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Il duello

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Premessa

“Era sceso da cavallo, stanco si avviò verso l’accampamento. Le tende erano disposte di fronte alla baia, si scorgevano in distanza i profili degli alberi delle navi ancorate nel porto di Balaclava.”

Potrebbe iniziare così il resoconto del corrispondente di guerra del Times, l'irlandese William Howard Russell, il primo reporter presente sul campo a documentare una guerra, quella di Crimea.

I suoi dispacci erano diretti, espliciti, quantificavano il numero dei caduti, la consistenza dell'esercito, l'armamento e il morale delle truppe.

In Inghilterra, il pubblico, comodamente seduto in poltrona, viveva l'emozione, il dramma, e l'orrore della guerra attraverso le pagine del Times.

Quel 25 ottobre del 1854, un gruppo di squadroni russi caricò il 93° Reggimento di fanteria Highlander schierato in una lunga linea difensiva (dovendo coprire un lungo tratto di terreno, con pochi uomini) profonda solamente di due uomini, invece del solito tradizionale schieramento di quattro. Russell, a distanza dal teatro d'azione, scrisse che non poteva vedere, tra i russi che caricavano, e il campo inglese di Balaclava, null'altro che “un sottile nastro rosso da cui spuntavano punte d'acciaio”. Tre scariche di fucileria arrestarono la cavalleria russa facendola ritirare. Questo schieramento, popolarmente detto "la sottile linea rossa", diventò il simbolo del sangue freddo dei soldati britannici.

 

Ma la guerra è orrore. E lo sapeva bene Florance Nightingale, “la signora della lanterna”, che con le sue colleghe, cercando di attenuare nelle sue orecchie i lamenti dei feriti, si prodigava a migliorarne il soccorso, la cura e l'assistenza.

 

Ma quel giorno ci fu un altro episodio epico, un episodio che è entrato nella leggenda.

Alle undici e dieci, la Brigata Leggera di lord Cardigan, schierata nella piana di Balaklava, caricò, al fondo della valle, le batterie russe. Nell'arco della durata di venti minuti si svolse una strage.

Su ogni manuale di tattica militare una carica di cavalleria contro uno sbarramento d'artiglieria è un puro suicidio. Dopo la carica, raggruppati, dei circa 700 uomini che avevano preso parte alla carica solo 195 erano ancora a cavallo e sul terreno, oltre ai caduti, avevano lasciato 500 cavalli morti.

Ma su questa vicenda aleggia un grande equivoco.

Un ordine mal dato o mal interpretato. L'inefficienza dello stato maggiore, posizionato sui rilievi, e con maggior possibilità di vedere il campo d'azione, mentre lord Lucan, il comandante della cavalleria, dalla sua posizione, ai piedi delle alture, per via del terreno collinoso, non vedeva né il nemico, né i suoi cannoni. Dispacci di ordini: il terzo e quarto ordine da leggere insieme... la confusione era massima.

Lord Cardigan, che era in testa alla brigata, e guidò la carica con sprezzo del pericolo, come in una parata al parco, sosterrà orgoglioso di avere ricevuto l'ordine di attaccare dal suo superiore davanti alle sue truppe.

Il poeta Alfred Tennyson dedicò una poesia, “La carica della brigata leggera”, di cui seguono i primi versi.

Mezza lega, mezza lega / avanti, una mezza lega, / nella valle della Morte / cavalcarono tutti i seicento. /" Avanti la Brigata Leggera ! / Avanti contro quei cannoni ! " disse. / Nella valle della Morte / cavalcarono i seicento.

A questo evento furono realizzati anche dei film, ma il racconto che segue (di pura invenzione) vuole essere un evento minore, una micro-storia inserita all'interno della Storia con la esse maiuscola.

Compare anche un'arma, che all'epoca non esisteva. Il protagonista del racconto, un ufficiale di cavalleria inglese, ha una pistola americana, un oggetto donatogli da una donna, la sua amante, che era stata in America, o meglio, come avrebbe detto lui, John Lancan, nelle ex colonie.

