La spiaggia che non c'è. | Prosa e racconti | Pierre72 | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

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La spiaggia che non c'è.

Sergio si muove a fatica. Avanza barcollando con i passi che affondano nella sabbia e le scarpe che, sollevandosi, sparpagliano granelli per aria.
Con uno sguardo attonito esplora l'area tutt'intorno poi torna a posarlo sulla ragazza poco distante. Da quando l'ha vista - unica presenza in quel posto - ha cercato di avvicinarla. Non vuole farle del male, solo chiederle aiuto, sapere dove si trova.
Lei sembra giocare. Sa di attirare l'attenzione di quell'uomo così stranito, sbucato dall'altura sabbiosa. Di tanto in tanto si volta e sorridente gli tende le braccia. Lo invita ad avvicinarsi per poi, quando arrancando le arriva ad un passo, girarsi e rimettersi a sgambettare dispettosa e leggiadra, tra le calde dune di sabbia rosa. Le sue squillanti risate si diffondono per tutta la spiaggia.
Non è certo con indosso le eleganti scarpe in pelle che può raggiungerla; quelle, anzi, gli sono d'intralcio. Inoltre, non è più abituato a correre. Dopo il matrimonio e con il lavoro in ufficio non ha più svolto attività fisica ed ora ne sente le conseguenze.
Si ferma esausto e boccheggia. Il busto piegato in avanti ed i palmi sulle ginocchia.
«Ma dai, sei già stanco!» Commenta dopo essersi girata e averlo visto piantato.
Non ce la fa proprio più. Scuote la testa, l'affanno non gli permette di parlare.
Delusa storce le labbra. Porta una mano sul fianco. Si riordina i capelli scompigliati dalla corsa e dalla brezza che soffia gradevole dal mare.
È davvero bella. Alta e sottile come le top model. Perfetta nei lineamenti. Il viso delicato e pulito; grandi e lucenti occhi verde smeraldo orlati da ciglia folte; sopracciglia affilate e più scure del rosso dei capelli che scendono lisci fino a metà schiena. Gli zigomi alti le conferiscono un aspetto fiero; le labbra sottili si allargano formando due graziose fossette ai lati della bocca. Il naso leggermente all'insù che arricciandosi stizzito disegna una smorfietta di irresistibile simpatia.
La divora con gli occhi, mentre riprende fiato. All'ammirazione segue in un attimo la percezione di qualcosa di strano, o più ancora, di inquietante che si concretizza in una domanda: chi è. Chi è lei?
Perplesso, si guarda nuovamente attorno, non con l'espressione stordita come poco prima ma facendo più attenzione all'ambiente che si trova davanti. Che posto è quello? Una spiaggia, si risponde. Ma come c'è finito lì?
Si porta una mano sulla fronte, aggrottata nello sforzo di ricordare. Il lavoro, l'ufficio; stava andando lì. Salvetti... il responsabile del settore vendite lo aspettava, c'era l'incontro con i rappresentanti venuti dalla Russia. Un appuntamento importante, cruciale per risollevare le sorti dell'azienda.
Fissa con aria assente un punto sulla sabbia, cercando di riordinare le idee; di capire. Meccanicamente ripete un intero giro su se stesso. Un colpo di vento più forte gli spettina un ciuffo facendolo ballare davanti gli occhi e sventolando la cravatta di seta.
Nota in lontananza, oltre delle dune più alte, una fila di palme con le larghe e basse foglie scosse all'impazzata dal vento che si rinforza.
Il cielo lentamente cambia tonalità: alla penombra grigia che precede l'alba seguono tinte dal rosa al violaceo e poi al bluastro, prima dell'azzurro terso.
Un bianco stormo si solleva in volo all'improvviso, scattante come scosso da una fucilata. Cattura la sua attenzione. Serra gli occhi, li mette a fuoco. Cazzo! I fogli! I documenti da far as-so-lu-ta-men-te (ricorda bene come il Direttore scandiva le sillabe, gesticolando per sottolinearne l'importanza) firmare ai moscoviti!
