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ADP

Al mio gemello, Max Pagani, al quale ho rubato
 
di sana pianta la frase finale di Yarik in ADP1 e il bel
dodecasillabo che fa da titolo e da chiusa a ADP2 .
 
E a Daniele, il mio Yarik...
 
ADP1
 
   Yleana si svegliò all'improvviso. Non c'era nessuna luce. Istintivamente allungò la mano per toccare il corpo del suo compagno, ma incontrò solo il freddo del muro di metallo. Si trovava in un letto singolo. Ma come diavolo...? Scosse con forza la testa, come si fa con un vecchio strumento che non funziona a dovere e finalmente ricordò. Era in missione, un'altra volta. Si sentiva un po' stanca di ritrovarsi in luoghi sconosciuti, ma tant'è. Era il suo lavoro, il suo dovere, non poteva farne a meno. 
 

Si alzò con calma, con la consapevolezza di non sapere ciò a cui sarebbe andata incontro, là fuori. Fuori... Nella stazione orbitale in cui era nata e cresciuta il fuori era letale e magnifico. La danza delle lune intorno al suo pianeta originario, ormai ridotto ad un deserto inabitabile, era uno spettacolo di tale bellezza da essere quasi insostenibile. Per questo i globi visori erano quasi sempre chiusi. Solo gli innamorati, essendo già a contatto con l'infinito, li aprivano, ed anche lei l'aveva fatto quando aveva conosciuto Yarik. Yarik... chissà che starà facendo adesso. Lontano migliaia di anni luce da lei.
 

Gli Anziani non avevano mai rinunciato all'idea di trovare un altro pianeta dove andare a vivere, dopo che avevano distrutto quello in cui erano. All'inizio, era parsa un'impresa impossibile. La svolta erano stati i balzi spazio temporali. Venne creato il corpo degli esploratori, di cui lei faceva parte. Cercavano un pianeta simile al loro, anche abitato: l'inserimento di ciò che rimaneva della loro civiltà non avrebbe comportato troppi squilibri, purché gli abitanti non fossero troppo diversi morfologicamente. Erano appena un migliaio, a vivere nella Stazione. Erano tutto ciò che rimaneva di millenni di storia.
 

Era stata catapultata migliaia di volte in migliaia di posti diversi, ed ogni volta il risultato era lo stesso. I pianeti, un tempo abitati e abitabili, erano stati distrutti dai loro stessi occupanti ed erano diventati invivibili. A quanto pareva nessuno era riuscito a salvarsi. Gli esploratori non avevano potuto nemmeno sbarcare e uscire fuori (Fuori...). Ma questa volta era diverso. Il pianeta su cui si trovava, secondo le vedette, si trovava nella fase pre-distruzione e forse avrebbero potuto fare qualcosa per fermarla e trovare finalmente un luogo in cui vivere. Gli abitanti erano bipedi implumi, proprio come loro. Lei, proprio lei, Yleana, era stata scelta per raccogliere informazioni sul posto. Dopo un attento lavoro di ascolto e studio delle vedette per raccogliere informazioni sulla civiltà che vi abitava, era stata sbalzata nell'orbita del pianeta, da cui era scesa in un posto lontano dagli agglomerati di popolazione che qui chiamavano città. Aveva passato la cosiddetta notte nella navicella, ma adesso doveva uscire.
 

Doveva uscire. Fuori... 
 

Respirò profondamente. Cercò di calmare il battito del cuore, come le avevano insegnato. E aprì il portello della navicella. La luce del sole (il sole...) la invase. Non la luce bianca a cui era abituata, ma una luce dorata, calda, carezzevole. Mosse i primi passi su quel suolo alieno e sentì crepitare l'erba sotto i piedi. Piccoli animali (insetti, li chiamavano) svolazzavano ad ogni passo che lei faceva. Gli... alberi, si, alberi, dondolavano dolcemente al... ecco, vento, era questo il nome. Yleana alzò gli occhi e vide il cielo azzurro...
 

Faticò a riprendersi dalla vertigine di bellezza che l'aveva colta. Doveva stare attenta, sapeva il rischio che correva. Alien Destination Paranoia. ADP. Glielo avevano detto molto chiaramente. Un passo per volta, non dare significati alle cose. Se lo ripete' mentalmente più volte. Doveva stare attenta.
 

Riuscì piano piano a ricondursi in se stessa. Fece un po' di training autogeno, gli esercizi di respirazione. Pensò a Yarik che l'aspettava. Ed iniziò a camminare verso la città. Imboccò una strada asfaltata, molto larga. Era vuota in quel momento. Vedeva da lontano le... case, sì, le case ed i palazzi. Improvvisamente comparve uno di quei buffi veicoli a quattro ruote che aveva visto nei filmati. Dentro, c'era uno di loro. Non poté fare a meno di fissarlo. Incredibile. Erano identici a loro. Questo, somigliava addirittura ad un suo amico, Ragnit, uno che conosceva sin da quando era bambina - come tutti gli abitanti della Stazione, d'altronde.
 

Non si sentiva pronta per un primo contatto ed abbassò gli occhi. La macchina le sfrecciò accanto senza nemmeno rallentare. Era stata fortunata. 
 

Il traffico ora si andava intensificando. Cominciava a vedere sempre più abitanti del posto. Sembravano convergere tutti verso un medesimo luogo - doveva essere il Centro. Magari lo chiamavano così proprio per questo . Si indirizzò anche lei verso quella direzione. Intorno, sembravano tutti andare di fretta. Erano tutti chiusi in se stessi. Alcuni avevano degli auricolari alle orecchie. Altri parlavano tenendo in mano delle strane scatolette. Oggetti per comunicare, le avevano spiegato le vedette. Ma per comunicare con chi? Perché non sembravano affatto interessati agli altri esseri che camminavano vicino a loro, non li guardavano nemmeno. Non li salutavano, non scambiavano parola con nessuno. Il rumore del traffico e di quel vocio autistico si faceva sempre più intenso.
 