Un modello “Derringer” della Remington, una piccola arma per difesa personale usata, anche dalle donne, nei Saloon. Odette, l’amante americana, ex chantosa parigina, la portava nella borsetta; sennonché all’epoca dei fatti non era ancora stata diffusa (quell’arma avrebbe visto la luce solamente 12 anni dopo).

Ma la scrittura è invenzione.

E allora, ho inserito quell’arma in uno spazio privo di tempo che tutti gli oggetti di nuova fabbricazione hanno, e cioè nel limbo della sperimentazione.

 

                                                                                              ***

 

Era sceso da cavallo, stanco si avviò verso l’accampamento. Le tende erano disposte di fronte alla baia, si scorgevano in distanza i profili degli alberi delle navi immobili, ancorate nel porto di Balaklava. Aveva percorso pochi passi, superando le ultime tende, era sceso in un piccolo avvallamento dove vi erano a terra alcuni barili vuoti.

Si appoggiò ad uno di questi, sollevò da terra una bottiglia, l'appoggiò sul barile, si allontanò di una quindicina di piedi, estrasse dalla giubba la piccola pistola, la soppesò sul palmo della mano meravigliandosi, ancora una volta, di quell’insolito giocattolo, poi, disteso il braccio, fece fuoco: la bottiglia si frantumò in mille pezzi. Ricaricò l’arma e la ripose all’interno della giubba, pensò a lei, rivide Odette sorridente all’uscita del teatro. Quella ballerina gliela aveva presentata il capitano Morris dicendogli che proveniva dalle ex colonie.

Fu il suo sguardo, unito a quel lieve profumo di mughetti selvatici, a colpirlo: quella donna sosteneva lo sguardo di un uomo senza abbassare gli occhi, anzi, sulle sue labbra si increspava un lieve, ironico sorriso. Fu colpito immediatamente dal suo fascino: al circolo, tra una partita a whist e un brindisi, non si parlava che di lei, era l’evento del momento, ma si sa, per un ufficiale di sua maestà la regina Vittoria, i piaceri della vita sono: i cavalli, le donne e il gioco.

La loro relazione si accese subito, infiammandosi nel furore di una passione consumata tra le mura di un’anonima abitazione presa a pigione. Fu proprio in uno di quei pomeriggi, dopo le consuete manovre dello squadrone, che lei gli parlò della sua intenzione di ritornare in America.

Consumarono quegli ultimi momenti con ardore e passione, quasi a voler annullare il tempo; fu mentre gustavano il tè che lui vide per la prima volta quell’arma: era scivolata fuori della borsetta di Odette mentre lei cercava il fazzoletto. Allora, lei gli raccontò la storia di quella singolare pistola: l’aveva avuta in dono da un fabbricante di armi, allora famoso nel nuovo mondo, che era stato il suo amante; lui ne aveva fatto costruire alcuni prototipi che stava diffondendo su richiesta di alcuni amici banchieri a cui serviva un’arma di piccolo calibro per difesa personale. Le aveva regalato, oltre la pistola, anche una scatola di cartucce. Ruotando una guancetta del calcio vi erano, in una apposita sede, due cartucce di riserva.

John guardò quel curioso gingillo, impreziosito dal calcio in madreperla, con incise le iniziali di Odette e lo soppesò prendendolo in mano. Nel momento in cui si salutarono fu lei a far scivolare la piccola arma nelle sue mani, dicendogli di portarla sempre con sé.

John, si scosse dai ricordi e lentamente si avviò verso il campo.

 

Il giorno dopo, il 25 ottobre, alle undici e dieci, la brigata leggera di lord Cardigan era schierata nella piana erbosa di Balaklava, dove, al fondo della valle, l’attendevano le batterie russe. Lord Cardigan, con la pelliccia dagli alamari dorati gettata sulle spalle, fa controllare l'allineamento della brigata come se dovesse sfilare in parata.