Impotente li vede allontanarsi, frullando come ali e risucchiati in alto da una corrente vorticosa.
Osserva sgomento la distruzione di un progetto sul quale avevano puntato tutto.
È assurdo. Tutto così assurdo.
Si volta di nuovo verso la ragazza. È bellissima, ripete a se stesso.
Ma perché si trova in quel posto? Su una spiaggia tropicale materializzatasi nel tragitto che da una pianura tappezzata da campi coltivati porta ad un agglomerato urbano. In una regione dove il mare più vicino dista un migliaio di chilometri.
Eppure è lì. Sempre più attratto da quella donna.
Ma Ada. Lui ha Ada, sua moglie. Ed ha Chiara, la gioia della sua vita, che l'aspetta fremente per uscire col papà, andare al parco a gettar briciole alle anatre. Lui ama Ada. L'ha sempre amata. Non l'ha mai tradita.
«Ada. Uff, Ada! » Fa lei visibilmente infastidita mentre si avvicina. Ha letto nei suoi pensieri. «Ada, Ada, Ada, Ada, Ada.» Lo ripete spazientita.
Poi inizia a volteggiargli intorno. Intraprende una danza muovendosi con una grazia tale da farla sembrare sospesa in aria; coi piedi che sfiorano appena la sabbia e le braccia lunghe e sottili che mimano il batter d'ali.
«Ada... Ada... Ada...» la nenia continua, ora in tono più sereno. Un sorriso le abbellisce ancor di più quel viso incantevole. «Ada...»
Si ferma e lo fissa con insistenza per poi provocarlo con i sinuosi movimenti del ventre, degni di una danzatrice orientale. Con le dita si sfiora i seni, il collo, le orecchie. Le infila tra i capelli portandoli in su, e quando apre i palmi al cielo ne lascia ricadere le ciocche sulle spalle e lungo la schiena.
Si avvicina lenta e con passo felpato. «Sono io la tua Ada.» Sussurra ammaliatrice.
«Sono io... » ora le mani scorrono sulla giacca di Sergio; porta la bocca a sfiorare l'orecchio dell'uomo «...la tua Ada.» Un brivido gli percorre la schiena. La pelle della ragazza ha un sapore di innocenza, nonostante i suoi modi intriganti.
Il biascichio delle labbra, il suono sommesso che ne fuoriesce, il respiro che gli scivola sul collo quasi lo stordiscono. Sa che lei non fermerà il suo approccio - e in fondo lo spera. Quel corteggiamento è difficile da respingere, del resto neanche vi si oppone. Diventa anzi curioso, vuol conoscere il suo gioco. Sottostarvi.
Lo afferra dal bavero e lo spinge giù. Lui si lascia cadere. Le ginocchia si piantano sulla sabbia. Le sottili e soffici dita gli scorrono lungo il viso, accarezzandolo e ramificandosi tra i capelli; si innervosiscono per tenergli salda la testa. Si avvicina portando la pancia a contatto con la sua faccia; le labbra secche le toccano l'ombelico mentre lei massaggia la nuca e gioca arricciando alcuni ciuffi.
Sergio chiude gli occhi e, stanco di interrogarsi, si rilassa voltandosi lentamente su un lato. La guancia si struscia beata su quella morbida pelle.
All'iniziale turbamento, seguito dalla curiosità e dall'abbandono, subentra ora la complicità. Ogni aggancio con la realtà, il lavoro e soprattutto il pensiero di moglie e figlia, si disintegra quando lei porta le mani ai fianchi e con un gesto elegante scioglie, tirandoli, i sottili lacci che tengono uniti i due triangoli del pezzo inferiore del bikini che scivola leggero posandosi tra i piedi.
Si concede un profondo respiro e prende a baciarla prima che lei ritorni a guidargli i movimenti della testa. Inizia con teneri tocchi di labbra intorno all'ombelico, poi scende sul pube. Si posa con delicatezza sul 'monte di Venere'. Incontra una soffice peluria dal colore di un rosso più chiaro di quello, ramato, dei capelli. Si sofferma sulle grandi labbra, poi s'inoltra a sfiorare quelle più piccole. Lei, scossa da un fremito, si piega leggermente in avanti, afferra il capo tra le mani e lo spinge verso di se invitandolo ad affondare.
