacque a valle, patendo grovigli e inghippi di fretta,
per quell’invaso che trasudò fili come idee
a farmi uomo a stenti.
 
Seppe stare ferma quando l’organo zittì la voce:
tese la mano sul ronzio del mio lamento
e vi lasciò un silenzio semplice
 
ssssst…
 
come ancora mostra la bocca.

Al mercato

Brulicare in andirivieni
senza senso direzionale
in un brusio sommesso
e struscìo di suole a migliaia
interrotto qua e là da voce
professionale amicale e
ruffiana intorno a minime cose
"signo' so' rosse come sangue
l'arance / come miele i mandarini"
accanto a "5 paia di calzini a 5 euro"
in continuazione
nel caotico muoversi tra banchi
dai colori accesi naturali e tinti
urti intoppi e subito impersonali
"permesso - scusi - fa niente - prego
oh! chi si vede - come stai - e la mamma?"
passare e ripassare come a cercare
non trovare e continuare a guardare
e camminare
sbattere pestare urtare inciampare
poco o niente comperare
non importa - serve a non pensare.
 
 

La piazza dei gigli.

 Tutti coloro che vollero la piazza dei gigli
portarono una stoffa bianca
per parlare.
 
Quando si raccolsero insieme,
sventolarono una idea muta che capì anche il vento
passandovi accanto.
 
I contrari non erano al bar, né si dettero per vinti.
 
Cominciò il mormorio da un caso di sollecitudine:
i bimbi avevano innocenze nette;
quelle donne di paese li spinsero a piantarla.
 
Nessuno - e mi si creda: nessuno! - obbiettò sulle fontane;
aspettando le tenebre,
si raccontarono l’innaffiatura di un domani.
 
I contrari, poi, tutto negando, e ancor più adducendo ragioni di luce,
accecarono la notte aggredendola nel buio.
Non si potè quindi il giorno seguente, né il successivo, o il mese del sole;
e fu sempre sera:
per anni
e, forse, ieri.
 
Ora, i bambini della piazza dei gigli,
non possono i giochi dei prati:
con le verdi cortecce stanno alle aiuole
come alberi mancati
 
esposti agli arnesi.

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