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Bacia la pioggia di Peter Manero

Se si pulissero le porte della percezione, ogni cosa apparirebbe all'uomo come essa veramente è, infinita.

William Blake

 

L’aula era strapiena di studenti, il cui chiacchiericcio sovrastava come il rumore delle cascate sul silenzio della natura. E tutto questo, nonostante la presenza accattivante del docente

stravaccato con i piedi poggiati sul bordo laterale della cattedra. Dava un’occhiata all’aula, e una al quotidiano locale che parve interessarlo poco.

Vi entrò un giovane, dal sembiante goffo, occhiali con lenti tonde, capelli scarmigliati e tendente al fulvo il quale cercò di farsi spazio per raggiungere il suo banco.

Un gruppo di studenti che era riunito vicino alla porta d’ingresso, dopo averlo notato, lo additò ridendo sganasciati.

<Il genio confuso!> esclamò uno di loro, in tono di scherno. <Sta tremando solo al pensiero di essere interrogato, oggi. Lo sai che oggi toccherà a te?>

Risero tutti.

<Poverino, lascialo in pace, su...> intervenne una giovane, bella e abbastanza notata visto l’abbigliamento procace.

Lo sguardo del nuovo entrato raggiunse quello di questi, che rideva insieme agli altri cercando di reprimere la sonorità della sua ilarità coprendosi la bocca con una mano. La ragazza, con modalità beffarde, le inviò un bacio con una mano trascinando la ilarità quasi all’isteria.

Non rispose, chinando il capo.

<Vorrei polverizzarmi!> mormorò a bassa voce.

Sentì un fiato profumato provenire dalle sue spalle e raggiungerlo alle narici.

<Non per quelli là, Julian. Non meriterebbero manco una goccia di una tua lacrima.>

Lui si voltò incrociando il viso carino e dolce di Jole, una sua compagna di aula.

Aveva gli occhialini quadrati, sempre con il sorriso sulle labbra, belle e regolari, rabbruttito dall’apparecchio ortodontico.

Lui fece un sorrisetto sbarazzino, mentre Jole gli passò la mano sulla chioma crespa.

<Che c’hai tu da condividere con quella demenzialità? Gilda? E’ la più stupida fra loro, lo sai no?>

Scosse le spalle.

<Fa così quand’è con loro. Nell’intimo, è diversa.>

Jole li scompigliò nuovamente i capelli.

<Si, si. Solo quando deve chiederti di farle le ricerche. Apri gli occhi, tesoro!>

A quel punto, il docente s’alzò attirando su di sé l’attenzione: il chiacchiericcio smise d’improvviso.

Dette una rapida occhiata verso l’auditorium e prese fra le mani il registro. La sua penna che cercava il nome giusto per l’interrogazione, si fermò davanti allle prime lettere dell’alfabeto.

<Il nostro intellettuale.> esclamò una voce femminile dal tono musicale.

Il docente, che continuava ad avere davanti il registro, dette una rapida occhiata a Julian in procinto d’alzarsi, e candidamente gli disse:

<Nessuno t’ha chiamato, Bartoli. Venga la signorina Meleguzzi.>

Julian represse un’esclamazione sofferta, era la sua amata a prendere il suo posto.

<Aiutami, ti prego!> gli si avvicinò ad un orecchio sfiatandogli sulle labbra.

Julian chiuse gli occhi, quasi volesse percepire il sapore dell’eternità.

Un lago, una cascata, e l’ombra ai piedi di un palmeto, la musica Kiss the rain suonata al piano da Yiruma, ogni nota era il preludio di un bacio, di una fusione perfetta, di un intreccio dei respiri.

Le fragranze scambiate, il tatto che si scioglie fra le carezze e le dita che cercano le loro simili per l’incontro dell’unità.

Qualcuno gli bussò alla tempia, era Jole che volle farlo rientrare alla realtà. Era terminata la lezione, Gilda aveva ottenuto un buon voto grazie ai suoi suggerimenti.

<Eravate così belli? Manco t’ha ringraziata. Quella non ti si fila.>

Espresse un sorriso sforzato.

<M’ha strizzato l’occhio.>

Jole scosse il capo.

<Su Julian, andiamo via. Io credo che ci sia solo un luogo ed una persona capace di aiutare questo tuo modo esagerato di sognare.>

<Che male c’è, Jole? E’ il solo modo semplice ed indolore per realizzare la propria realtà, quella che non si realizzerà.>

Jole alzò le spalle, in un movimento sbarazzino.

<Tutto potrebbe realizzarsi, Julian. Basta volerlo. Come la pioggia...>

<La pioggia? Che cosa c’entra la pioggia?>

<La devi semplicemente baciare quando cade.>

<Baciare la pioggia? Che significa?>

Jole fece una risatina, che nonostante l’apparecchio ortodontico, le donava una singolare simpatia.

Uscirono dall’università, fecero un certo tragitto a piedi, mentre Julian l’assilava con una sequela di domande che lei, pazientemente non rispondeva.

Entrarono in aperta campagna percorrendo una stradina non asfaltata, fermandosi finalmente davanti ad una costruzione molto antica, ma ben conservata.

Vi uscì un uomo di mezz’età, che fece un cenno di saluto a Jole e fissò Julian.

<Ha bisogno di te. Ha bisogno di capire...> laconica, esordì Jole.

L’uomo le accarezzò le gote delicatamente che s’avvamparano.

<Lui è Julian, cara?> le disse sottovoce.