Il gentile e costante movimento dell'uomo è accompagnato dal mugolare sommesso e dai respiri spezzati della ragazza che poi si scosta e s'inginocchia. Sono ora faccia a faccia e si baciano con ardore. Lei continua a stringergli i capelli nei pugni. Si distendono sulla sabbia. Nell'impeto dell'incontro si ritrovano dalla sommità di una duna a lambire le onde che si spengono sulla battigia.
Sergio, ormai sciolto da qualsiasi legaccio mentale, è pronto ad andare oltre. Lo scambio vibrante di quei momenti s'interrompe però quando lei, con un gesto repentino ed inaspettato, gli affonda i denti sulle labbra.
L'atmosfera è fenduta dal suo improvviso sbottare. Confuso ed eccitato sposta la ragazza che aveva su di se e, mettendosi di fianco con il gomito poggiato a terra, si porta una mano sulla zona colpita. Esamina le dita per constatare la presenza di sangue, ma non ce n'è.
La ragazza si risiede sulle ginocchia, poggiando le natiche sui talloni. Riprende quella sua squillante ed aggraziata risata e guarda l'uomo. Riporta dietro l'orecchio i capelli scarmigliati. L'ilarità disegnatasi sul viso la rende ancora più bella e luminosa; gli occhi le brillano mentre si assottigliano, la bocca si allarga su due fila di denti bianchi e regolari come perle. Si rialza e sempre ridendo si porta le mani dietro il collo. Con un bisbiglio richiama l'attenzione di Sergio che si volta, infastidito per il morso, e vede anche la parte alta del bikini cadere lungo quel corpo che ora mostra i seni sodi e rotondi, di una misura che li rende in perfetta armonia con tutto il resto.
La stizza dell'uomo svanisce lasciando posto ad un sorriso. Sorpreso e compiaciuto della visione.
«Che pazza che sei. E che pazzo sono io. Non so nemmeno se esisti, o se ti sto immaginando.»
«Immaginando?» replica lei «il morso al labbro però l'hai sentito...»
«Sentito? Cazzo quas...»
«Non dire parolacce!» Lo squadra fintamente severa.
«Beh, quasi ti restava tra i denti!»
«Ma smettila! Non si vede niente.»
Lui non ribatte. Seduto porta a se le ginocchia poggiandovi sopra gli avambracci. Fissa insistente quella bella ragazza scuotendo il capo, incredulo di tutto ma ormai piacevolmente rassegnato, ostaggio di quel sogno.
Lei ha lasciato sfumare la risata e volge lo sguardo sulle grandi onde che, come file di guerrieri a cavallo, caricano impetuose verso riva; le creste si arricciano in un brusio crescente che diventa un urlo di battaglia. Guerrieri che si schiantano distanti per giungere agonizzanti tra le sue cosce, quando l'impeto si riduce ad una carezza schiumosa. Ne accumula fino a riempirsi i palmi delle mani incavati e se la versa addosso. Rivoli di acqua di mare le scendono dal collo sul petto, disegnano scie luccicanti man mano che scorrono sui seni e sul ventre, incanalandosi verso quei ciuffi rossi e tornando nel punto dove erano stati raccolti.
Si alza e lentamente incede verso le acque. La figura sinuosa si staglia contro un orizzonte celeste che pare esser stato sfumato a tocchi di pastello.
Il movimento delle anche è volutamente invitante per l'uomo che continua a fissarla. In posa come una modella sulla passerella si volta appena, quando basta perché Sergio veda il suo sguardo ammiccante ed il malizioso sorriso sulle labbra.
«Il mare è splendido. Su dai, entriamo in acqua.»
È indeciso, tentenna.
«Ma... così...» allarga le braccia indicandosi l'abito «...non posso.»
«Oh suuu! Vieni... vieni...» si piega chiamandolo con l'indice, mentre l'altra mano raccoglie acqua che si getta sulle spalle curvate e sui seni. «Facciamo l'amore tra le onde. Vieni...»
Procede all'indietro. È immersa fin sopra le ginocchia. L'uomo scuote il capo, confuso e sempre più tentato. Lei si gira e si getta in avanti, infrangendo il muro d'acqua di un'onda e scomparendo nel flutto.