Sulla sommità del Sapuné, una postazione che domina il luogo del combattimento, il generale Canrobert e lord Raglan si consultano: il francese non vuole attaccare, vuole evitare un allargarsi della linea del fronte; fanti e artiglieri russi al comando del generale Liprandi occupano i rilievi della barriera meridionale della vallata, dove, al fondo della piana, si trova la cavalleria del generale Ryjoff unita ad un distaccamento di cosacchi del Don.

- I russi contano di farci lasciare le nostre posizioni sull’altopiano attirandoci in una trappola là al fondo della pianura, my lord.- dice il generale francese.

- D’accordo, - risponde lord Raglan e, alzando il braccio sinistro (l’altro l’ha perso a Waterloo), mostra al francese le ridotte occupate quel mattino dai russi e prosegue:

- Rivoglio però i miei cannoni da marina, i russi non si meritano un simile trofeo -. Quindi detta al suo capo maggiore, il generale Airey, un ordine destinato a lord Lucan, comandante della cavalleria.

“L’ordine per la cavalleria è di portarsi sul fronte, segua il nemico e gli impedisca di portare via i cannoni. L’artiglieria da campagna copra l’azione. La cavalleria francese stia alla sua sinistra. Subito.”

Ed è sull’interpretazione di quest’ordine che s’innesca uno dei più grossi equivoci della storia: lord Lucan, comandante della cavalleria, lo riceve alzando perplesso lo sguardo verso le colline che lo circondano, cerca di distinguere i cannoni, poi rivolto al capitano Nolan, l’aiutante di campo di lord Raglan che ha portato l’ordine d’attacco, dice:

- Attaccare signore? Che cosa? Dove sono i cannoni?

I cannoni di marina evidentemente non sono visibili dalla piana. Allora, il capitano Nolan, indicando il fondo valle e mostrando il campo delle truppe russe, dice:

- Là my lord, il nemico è là; là sono i vostri cannoni!

Lord Lucan pensa che dal monte Sapuné, dove si trova lo stato maggiore, abbiano una migliore visibilità del campo rispetto a dove si trova lui, forse vi sono degli elementi strategici che giustificano quest’ordine e si dirige al trotto verso lord Cardigan che è alla testa della brigata leggera, dietro di lui sono schierati il 13° dragoni leggeri capitanato da Oldham e il 17° lancieri capitanato da Morris che costituiscono gli squadroni di prima linea. Dietro a loro, in seconda linea, vi sono l’11° ussari del colonnello Douglas come rinforzo, dietro a questi, il 4° dragoni leggeri di lord Paget e l’8° ussari del colonnello Shewell. Lord Cardigan ordina di suonare il galoppo mentre si porta a due lunghezze di cavallo dalla prima linea.

Lord Lucan si dirige verso la brigata pesante assumendone il comando, pronto a venire eventualmente in soccorso a lord Cardigan.

In un attimo, avviandosi alla carica, il fior fiore della cavalleria inglese si riversa nella piana di Balaklava.

John, con aria interrogativa osserva il capitano Morris che, incrociando il suo sguardo, con un’alzata di spalle ordina secco ai lanceri del 17° di serrare i ranghi. John sente il cavallo battere pesantemente sul terreno mentre corre a fianco dei suoi lancieri, si volta e guarda le file parallele dell’11° che galoppano dietro di lui; dal fondo della valle esplodono i primi colpi dei cannoni nemici. Le prime salve d’artiglieria russa aprono dei vuoti tra le file inglesi che vengono subito ricompattate dai lancieri e dai dragoni. Una furia di fuoco si abbatte su uomini e cavalli. Gli squadroni sono attaccati sui fianchi dai cosacchi e dai lancieri russi, mentre le batterie scaricano i pezzi, sparando a mitraglia, sugli ultimi ranghi della cavalleria inglese.

John, sfiorato da un’esplosione, che ha fatto imbizzarrire il suo cavallo, perde per qualche istante l’udito: in un silenzio glaciale vede muoversi uomini e cavalli come in un sogno, vede le bocche degli uomini articolare urla e le mascelle dei cavalli nitrire spasmodicamente, ma non sente alcun suono. Alcuni cavalli trascinano il loro cavaliere morto appeso ad una staffa. A terra un ammasso d’uomini armi e animali, feriti o morti.

