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A casa del mio ego

Stava nella sua poltrona quasi atono
il bambino di sempre che nello ieri continuato
della nascita mi trovò
già cresciuto a dismisura.
 
Stupito, concavo sul pellame,
supino come un palmo di cerca;
più affranto nell’elemosina di uno sbadiglio,
mostrava la vita glabra di contorcimenti
e peluria smilza ai polpacci fini.
Forse le morse deboli
cadute nei denti erano il mobile baluardo
negli interstizi del suo abecedario di smorfie.
 
Ma stemmo muti. Senza luci. A mostra del peso nullo
di tutte le lingue del dottore.
 
Vai ora, gli avrei detto,
c’è il fuoco vivo nella volta chiarazzurra.
Vai subito a quei muschi, dove vanno le direzioni
a prendersi i passi certi!
 
Vai, potevo dirgli, se solo avessi trovato
un muscolo aperto all’uscita dal petto
 
e lì rimase il cuore carico.

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