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Giochi di parole

Che c'era quella storia, del bibliotecario ceco, no, argentino, come le voci delle fanciulle a maggio;
Dicevo, c'era la storia dell'imbroglio delle lettere raffazzonate a mille, sputate, come le puzzole sputano il cattivo odore, dove la direzione è già senso, la reazione è il successo. Anche nel nero della notte si trova la combinazione, una volta tanto, quanto basta alla bisogna, se si guarda il solo momento, il solo atto.
 
Giudecco aveva scoperto il significato di cento parole, di altre mille sapeva solo il rumore, dall'eco che rimbalzava sui solidi, se le giocava ai dadi, con l'orecchio teso del suonatore di strada, fuori dal tempo, in un tempo solo suo, non avrebbe potuto correre senza limitazione, senza un accento naif, con la esse dietro i piedi svelti, la scia rada delle barche a remi.
 
Giudecco si chiedeva il significato delle scimmie urlatrici, che attraversavano veloci la giungla di urla, riecheggiando il noto, cibo, nemico, primo, ultimo, sesso, il grido era il successo, ma solo da orecchio a orecchio, le scimmie hanno la sola memoria del senso.
 
C'era un bibliotecario cieco e argentino, come le voci delle fanciulle a maggio,
pescava le lettere dalla lotteria dell'etere, sperando in una buona stella.
 
Testo che è malattia e cura.

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