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da "La torre di cristallo" - 7

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fine Settembre’97
Roma
Primo pomeriggio
 
 
 
Oggi vuole provarci. Lascerà Giorgio a casa. Solo. E lei se ne andrà alla riunione del Collegio dei Docenti. Con la testa a Giorgio. Nove anni. Si può stare soli a nove anni, no? Tanti stanno soli a nove anni. Lei ci stava. Lei aveva la sorella, però. Mica stava sola. Ma sarebbe stata anche sola. Deve provare. Deve andare. Con la voglia di stare meno possibile, andrà. Spaventatissima. Scema che sei. Si veste, Nora. È ancora caldo. Questo settembre non vuole lasciar andare via l’estate. Resta attaccata ai vestiti, alle macchine coi finestrini sigillati. All’asfalto appiccicoso. Come vorrebbe lasciar andare via Giorgio. Che ne fosse capace.
Ma deve provarci. In fondo che può succedere a lasciarlo solo? Se ne starà in cameretta a sbattersi quella forchetta sulle mani. E a dondolare la testa. Gli ha detto di fare i compiti, ma figuriamoci. Deve colorare una cartina. Magari la colora. Ha lasciato i colori sulla piccola scrivania. Tutti temperati.
Insomma calmati. E sbrigati. Falla finita con queste ansie.
Sta davanti al lavandino del bagno.
Si trucca. Solo un po’ di ombretto verde e un ritocco alle sopracciglia, che da quando da ragazza se l’è sfoltite ora sono davvero pochine. Poco rossetto. E sente qualcosa di strano. Un vorticare di pensieri. No, non sono i pensieri che vorticano. È il lavello. Si muove sotto la sua mano. Il pavimento si muove. Dondola. Una sensazione stranissima di impotenza. Di potenze nemiche. Resta immobile. Sensazione di perdita definitiva di controllo.
- Mamma…
- Giorgio? Eccomi…
Corre in cameretta. Giorgio guarda, occhioni sbarrati, spalle al muro, l’armadio di fronte. Gli sportelli scorrevoli si sono aperti. E si stanno richiudendo. Lui è lontano. Non li ha toccati.
- Non è niente, amore. Dai che vieni a scuola con me. Dai. Ti aiuto a vestirti
Che poi lo veste lei, ché se aspetta i ritmi geologici di Giorgio potrebbero rimanere sotto a tutto il mondo.
- che ciuccede?
- Succede, Giorgio, dice mentre lo veste, no ciuccede. Dai, sei grande. Dai…
- che, allora? Perché devo venire con te. Voglio restare a casa. Voglio. Io.
- il terremoto. Non hai sentito? Meglio che vieni via. Metti che c’è un’altra scossa forte. Vieni con me, dai. Le mani te le lavi dopo. Dai, te li faccio io i lacci. Lascia stare. Lascia.
S’inchina , si mette in ginocchio e lega i lacci. Ecco fatto. Velocissima. Lo sa che Giorgio pensa io non ci riuscirò mai a farli così. E così di corsa. Mai. Ma ci riuscirà. Sicuro che ci riuscirà. Un giorno. A vent’anni. A trent’anni. Ma ci riuscirà. Porca miseria se ci riuscirà.
Una pettinata al volo. E lo tira via. Giù per le scale di corsa.
- …l’ascensore?
- Meglio no. Dai, corri.
 
E sono fuori. Pare che nessuno si sia accorto di niente. La città è tranquilla nel caldo di settembre, rilassata. Solo lei sente una strana agitazione. Ma per strada non può succedere niente. E la casa? Al diavolo la casa. Giorgio è con lei. Il resto può pure sprofondare. Il resto non conta.
- Perché mamma il terremoto?
- Ma che ne so, Giorgio. Mica so tutto io. Si vive anche senza sapere tutto. Ecco l’auto, dai, muoviti.
Lo tira. Lo catapulta sull’auto, poi sale lei. È pieno. Si mette in un angolo e gli fa da scudo. Si prende tutti gli spintoni e li ammortizza. A Giorgio non deve arrivare niente. Già è abbastanza spintonato da dentro.
 