John, con un gruppo dei suoi lancieri, riesce a superare a fatica le quattro linee russe, colpisce a casaccio i serventi delle batterie, poi è spinto a lato e diviso dal suo gruppo da dei cosacchi e fanti russi intervenuti a difesa dei pezzi. Alcuni fanti nemici stanno arretrando dalle postazioni, il caos è totale, John, inseguendoli, si ritrova con due dei suoi lancieri in un avvallamento laterale oltre le batterie nemiche coperte dal rilievo collinoso, combattendo, incalzati dalla cavalleria cosacca, si spingono in una piana, disperdendo a sciabolate un gruppo di fanti russi, poi tentano di raggiungere i compagni nella valle principale, per ricongiungersi con il loro squadrone.

All’imbocco del vallonetto due fanti russi fanno fuoco su di loro uccidendo un lanciere e sparando sui cavalli che cadono a terra fulminati.

Il suo compagno dista da lui una ventina di piedi; nella caduta da cavallo ha perso la sciabola. I due fanti russi lo stanno pungolando con la punta delle loro baionette innestate sui fucili. Scorge sui loro volti un macabro sorriso: pregustano già il loro bottino di guerra. Trafiggono il cavalleggero e si gettano sul suo corpo agonizzante depredandolo.

Mentre uno dei due termina l’opera di spoliazione, l’altro si avvicina, dirigendo il fucile con la baionetta tesa verso di lui.

Egli fissa l’inutile moncone della sciabola che si è spezzata sotto il peso del cavallo abbattuto, poi guarda a terra attorno a sé nella affannosa ricerca di un’arma caduta sul campo da utilizzare per difesa, ma non ne vede nessuna. Sospira, raddrizzando il busto, mentre gli occhi del russo lo osservano con astio. C’è tutta la lunghezza del fucile e della baionetta tra il suo petto e il fante nemico. Fa un lieve scarto all’indietro e, nel far ciò, sente il peso di un oggetto solido che preme nella tasca interna della giubba. Allora ha una intuizione: nello spazio di un momento estrae la piccola pistola e fa fuoco. Il fante guarda, con l’aria stupita, quell’arma, avanza di alcuni passi, ma sulla sua fronte si apre un piccolo foro scuro e stramazza al suolo. Il compagno osserva interdetto, mentre John armeggia con la pistola ricaricandola, si lancia in avanti con il fucile ben serrato contro il fianco, un secondo sparo arresta per sempre le sue intenzioni. Mentre riarma la pistola John pensa come la morte l’abbia sfiorato e, preso dalle sue considerazioni non si accorge dell’avvicinarsi di un cavaliere cosacco che si ferma di fronte a lui: è un ufficiale, deve avere pressappoco la sua età e gli si rivolge correttamente in francese.

- Siete mio prigioniero! - gli dice dirigendo la sciabola verso il suo capo.

- Vi sbagliate signore, - risponde John puntandogli contro la pistola, - Non mi pare proprio che voi possiate dettare delle condizioni! -

Il cosacco guarda estremamente incuriosito quella piccola arma puntata contro di lui, il suo sguardo si sposta sui due fanti che giacciono a terra, poi altezzoso dice:

- Suvvia, non siate ridicolo con quell’assurdo giocattolo, credo che la questione vada risolta come si confà tra gentiluomini, ovverosia in duello! -

- Per servirvi signore, ma come potete ben vedere al momento mi trovo sprovvisto dei mezzi necessari per darvi soddisfazione! - risponde con una punta di sarcasmo John.

- Questo è un problema risolvibile, venite con me. - rifoderando la sciabola e tenendosi alla sella, gli porge la mano e lo fa montare a cavallo. Al passo risalgono lentamente la valletta dove, giunti nella piana, trovano alcuni cavalli inglesi, sbandati dalla carica, che pascolano; a terra vi sono numerosi caduti: cavalleggeri dell’17° e ussari dell’11°.

