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Febbricitante in fondo a un letto
non riuscivo (pur tra stenti convocandomi)
a spegnere la fiamma lingueggiante
in cresta a un moccolo di candela
a occhio ormai balbuziente.
Una falena entrando
ricoprì d’ombre giganti
le pareti e il soffitto.
D’uno strascico sedie e tavoli.
E andò lei a spegnerla con la sua morte.
Attratta, sedotta.
Mania kamikaze.
Mistero samurai.
Forse “è stata morta”
la milite ignita di parusia.
Zia Dora che tutto sa mi rassicura:
“Non aveva più un punto di forza
e si è suicidata. Semplicissimo no!?”
 
Falena che ammaini la luce e t’immoli a oscura corona.
Risparmiarsi tu sai che è disperdere. Sperperarsi.
Eri e non sei più -così senza strazio né giudizio.
Frettolosamente traboccare fuggendo la pienezza.
Accogliere di privarsi di sé.
Compiersi seme. Obolo di cibo o di bolo.
Un palpito, un guizzo, un riverbero.
Ah non fossi mai nata, cieca accecata!
Ammutolisco davanti al fuoco
che ti arde a morte.
Non l’ardore di lotta
che ti rischiari e di epifanie ti ravvivi.
Né lo scontro che di esperienze t’affini
con un limìo dentro che duri nella mente.
Vacilla con te una fede, falena!
Frana il tuo credo nello sfrigolio.
C’è tanto da salvare vivendo.
Una lumaca ho osservato strisciare
sul filo di un rasoio e sopravvivere.
E l’ho perdonata. Con l’oblio.

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