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Scritto da © Piero Lo Iacono - Mar, 15/02/2011 - 20:42
Fui delfino,
audace, curioso,
e il mare conobbi
in lungo e in largo.
Un magnifico delfino felino.
Desideroso di carezze sul rostro.
Flessuoso come un collo di cigno.
Grazia e luce. Nivea purezza.
Fui delfino e affini.
Forse bambini da una Circe tramutati.
Dall’anima bambina.
Non pesce né uccello
ma con pinne e becco.
O la mia anima è ancora un bianco delfino
atletico, idrodinamico, sinuoso,
che non ama che giocare
con squali o pescecani
e si fida da finire nei delfinari
a fenomeno da circo.
Quando un tempo sopravvissi
perché coi delfini spartivo il pesce,
uno di loro un’aringa da lui pescata
mi portava in dono
alla stessa ora ogni giorno.
Delfini vorrebbero volare. Me ne ricordo.
Costretti alla superficie.
A mai dimenticarsi di avere bisogno dell’aria.
Delfini regalano alghe alle loro ragazze.
Gli unici fiori in fondo al mare.
E quelle capriolando
come una costellazione
intrecciano
la chioma inanellata di Berenice.
Delfini si spiaggiano nelle spadare,
si lasciano morire a riva vicini l’uno all’altro,
non per naufragio ma per qualche dolore,
che nessuno sa…neanch’io che fui uno di loro.
Noi li aspettiamo i pinnati
a perforargli i fianchi con le fiocine.
A mozzargli la coda per scialo.
Ad arpionarne le carni da lacerare
a colpi di macete e lance.
E la loro bocca anche morti assume una curva
simile a un sorriso. Li ho studiati sulla darsena.
La loro pupilla
nell'occhio acqueo di pianto
rimane sempre a forma di cuore.
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