***
«Ma dove cazzo sei!» Salvetti picchietta nervosamente la penna sul piano di lavoro, tappezzato di fogli sparsi disordinatamente. Aspetta che all'altro capo dell'elegante telefono rosso cromato qualcuno risponda.
La voce registrata lo avvisa dell'indisponibilità della persona chiamata. Mette giù visibilmente infastidito. «Se mi fai saltare quest'affare... ti ammazzo.»
Esce di corsa dall'ufficio, che la parete vetrata in policarbonato compatto inonda di luce naturale, e si infila nell'ascensore che sta per chiudersi. Nell'uscirne in tutta fretta scosta bruscamente due donne in attesa davanti i portelloni a specchio. Si voltano verso il responsabile e i loro sguardi saettanti, conditi da un commento poco lusinghiero, lo accompagnano finché non scompare oltre l'ingresso del palazzo.

***
Sergio fissa le onde che si accavallano, si rincorrono ed infrangono sulla battigia per poi, subito dopo, ripetere quell'eterno movimento. I suoi pensieri sballottati dal moto cadenzato e confuso, come i relitti di una barca che credeva sicura.
Si alza inquietato da un altro, improvviso, pensiero. È da un po' che lei si è infilata in quell'ammasso di acqua furiosa e schiumante. E non la vede riaffiorare.
Gli occhi si stringono e sulla fronte si formano delle rughe. Aguzza lo sguardo sperando di vederla. Si porta una mano all'altezza degli occhi per ripararli da un Sole che emana raggi molto luminosi ma senza calore; con l'altra mano si allenta la cravatta.
Fissa per diversi secondi quell'orizzonte reso tremulo dal continuo nascere e spegnersi di creste bianche, ma della ragazza nessun segno. A furia di allentarlo il nodo si è sciolto e la cravatta gli pende dal collo. Preoccupato si inoltra nell'acqua dopo essersi levato le scarpe con due rapidi gesti della mano. Dalla foga con cui vi entra sembra deciso a calarsi e colmare ogni distanza pur di recuperarla, ma si blocca di colpo. E resta immobile, indeciso, con il mare che gli schiaffeggia le gambe.

