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Bach

Vorrei un Dio in cui fosse possibile non-credere. Un Dio che preveda nel proprio decalogo anche la possibilità della sua inesistenza e quindi, per il fedele, l'ateismo. Così di poter essere insieme ateo, oltreché credente. E io sarei o, anzi, io sarebbe il volersi di un Dio che non è, o che ancora non è. In questo volere sé stesso, appunto, egli esisterebbe. Io sarei il Dio che si sta cercando, non solo un Golem nichilista ed in-salvabile...
Ecco cosa potrebbe essere dell'essere: l'affermatività di una ontologia congenerata al polo dis-affermativo del nichil. Un Dio-e-Diavolo interconnessi nella possibilità, nel nesso possibilista dell'io. Così potrei disporre di 3 opzioni, a libitum dell'ora, del sentire, dell'occasione, e cioè credere, mandarmi al diavolo o sprofondare nel niente. Niente, niente...
Nella Thomaskirche di Leipzig, proprio davanti al coro, in fondo alla prospettiva gotica dei pilastri, coronata, in alto, dalla invana fuga dei costoloni, rossi come sangue, me ne stavo nero e cupo, come un monumento funebre, a guardare giù, in terra, afflitto, ai miei piedi, il sepolcro con dentro le ossa antiche di Johann Sebastian Bach. E pensavo che anche lui, persino lui, aveva dovuto morire... morire... morire... essere-non-essere... possibile, im-possibile, assurdo... è assurdo - è assurdo vivere così... oh, San Bach, prega per me...
 
 
Ora Bach, mentre lascia discendere dal suo genio remoto, nel tuo esterrefatto comprendonio, la sua straziante celestiale Passione, ricalca con altrettanto straziante perfezione quella tua, la tua passione, riattizzandone l'altrettanto remota e acuta nostalgia, come si trattasse di alcunché di vero, di possibile, di reale... mentre altro non è se non che il tuo addolorato stupore dinanzi alla incompiutezza di ogni esperienza possibile, dinanzi alla intrascendibiltà d'ogni qualsivoglia fatto compiuto, vissuto, spiritualizzato. Ecco, lui, mercé la sua musa musica, chiama alla vita, in te, qualcosa come il tuo spirito, che tuttavia è un'assenza - un'assenza che ti prende piede dentro non ostante il tuo dissenso, come ci fosse un bersaglio, etereo, impalpabile, al disotto di quel negarglisi, cui solo le note, pur sublimi, di un canto potessero indirizzarsi. 
Ma allora, in quel nulla, nel niente incompiuto e senza conseguenze quale ci figuriamo a noi stessi, ecco delinearsi una sorta di forma del contenuto, come se vi fosse un nesso, in tutto questo, germinale, fondativo, qualcosa di alto da cui farsi discendere, invece di fottersi la vita in un guasto, decadente corrompersi della forma senza il contenuto... 
 

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