Nessuno pare si sia accorto di niente. Vero. Non ne parlano. Certo, sull’auto. Là il terremoto non si sente. Giorgio sta zitto. Chissà se pensa. Che pensa. Nora certe volte vorrebbe entrargli in testa. Come un tarlo. Come una minuscola cinepresa. E filmare tutti i suoi pensieri. Assimilarli. Capire i meccanismi e oliarli, farli scorrere meglio. Fargli scorrere meglio tutta la vita che sembra inceppata. Va avanti a scossoni, come questo cavolo di auto che sobbalza. Ma da qualche parte arriva, l’auto. Da qualche parte arriverà anche questo povero figlio. È così bello. Chi direbbe che è tutto a rovescio. Chi direbbe che ha un mondo di carta in testa, tutto suo. Stropicciato e illeggibile. E ci cammina come un pupazzo. E non sa.
- Prepariamoci, dai, che scendiamo.
È sempre imbambolato. Sempre a rallentatore. Come se la vita gli arrivasse sempre un po’ dopo. Un attimo dopo. Un giorno dopo. Una vita dopo.
Scendono.
È bello camminare nel tepore del pomeriggio. Chissà le colleghe che diranno. Non hanno mai visto Giorgio. Sarà dura. Tutti i sorrisetti. E le domandine. E come ti chiami e chissà se lui risponde. Risponderà lei. Farà lei per lui. E poi ciccia!
Mica poteva lasciarlo a casa.
 
A scuola ci sono già i soliti crocchietti. Tutti che sbuffano. Tutti che vorrebbero starsene ancora a godersi i rimasugli dell’estate invece di stare qua a programmare. Poi, programmare che. Ognuno, in classe, chiude la porta e fa quello che vuole. Quasi, almeno.
- Carino? È tuo figlio?
Angeletti guarda con il solito sorrisetto finto amichevole. Stronza, pensa Nora. Chi vuoi che sia.
Le sorride comunque
- No, mio fratello.
- …come ti chiami, carino?
Eccola là. E Giorgio sicuro che non risponde. Nora gli tira una mano
- dai, diglielo. Mi chiamo Giorgio. Si chiama Giorgio. Scusa, ma vado.
E svicola verso la sala riunioni. Si va a sedere. Giorgio dietro come un cagnetto bagnato. Siede davanti, nella fila davanti, Giorgio vicino.
- Sentito il terremoto?
La Vigorelli si siede accanto a lei. Va bene così. È una brava collega. Non è di quelle che rompono. Nora è contenta.
- E sì, sentito. Volevo lasciare Giorgio a casa, ma
- Fatto bene. Meglio avercelo dietro.
Giorgio si alza. Stai seduto, dice Nora. Ma lui niente. Si va a mettere in fondo alla sala. La Preside apre la riunione. Nora si gira a guardare. La Preside comincia il suo lunghissimo intervento demagogico. Le solite palle. Meglio se si fosse messa in fondo. Giorgio comincia a correre. Corre e batte le mani. Lei è intrappolata tra le sedie, ormai tutte piene. Frigge. Fermo Giorgio, pensa. Fermati. Ma quello niente. Corre e corre. E batte le mani.
Quasi copre la voce della Preside. Che la guarda compassionevole. Pare dica non si preoccupi, professoressa. Lo sappiamo che suo figlio.
Lo sappiamo. Lo sanno. Tutti pensano così, sente Nora. Con rabbia. Sente caldo. Resiste seduta. Ma non sente proprio una parola di quello che si dice. Forse hanno difficoltà a sentire anche gli altri. Poi si alza
- Scusa. Scusate, dice, e passa tra le file di sedie, verso il fondo della sala. Giorgio la guarda, si ferma, poi ricomincia la sua corsa contro il tempo, contro la vita, contro tutto e tutti. Forsennata e sconclusionata. Sgangherata. Lei riesce a prenderlo. Gli stringe forte un braccio
- Adesso basta. Fermati. Vieniti a sedere. E lui comincia a strillare. Che no, non vuole. Non si siede. No e no.
Dall’altra parte della sala arriva la voce della Preside. Microfono attivo.
- Professoressa, se vuole…può andare. Vada pure. Vada…
Lei sorride. Ha una bella faccia la Preside. Capisce. Lei le sorride. E vorrebbe metterci tutto in quel sorriso. Forse ce lo mette. Tutti la guardano e loro se ne vanno. Mano nella mano.
- Beh, bravo Giorgio. Stavolta mi sei proprio piaciuto. Ci hanno fatto lo sconto, visto? Adesso andiamo a comprare il pallone nuovo. Contento?
Giorgio non risponde. Chissà dove sta con la testa. Ogni tanto se ne va con la testa. Ogni tanto. Ma non sempre. E stavolta le è piaciuto. In fondo se ne volevano andare tutti e due. E se ne vanno. Nel primo pomeriggio di settembre, con un cielo azzurro, azzurro e un bel pallone da comprare. Viva!
(by poetella)
 
 
 
 
 

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