***
Ha appena superato il cancello automatico. Attende che parta l'ennesima chiamata sul cellulare. Lo sguardo, nel suo vagare nervoso, cade sullo specchietto retrovisore dove si riflette il lampeggiare arancione del faretto di chiusura dopo il passaggio della Golf rossa.
Un'altra imprecazione all'ennesimo, infruttuoso, tentativo ed un sospiro spazientito. Dovevano incontrarsi loro due, soli. Prima di vedere i russi bisognava aggiustare dei dettagli. Poi, lui e Sergio, sarebbero scesi in campo, a giocarsela alla grande.
Percorre il tragitto dagli uffici in direzione dell'abitazione del collega. All'altezza dell'imbocco della Provinciale, costeggiata in entrambi i lati da file di pioppi, il cellulare prende a squillare. Lo abbranca, sfila l'antennina tirandola coi denti; risponde con sollievo senza neanche sbirciare il display, convinto di sentire la voce che cerca, magari implorante perdono per il ritardo.
«Salvetti!» un vocione tuona dall'altro capo. Rotea gli occhi verso l'alto trattenendo una parolaccia.
«Direttore!» Sorride come un'idiota, guardandosi riflesso nel parabrezza. «Come sta?...»
«Dove siete?»
«Sto andando a prendere Main...»
«Sono in aeroporto!» sbotta senza neanche aver fatto caso a quel che gli sta dicendo l'interlocutore. «Dovevate esser qui già da mezz'ora! I russi sono atterrati!»
«Ehm, sì. Sì Dottore. Saremo là non appena vedo Maine...»
«Che cazzo gli dico a questi!» lo interrompe di nuovo, con un tono più acceso.
«Direttore, saremo...»
«Si era stabilito che dovevate esserci voi con me ad accoglierli! Che cazzo gli dico a questi? Non so una parola di russo!»
«Ma ci sarà un'interprete con loro. Direttore, se c'è una bella donna, magari una stangona bionda dagli occhi di ghiaccio, alta due metri, è l'interprete. Parli pure. Comunq...»
«Ma porca puttana Salvetti! » Ora è davvero inalberato. «Dovevate esser qui voi a condurre il gioco! Io devo solo firmare i contratti che VOI (accentuando il tono) li convincete a sottoscrivere!». Dà un'occhiata nervosa all'orologio stretto al polso, la mano bene aperta ansima a mezz'aria come a voler spingere con più forza le parole. «Salvetti! Cazzo! Se quest'affare non si conclude saremo tutti... TUTTI con le pezze al culo, chiaro!?!» Chiude.
«Chiaro...» risponde a vuoto mentre rinfila l'antennina premendone il cappuccio contro la mascella nervosa. «E se tro...» si corregge «appena trovo 'sto stronzo e lo porto dai russi e si firmeranno 'ste cazzo di carte allora chi si ritroverà col culo pezzato, caro Anselmi, non sarò io!»
Riprova per l'ennesima volta e risente la voce preregistrata.
«Vaffanculo puttana!» Il cellulare rimbalza sul sedile accanto. Resta illuminato a lungo, con le sagome deformate degli alberi che sfrecciano sul display.
L'auto lascia la strada immettendosi in una viuzza in terra battuta. Già dai primi metri si solleva una scia di polvere al passaggio delle ruote. Percorre un paio di chilometri. Solitario su una sottile linea grigia. Cespugli dai colori sbiaditi dal pulviscolo lungo i lati e sulla destra, parallelo al percorso, un canale scuro e limaccioso che taglia, come una striscia di scotch nero, i campi coltivati.
È giunto davanti la villetta del collega. Un'abitazione modesta, un giardino neanche curato granché in mezzo al quale risalta, tra l'erbetta alta, un'altalena in ferro con il seggiolino dondolato dalle folate di rinforzo della brezza.
Nubi minacciose s'addensano sulle colline in lontananza, come una sorta di presagio. Sul volto gli si delineano rughe di preoccupazione, e di rabbia.
Non può non esserci. Non può perdere l'incontro con quegli idioti barilotti umani pieni di vodka; quelli che ci avrebbero riempiti di soldi. Lo sussurrava proprio un paio di giorni prima sulle labbra della donna che lo ha spinto ad organizzare tutto.

***
«È assurdo.» Ripete Sergio mentre si riporta verso riva resistendo al potente risucchio dell'acqua. Avanza goffamente, con passi pesanti. Sul viso una maschera di angoscia e le smorfie della fatica.
«È assurdo!» Lo urlava in mezzo ad una spiaggia immensa e deserta. Davanti un mare sconfinato e turbolento. Quell'uomo solo e disperato. Un puntino. Un punto interrogativo tracciato su un foglio senza altri caratteri, né prima né dopo. Un personaggio messo in una storia non sua.
«È assurdo! Lei non esiste! Assurdo-assurdo-assurdo!» I polsi martellano sulle tempie, al ritmo di quella scansione ossessiva.
È fuori dall'acqua. Solo le caviglie, affondate nella sabbia bruna e pesante, vengono raggiunte dal residuo delle onde che nell'inseguirlo cancellano le sue orme.
«Non esiste nulla! Non c'è il mare! C'è mia moglie! Ada. Il suo bacio. Il suo profumo. Mi sorride, mi ama. C'è Chiara! Piccola, piccola mia. All'asilo su, poi oggi al Parco! Stringimi forte dai! Wow, così! » È in piena crisi. Si inginocchia, si rannicchia su se stesso. I muscoli tesi, spasmi e brividi dappertutto.
«Non è vero. Questo è un sogno. Io sto andando al lavoro! Da casa mia! Parto. Parto da casa! C'è la strada! C'è l'autostrada! La città! Le fabbrica! Il mio... ufficio! C'è l'incontro coi russi! Se comprano salviamo l'azienda! Devo essere là! In aeroporto!»