Smontano da cavallo, John raccoglie una sciabola d’ordinanza, la incurva facendola flettere sul dorso, poi, menati alcuni fendenti a vuoto, soddisfatto, la inserisce nel fodero. Si avvia verso i cavalli, ne sceglie uno, ne sistema la lunghezza delle staffe e con un balzo è in sella e, rivolgendosi al cosacco dice:

- Eccomi pronto… signor? -

- Conte Vladimiro Woronoff al servizio di Sua Maestà Nicola I, zar di tutte russie. - risponde il cosacco.

- Tenente John Lancan del 17° lancieri di Sua Maestà Britannica la regina Vittoria, per servirvi. -

E per un curioso istante, incrociando i gli occhi del cosacco, John immagina entrambi, fare l’ingresso in alta uniforme al ballo delle debuttanti. Si vede sfilare con le dame sul lucido parquet, mentre l’orchestra intona il primo dei valzer, in uno sfavillio di luci e sorrisi dei curiosi presenti.

Scaccia quest’immagine impugnando saldamente le redini del cavallo e, con un colpo d’arcione, si muove verso il centro della piana seguito dal cosacco.

 

Giunti sul luogo, il silenzio scende su di loro, si osservano con profonda intensità per un lungo istante, poi, sguainate le sciabole si salutano portandole alla fronte, John:

- Scegliete la posizione. - il russo replica:

- A voi messere. -

- No! - ribadisce John, leggermente compiaciuto, - Voi avete posto la disputa, a voi spetta di diritto la scelta del campo. - Il russo, estratta una moneta, la lancia in aria, dietro le sue spalle, dicendo:

- A me l’effigie dello zar, a voi l’altra faccia. -

John scende da cavallo, la raccoglie e gliela porge nella stessa posizione in cui l’ha trovata, la testa dello zar è sulla faccia rivolta verso terra, quindi tocca a lui la scelta del campo. Egli, si dispone in modo da avere la pendenza del terreno a suo favore; il sole, a picco su di loro, è leggermente velato dalle nubi. Giunto in posizione, ferma il cavallo e osserva l’avversario, questi alza verso il cielo la sciabola, poi l’abbassa verso il suolo e si lancia al galoppo.

Entrambi i duellanti incitano i cavalli spronandoli e con piattonate di sciabola. John osserva diminuire man mano la distanza, si solleva in equilibrio sulle staffe spostando il peso del corpo in avanti, sente la criniera del cavallo battere contro il suo busto, alza il braccio destro imprimendo una torsione al polso ruotando la lama verso l’alto pronto a menare il fendente.

I duellanti sono prossimi allo scontro: il suo avversario scarta leggermente il cavallo a destra pronto a colpire, con la coda dell'occhio John vede dei fanti stagliarsi contro i rilievi dell’avvallamento e, di fronte a sé, il cosacco, con la sciabola rivolta verso l’alto, pronto a colpire, vede la sua sagoma stagliarsi contro la collina e ingrandirsi sempre più e pensa che sta caricando per la seconda volta nella giornata. All’improvviso nella valle echeggiano degli spari, John sente un colpo sordo contro il torace, sussulta e, sbalzato dal cavallo, cade all’indietro.

L’ufficiale cosacco impreca all’indirizzo dei fanti che dalle alture hanno sparato sul cavaliere inglese.

 

Odette bevuto il tè, un’abitudine che ha conservato anche qui a Boston, si alza dal tavolo sfiorando la tovaglia, un lembo si aggancia alla cintura e la tazza da tè, quella preferita da John, scivola a terra frantumandosi.

 

Il cosacco porta il cavallo al trotto avvicinandosi al ferito steso a terra rivolto su un fianco. Gli solleva la testa liberandola dal copricapo, la giubba è intrisa di sangue: il colpo l’ha centrato in pieno torace.

L’inglese, ormai agonizzante, si irrigidisce e, dopo un ultimo spasmo, muore.

Il cosacco, guarda gli occhi azzurri dell’inglese fissi al cielo, depone delicatamente il suo corpo a terra e si alza. Osserva il cavallo dell'inglese che si avvicina al suo padrone, nitrisce, abbassando la testa, mentre dilata le narici annusandolo.

 

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