Chinò il capo e fece un cenno d’assenso con il capo.

<Aiutalo.> rinnovò il suo accorato appello.

Julian rimase in piedi mentre l’uomo entrò in una vetrata di fianco alla casa.

<Blake parlava di porte delle percezioni come la soglia fra il reale e l’irreale. Fra il sogno e il quotidiano. Quale delle due vivi, Julian?>

L’uomo aveva la voce profonda, non dimostrava alcun accento dialettale che arrivò dritto al cuore dello studente.

<Quella del sogno, signore. La preferisco...>

<Ovvio. Sei completamente diverso da quello che sei, riesci dove qui fallisci. Come con quella Gilda Meleguzzi, bella, svampita, libertina. Ma sei sicura che sia quella giusta?>

Julian sorrise in maniera fanciullesca.

<Forse no. Appunto per questo amo il sogno, lì non c’è l’errore...>

L’uomo aveva raccolto delle foglie, che stritolò con uno strumento che pareva uno spremiaglio.

<O forse, quella giusta è vicina a te, completamente diversa da quella del sogno, ma nella realtà può esserti immortale nella tua anima, il tuo spirito si coniuga nella bellezza del suo.>

Era riuscito ad ottenere un liquido che porse al giovane, il quale non esitò a berlo.

<Tutto ciò ch’è bello... diventa immortale e si fonde in un’unica essenza. Immortale essenza.

Sai quanta bellezza c’è nella pioggia? Percepisci la sua immensità, la sua discesa che si fonde con la grazia di un volo, tu al centro della terra assetata, e ogni goccia dà vita a quel brullore. E tutto ciò che dà vita, proviene da un principio estetico divino.>

Le palpebre del giovane si chiusero pian piano, adagiandosi su di un sofà presente in casa.

<E tu, mentre lentamente ti bagni, baci la pioggia!>

L’immagine in quel momento cominciò a roteare, stringendosi ad imbuto e allargandosi repentino.

Dei rombi s’allargarono all’istante, esaltati da colori intensi come l’azzurro terso, il rosso laterale che pareva s’accendesse come una fiamma, un surrealismo che l’avvolgeva quasi aleggiasse.

Tutto finto e tutto vero. Una sonorità delicata che s’alternava ad una eccessiva teatralità.

Tutto era cielo, come l’azzurro che sovrastava, e tutto era fuoco che s’avvampava.

Poi un marrone spento ai suoi piedi, mentre i rombi eldorado gli s’intrecciavano come le palle dei giocolieri. Era davvero al centro di un terreno arido, dove il cielo era plumbeo e il vento dondolava i rami rinsecchiti degli alberi e senza foglie. Da lontano scorge una figura femminile che si avvicina a lui. E’ Gilda.

Bellissima in tutta la sua splendida eleganza, la sua chioma al vento, il suo sorriso e la sua voce che rispecchiava il canto dei cherubini.

Mentre s’avvicinava, si rendeva conto che ella era partecipe di quel brullore.

Non rendeva alla bellezza il compimento del suo mandato, ad ogni passo lento, felpato, silenzioso, che disegnava il percorso che la separava da lui.

Una mano alle sue spalle gli alliscia i capelli, delicatamente gli solleva il capo, mentre una fitta pioggia comincia a bagnare il terreno, che prende vita, in tutta il suo completo splendore.

Quel profumo che conosceva bene, quella voce che tante volte aveva gradito.

Quel respiro che gli sfiorava l’odorato, che vi entrava fino ad immergersi nella lingua e trasfondere nelle papille il sapore della beatitudine.

Il gusto della beltà di chi vuole intingere la perfezione delle fragranze asperse dalla realtà.

Quel respiro che lo inondava fino allo stordimento, allo svenimento.

La mano che gli aveva pettinato la chioma crespa, portava nella pelle quel profumo che man mano allontanava il brullore che aveva davanti.

Le gocce di pioggia lo bagnavano completamente, sentiva il sapore della bocca di lei che violentava la sua lingua, ormai satura ed ebbra.

Quella mano gli chiuse la bocca, mentre la pioggia faceva il resto!

 

Aveva fatto ritorno all’auditorium, Julian dove doveva tenersi l’ultimo esame.

Gilda gli venne incontro tendendogli la mano, che lui delicatamente respinse involontariamente.

<Non hai il suo profumo...>

Adesso tutto era più chiaro, tutto più nitido, la realtà alla quale sfuggiva stava maturando volgendo nuovi orizzonti che non riuscì a quantizzare.

<Non capisco...> balbettò lei fra gli sguardi inebetiti dei suoi amici che l’accompagnarono.

Lui la fissò allontanandosi e volgendosi a destra e a sinistra.

<Julian!> s’udì chiamare.

<Jole!>

La vide sopraggiungere in un’aura, un cerchio giallo che la circondava ed il suo profumo che l’accompagnava.

Lo fissò intensamente, intimorito del suo sguardo.

<Tutto ok, Julian?>

Ogni palpito del suo cuore era palese, gli occhi di lei avevano nettato dalla tristezza dei suoi.

Le prese il viso per le gote, in silenzio e fra lo stupore della stessa Gilda e dei suoi compagni.

Percepì il respiro profumato di lei e la baciò delicatamente e lungamente.

Entrambi al centro del corridoio, entrambi al centro del loro universo parallelo.

Jole:

<Julian, io non capisco... ch’è accaduto?>

Julian:

<Ho baciato la pioggia!>

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