***
L'auto riparte a marcia ingranata, slittando sul pietrisco e lasciandosi dietro un nuvolone giallastro.
Era stato preparato tutto alla perfezione. Lei sapeva, ed era d'accordo. Senza passi falsi, senza ripensamenti o scrupoli di coscienza. Non può essercene quando sono in ballo milioni.
L'interesse di alcuni imprenditori di Mosca era l'occasione che cercava. La loro occasione. I conti erano abilmente manipolati. Un incontro, bastava quello. Le firme, la transazione. Un conto corrente estero già pronto per essere riempito. Poi la fuga. Loro tre. Dietro, una scia di denaro a seguirli, servirli, realizzarne i sogni. Sogni che si innalzavano sulle macerie di quelli altrui distrutti.
Rimorsi? No. In fondo se lo meritava. Aveva dovuto iniziar subito a 'leccar culi' in quell'azienda dove, dopotutto, si era presentato con le credenziali in regola per fare carriera. Ma vedersi puntualmente scavalcato dai ruffiani che ne sapevano molto meno di lui era diventato sempre più insopportabile.

La Golf continua a rombare in un frenetico via vai sulle strade, ripercorrendo i possibili tragitti fatti da Sergio per andare, dopo aver lasciato Chiara alla materna, in ufficio. Da lì poi avrebbero raggiunto lo scalo ed accolto i russi.
Lei non poteva averlo tradito. Si amavano. Se l'erano ripetuti fino alla sera prima, nudi ed avvolti da un morbido lenzuolo nel suo appartamento in centro, rifugio dei loro incontri adulterini tra sesso e pianificazione. La luce soffusa di una lampada da parete allietava la penombra. Dava un senso di quiete alla camera da letto, mentre stretti in un abbraccio si sussurravano, in un gioco fanciullesco, tutti i lussi che si sarebbero concessi da lì a poco, e per sempre.

«Non trovo Sergio. »
«Che significa? Dovevate essere insieme, a quest'ora. » Da un'occhiata al sottile orologio in oro che porta al polso.
«Già. » Alcuni attimi di silenzio. «Dovevamo. »
«Che hai? » si scosta dal ripiano dei fascicoli, il viso mostra le rughe della preoccupazione sulla fronte, le sopracciglia si allargano perplesse. Si avvicina alla finestra, dove la sua immagine si riflette nel vetro, mentre lo sguardo si perde oltre l'orizzonte ondulato delle colline.
«Non so cosa pensare. È sempre stato puntualissimo, e proprio oggi che... Lui sparisce così, senza lasciare un segno. Come t'è sembrato stamattina? »
«Normalissimo. » Le labbra si schiudono accogliendo nervosamente una sigaretta. «Affettuoso, allegro, gentile. Come suo solito. »
«E tu? »
«Io cosa? »
«Gli hai detto qualcosa? »
«Cosa diavolo ti salta in mente! » Infastidita scosta la testa per non soffiare il fumo sul vetro. Le mascelle accennano ad irrigidirsi.
«Niente, niente. Pensavo che... forse, involontariamente... »
«È stato tutto come al solito. Tutto dannatamente uguale a... sempre! Ed è anche per questo che non vedo l'ora di lasciarmi tutto dietro. »
«Il direttore ha chiamato dall'aeroporto. Gli interessati all'affare sono lì e lui non sa come trattenerli. Sergio ha con se tutte le carte... » dal microfono del cellulare si sente lo sfrecciare delle altre auto. «Se l'incontro e la vendita saltano finiamo nei guai! Tutti! » si passa nervosamente le dita tra i capelli, con la vista aguzzata a scorgere un segnale che possa svelare la presenza del collega.
«Sparire così. È assurdo. » Sospira pensierosa, le stesse dita che reggono la sigaretta passano sulla fronte aggrottata.
«È successo qualcosa. Un incidente. » Pronuncia quelle parole chiudendo gli occhi, angosciata. Un groppo le si blocca in gola.
«No. È tutto tranquillo. Ho percorso la strada da casa vostra agli uffici. Ho fatto quella opposta, sono passato dall'asilo dove lascia la fi... vostra, figlia. Niente. Sembra essersi volatilizzato. »