Stavolta la vertigine fu più lunga, più profonda. Solo ricorrendo a tutti i meccanismi che le avevano insegnato riuscì a riprendersi. Un passo per volta, non dare significati alle cose. Ce l'avrebbe fatta, aveva una missione da compiere. 
 

Si ritrovò in una piazza. Migliaia di persone, di esseri umani camminavano veloci. Sembrava sapessero tutti dove andare, ma l'aspetto era quello di un formicaio impazzito.
 

- Ma cosa ne so io di cos'è un formicaio?, si chiese Yleana. Aveva parlato a voce alta. Un bambino emerse da quella massa indistinta, si voltò verso di lei e le disse: 

- Un formicaio è dove abitano le formiche. Ma tu perché hai quei buffi capelli viola?

Sussultò al suono di quella voce. Guardò il bambino con gli occhi sbarrati. Capelli? Viola? 

- Quante volte ti ho detto di non parlare con gli sconosciuti?, disse l'adulto che accompagnava il bambino. Lo strattonò, trascinandolo via, senza rivolgere nemmeno uno sguardo ad Yleana.
 

Lei rimase lì, ferma. Tremava. La folla sembrava volerla inghiottire, trascinarla chissà dove. Improvvisamente vide tutto nero e pensò - muoio. Sapeva che non sarebbe morta, ma è quello che pensò. Le reazioni vagali cominciarono ad accelerare. Sudava freddo, il suo cuore batteva impazzito, pareva volesse uscirle dal petto. E tutta quella gente intorno, tutta quella gente. Nessuno che la guardasse, nessuno che si avvicinasse. La terra sprofondava. No, non era la terra, era lei. Che sprofondava, sprofondava, sprofondava... Yarik!
 

 
--------------------------------
 
- Yarik, ci dispiace. Non ha retto. Eravamo sicuri che potesse farcela. L'abbiamo recuperata, ma era tardi. Ci dispiace.
Lui quasi non sentiva le parole dell'anziano.
Guardava Yleana, la sua Yleana. E piangeva. ADP. Era quella la diagnosi. Non c'era stato bisogno che glielo dicessero.
Lei era persa in un mondo suo. Stava raggomitolata su se stessa, gli occhi spalancati. Sola. Neanche lo vedeva.

Yarik le fece una carezza, sussurrò il suo nome. Si chinò a baciarla sulla fronte.

- Ti prenderò per mano e ti porterò via da quel mondo, le disse piano. Yleana, è questa la mia missione...

 
 
ADP2 - Essere necessariamente solare
 
Yleana, vieni, non aver paura - disse Yarik.
Quante volte aveva ripetuto quella frase, da quando lei era emersa dalla fase acuta dell'ADP, la Alien Destination Paranoia, che l'aveva colta in quello stesso pianeta in cui si trovavano ora.
Lui continuava a chiamarla paura. Per quanto la amasse non era mai riuscito a capire la sensazione che Yleana aveva provato e qualche volta ancora provava. Un rovesciarsi in un proprio contrario fatto di nero, di buio, di muscoli contratti, di mascelle serrate...
Basta - si riscosse Yleana. Basta.
Ma esitava ancora ad uscire, sentendosi protetta dal guscio della navicella.
Dopo che lei era scivolata nel suo infinito collasso, nel suo personale buco nero alla bocca dello stomaco, un altro esploratore aveva proseguito la sua missione. Lui non aveva avuto problemi. Ed era tornato per dire a tutti quelli che erano nella Stazione che il pianeta era adatto per sbarcarvi.
Benché sovraffollato e inquinato, conservava luoghi di pristina, incontaminata bellezza in cui avrebbero potuto insediarsi. E da lì, dopo la prima fase di adattamento, si sarebbero sparsi per il globo per insegnare agli esseri che lo abitavano, tanto simili a loro, a rispettare la terra che dava loro sostentamento, a non ripercorrere i loro stessi errori.
Erano tutti convinti che ci sarebbero riusciti. Che il "caso" di Yleana fosse stato unico. E poi - si dicevano - loro sarebbero stati tutti insieme, non soli come era stata lei. Così salirono tutti sulle navicelle per compiere i balzi necessari a portarli sul Pianeta.
Fu uno spettacolo vedere i Gusci che sciamavano via dalla Stazione., abbandonando quello che per tanti anni era stato il loro unico rifugio ed i cui corridoi erano ora deserti, le serre idroponiche spente, i gusci visori chiusi per sempre.
Sbarcarono in quella stessa pianura in cui si era ritrovata lei, la prima volta.
Yleana, dai, vieni - insisteva Yarik chiamandola.
Si, arrivo - rispose lei, ma in modo quasi inaudibile, più a se stessa che al suo amato compagno.
Si alzò dalla cuccetta, arrivò al portello e mosse i primi passi Fuori. Come l'altra volta la accolse quella incredibile luce dorata, che giocava con l'erba traendone infiniti riflessi di verde. Mosse i primi passi, mentre tutti la guardavano, preoccupati per lei.
Ma Yleana non vedeva nessuno. Sentiva solo quel calore aprirle piano piano i pori della pelle, snodarle le contrazioni dei muscoli. Obbedendo ad un impulso irrefrenabile, dapprima si inginocchiò, e poi si sdraiò sull'erba, lasciandosi compenetrare da quella sensazione. Finalmente, totalmente conscia del suo essere necessariamente solare.

 
Fine
 

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