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La triste storia del poeta coniglio

Al lettore appassionato di leggende e di favole farà piacere apprenderne una che in pochi oramai conoscono, ma nota a tutti nei tempi antichi come La triste storia del poeta coniglio.
Parliamo di un’epoca lontanissima e sconosciuta alle cronache odierne, distante pensate ben 125.000 unità di tempo celesti.
Nella città di Roditorium, famosa per le sue fabbriche di costruzione di sogni, richiestissimi dai paesi stranieri, viveva un giovane poeta coniglio. I poeti conigli erano una categoria molto apprezzata dal popolo, la più saggia, tenuta in alta considerazione persino dall’Altissimo Consiglio dei castori, che si rivolgevano a loro quando vi era da affrontare una spinosa situazione riguardante le politiche cittadine.
Parlavamo di Francesco: sì, questo era il nome dello sfortunato eroe della nostra storia. In un mattino in cui i raggi del sole si scolorarono (adesso non me ne ricordo il motivo) si invaghì della bellissima Elena. I due si amarono nel fior della giovinezza allorché un giorno lui, innamorato più del desiderio di esplorare a fondo le lande lunari, di cui era già un esperto conoscitore, partì in groppa al suo drago alato abbandonando l’amata.
“Tornerò presto”, le ripeté tante volte, cercando di sopprimere le lacrime che le bagnavano il candido pelo. E in effetti tornò a Roditorium, ma solo dopo due lunghi anni di assenza, e portando con sé una collezione di pietre lunari da far invidia a qualunque poeta coniglio della Terra. Al suo rientro in città gli venne comunicata la sciagura: pochi mesi prima le serpi del bosco di Clorofilla avevano saccheggiato Roditorium, facendo razzia dei sogni e catturando tutte le donne. Le giovani come Elena, si diceva, vennero tramutate in bisce, utili al prosieguo della specie di questi ignobili rettili, mentre le più anziane vennero utilizzate nei lavori nei boschi.
Per Francesco fu un duro colpo, quello del rapimento e della metamorfosi di Elena a cui non si poteva opporre in alcun modo. I suoi occhi piangevano, ma il suo cuore ancora più forte. Si convinse allora che non avrebbe trovato pace finché non si fosse vendicato della fonte primaria del suo male: il Dio Cupido, dalla cui freccia era nato il suo amore divenuto adesso inconsolabile. Si sa, gli Dei non possono morire, ma lui era certo di aver trovato nelle sue pietre lunari una sostanza che se data a bere, anche un solo sorso, avrebbe fatto dormire eternamente lo stesso Zeus.
Salito ancora una volta sul suo fedele drago, partì quindi alla volta del monte Olimpo, la dimora degli Dei preclusa a tutti gli esseri di terra, d’acqua e di aria. La bestia sapeva che avrebbero potuto non far ritorno a casa, ma l’affetto che lo legava al padrone l’avrebbe portata a sfidare qualunque tipo di sorte tragica.
Alla vista del coniglio, forte fu lo sbigottimento dei divini che decisero di ascoltare le ragioni della sua venuta prima di farlo a brandelli, e magari cibarsene in una gustosa zuppa con miele e ambrosia. Naturalmente Francesco nascose il suo intento omicida, e gli Dei, impietositi dalla sua condizione, decisero di mettere da parte i precedenti propositi e concedergli un colloquio privato con Cupido, che avrebbe potuto placare il suo dolore tramite l’ingerimento di una pozione magica. Intanto il coniglio non aveva affatto cambiato idea e, nonostante la soluzione propostagli per sconfiggere il suo male, continuava a celare in tasca il flacone di sostanza lunare, intento sempre ad assassinare il Dio dell’Amore.
Compiendo il tragitto in compagnia di Hermes verso la casa di Cupido, rimase però esterrefatto dalla bellezza di un essere che giaceva in riva ad un fiume celeste chiamato Sorga.
“E’ Afrodite - gli spiego Hermes -, la Dea della Lussuria”.
“Dimentica Cupido - rispose fremente Francesco -. Voglio parlare con lei”. Hermes acconsentì e lo presentò alla Dea. Qui i due rimasero soli per ore, e Afrodite, che mai nell’eternità aveva avuto a che fare con un coniglio, fu alquanto allettata dall’idea di sperimentare la potenza dell’Amore con il giovane poeta che si concesse pienamente a lui. I due si amarono in segreto per giorni, settimane, mesi, sino a quando vennero scoperti proprio da Cupido, insospettitosi a causa dell'assenza prolungata della compagna. La sorpresa del Dio si tramutò subito in collera, sia chiaro, solo nei confronti del coniglio. Afrodite, che non voleva che la storia venisse resa nota agli altri Dei, in particolare a Zeus che avrebbe potuto punirla severamente, accettò le condizioni impostegli da Cupido.
Per assopire le noie celesti, i due avrebbero trascorso sei ore al giorno insieme, quattro dedicate all’Amore, le restanti due dandosi ad un nuovo gioco inventato per l’occasione: il poeta coniglio venne quindi tramutato in una sagoma piatta appesa ad una nube, su cui gli Dei avrebbero sperimentato il nuovo sport delle freccette. Chi riusciva a centrare il suo cuore vinceva il titolo di re o regina delle freccette, di cui Afrodite si scoprì una campionessa tutt’ora imbattibile.

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