Chiara l'ha portata lei quella mattina in asilo. Sergio le disse che sarebbe partito prima perché avevano, lui ed il responsabile delle vendite (pensava non lo conoscesse, non le disse neanche il nome), un importante incontro con affaristi venuti da lontano. E che se fosse andata bene tutta l'azienda si sarebbe risollevata. Lo spettro della cassa integrazione, o peggio ancora del licenziamento, che aleggiava da mesi soprattutto sulle teste dei lavoratori meno qualificati di lui, ai quali teneva, sarebbe svanito. Era così, generoso ed altruista. Poteva aspirare a posti molto più gratificanti di quello che aveva. Molto più in gamba di Salvetti si accontentava di fargli da consigliere e subalterno. Era merito suo quel contratto, aveva studiato tutto nei minimi dettagli. Buffo.
Salvetti aveva pensato al resto. Pianificato come far confluire il denaro dei truffati nel deposito d'oltreoceano ed il piano di fuga una volta concluso l'affare. E lei lo conosceva, eccome. Un idiota, un pallone gonfiato utile solo per il fatto di poter accedere al conto della ditta e spostare all'estero quei soldi.
Uno così faceva proprio comodo: pieno di grana e con la voglia di godersela. Piuttosto che un ingenuo senza aspirazioni e con la cultura del sacrificio; con una quotidianità fatta di rinunce per inseguire un lontano e modesto futuro da pensionati. Suo marito la faceva sentire da pensione già a trent'anni.
Sì, lei e la piccola Chiara ci avrebbero guadagnato andandosene.

Dalla finestra dell'ufficio (dove svolge il modesto lavoro di segretaria per una ditta di scambi commerciali) osserva il fluire di auto lungo la via centrale della città. Quello sfrecciare di veicoli porta lontano da lei gli inquieti pensieri. Abbassa il capo, torna al suo lavoro.
Salvetti continua a girare come un pazzo. Senza nulla in mano come può presentarsi all'aeroporto? Potrebbe solo mettersi loro di fronte e guadagnar tempo, sperando che il latitante spunti come la cavalleria tirandolo fuori dai guai. E che poi nei guai ci finiscano tutti gli altri poco importa.

L'assurdo non si cura dei piani prestabiliti dagli esseri umani.

***
Sergio è ancora rannicchiato, in preda al delirio; con le mani strette alle tempie e con un convulso e nervoso vibrare del corpo. I vestiti inzuppati e gocce che stillano dai tessuti macchiando la sabbia dorata. L'aria impregnata di salsedine.
Un'ombra lenta lo copre in parte. Una mano si posa, delicata, sulla spalla. L'altra gli accarezza il volto, poi le braccia lo avvolgono e se lo portano al petto. Un sorriso luminoso ed un sussurro si espandono dolcemente. «Sono io la tua Ada. »
La osserva silenzioso, gli occhi stretti in uno sguardo implorante risposte che lei non sembra sapere, o volere, dare.
Il Sole segue inesorabile il suo tragitto. Senza riuscire a quantificare il tempo trascorso dal suo spuntare, minuscola sfera pallida oltre il fogliame, si trova ora lontano sull'orizzonte opposto, prossimo ad immergersi in un'acqua che si è tinta del suo rosso acceso.

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