Scritto da © Marco valdo - Ven, 10/01/2014 - 23:47
Aveva un nome stupido, come Escamillo, lei ora non lo ricorda, ne ricorda la conseguenza, il punto focale trasferito nei pois gialli del farfallino, nelle finte toppe del cardigan, le coste lise del velluto, così che spogliarlo e chiamarlo ricordava la caccia grossa, il binocolo dell'intenzione mirava ai polmoni di una dolorosa agonia, il sollievo era un passo verso la morte e esangue lei lo possedeva, sdraiato sulla schiena, sul tavolo di marmo degli avi, i gesti di lui erano singulti di un cuore fuori controllo, che scandiva le sillabe dell'obliato nome, detto per intiero.
Col cuoio costringeva il circolo del sangue rimasto nel centro di Vitruvio, ecco, adesso il ricordo scorre, la schiena di lei, la crocchia dei capelli.
“Hmpff” mantice sfondato, petto gonfio senza spinta, le mani che spremono dall'alto verso il basso, se qualcosa nasce avrà il nome di una crisalide, ma sovente la consistenza è un'idea, una combinazione originale di accenti.
Non crescerà nulla, il nato perirà, sbattuto sul duro della lavagna, inutile allo stretto futuro, gli lascia intatti sulla sedia gli inganni, sarà di nuovo, per il mondo, patrigno della morte, occhialini da letture portatili, amovibili, la voce fuori dal coro è bianca, a perso ciò che non c'era da perdere, resta la elementare asta dei quaderni a righe, rigida del successo.
Potrebbe tornare nudo al mondo, in balia degli elementi, col nome stupido che lo apostrofa, ma
Si era voltato di schiena e aveva coperto il corpo, il nome, le lenti si oscuravano alla luce.
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