A ruota libera (Cap.5) | Prosa e racconti | Claudio | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

Login/Registrati

Commenti

Sostieni il sito

iscrizioni
 
 

Nuovi Autori

  • Gloria Fiorani
  • Antonio Spagnuolo
  • Gianluca Ceccato
  • Mariagrazia
  • Domenico Puleo

A ruota libera (Cap.5)

                                                                               V
                                                             VIGILIA DI NATALE
 
 Ci siamo. Oggi è la vigilia di Natale.
Prima o poi, sarebbe arrivata.
Ne sono passati di giorni, nonostante tutto, da quando Bi non c’è più. Tutti quanti uguali, interminabili, noiosi, amari. Ho pensato a lei, e a me. A quello che eravamo e a ciò che non siamo riusciti a essere. A come il nostro amore, forte e duraturo, avrebbe potuto diventare un sogno. Una favola che purtroppo non sarà mai più. Per colpa sua, di sicuro, ma anche per ciò che non ho saputo, potuto e voluto capire e vedere io. E’ da venerdì 9 che sono sotto esame. Il giorno della vigilia aiuta a guardarsi dentro. Anzi, quasi quasi sembra fatto apposta. Mi dilanio, con un’analisi di coscienza spietata, crudele, avvilente. Lunga, approfondita, senza se e senza ma. Su me stesso e sulla storia con Bi. Priva di scusanti, di alibi creati dalla mente per scaricarmi di tutto. Per allontanare le mie responsabilità. Quelle implicite tanto quanto, peggio, quelle ovvie, ma che ugualmente non sono riuscito a cogliere.
Non finirà la mia riflessione. Continua e deve continuare, anche oggi. Non cesserà così facilmente, senza aver generato altro profondo dolore. Altra amarezza, e quel senso di vuoto che si allarga ogni giorno, senza che la speranza di poterlo prima o poi colmare si possa far sentire. Un vuoto inevitabile, angosciante. Se ci penso, forse è soltanto l’inizio.
E’ vero ho sbagliato.
Non avrei dovuto scaricare su Bi la responsabilità di trovare, al rientro dalle ferie, una casa. La nostra casa. Perché avevamo deciso, insieme, fosse giunto il momento. Fosse venuta l’ora, finalmente, alla soglia dei quattordici anni insieme, di diventare una famiglia. Un tutt’uno, unico e raro, che potevamo essere solo in vacanza, e mai per più d’una quindicina di giorni all’anno. Stando al mare, di solito.
Sia io che Bi adoriamo il mare, letteralmente. La vita, di entrambi, non sarebbe possibile in una città che non ne avesse almeno un po’. Il mare fa sentire vivi quelli come noi. Il mare ci rigenerava, ogni volta, sempre. Restituendoci quello che la città riusciva a toglierci d’inverno: calma, serenità, lucidità di pensiero. La forza di continuare, di andare avanti. Di provarci e provarci ancora, nonostante tutti i problemi, le incomprensioni. Con la costanza e la tenacia con cui i flutti che bagnano la battigia, senza sosta dopo ogni risacca, non smettono di ripetere il loro infrangersi sulla riva. Perchè è sempre stato così, e sempre sarà domani, ancora.
E’ vero ho sbagliato.
E’ stata colpa mia non averla saputa ascoltare quando le è mancato il coraggio di chiedermi aiuto per i suoi problemi. Quelli sul lavoro, soprattutto. Nonostante i suoi occhi cervone, ogni volta che ci incontravamo, mi supplicassero ossessivamente di dargliene. Di aiutarla a risollevarsi, a donarle la forza indispensabile per resistere e andare avanti. A dispetto di tutte le umiliazioni, le delusioni, le amarezze di un ambiente lavorativo per nulla meritocratico. Come sempre e come ovunque, in questo Sud che mi dà la nausea, mi fa venire il vomito, ogni giorno sempre di più. Un Sud di merda. Eppure nessuno di noi due sarebbe andato via, a vita. No, mai. Neppure Bi, che avrebbe potuto farlo, in qualunque momento, avendo una nonna benestante in Francia. I suoi piani, i suoi progetti con me, i nostri sogni, erano comunque qui, tra il mare e il sole della costa pugliese.
E’ vero, ho sbagliato tutto con lei.
E’ stata colpa mia averla sempre costretta con il mio modo di essere, di fare, di apparire, a occuparsi dei miei problemi, ponendo in secondo piano i suoi. La maggior parte delle volte, anche quando erano quelli decisamente i più delicati e profondi.
E’ vero, è colpa mia.
Non sono riuscito a comprendere il suo malessere. Profondo, unico, speciale. Speciale come lei. L’unica persona che ha saputo e ha voluto starmi vicina persino quando neppure io l’avrei fatto, con me stesso, anni fa. Come colpa mia, e soltanto mia, è stata non aver voluto capire che era venuto il momento di dare, senza chiedere. Almeno per una volta. Come aveva fatto lei, tante volte, in tredici anni e mezzo, quasi.
Ma ora che so perché, dove, come e quando è stata colpa mia, cosa me ne faccio? Eh? A che mi serve aver capito? A cosa serve poter dirle ora che cambiare è possibile, che non si può tornare indietro, è vero, ma che si può e si deve andare avanti, nella consapevolezza che le persone cambiano, crescono, maturano? Soprattutto, che perdonano e amano. E perdonano proprio perché amano…
A cosa mi serve tutta questa consapevolezza? A cosa, maledizione? E poi, è davvero sufficiente tutto questo a privarci della gioia di tanti anni trascorsi insieme, senza costrizioni? Senza mai nessuna pressione perché si restasse uniti.
Spinti dall’unica coscienza che i difetti dell’uno divenivano pregi se maneggiati dall’altro, a ogni giorno che passava.
Lei, Bi, ne aveva di difetti.
Acida e caustica senza pietà quando qualcuno si allargava troppo, anche se per errore o per troppa euforia. Egoista, sempre, quando si trattava di dover scegliere tra la mia e la sua famiglia, nelle festività (mai un Natale o una Pasqua insieme); abitudinaria e programmatrice sino all’inverosimile, quindi mai disposta ad andare contro gli schemi.
Per non dire ossessionata dall’aver sempre tutto sotto controllo, nella vita quotidiana come durante i viaggi, e con un rapporto a volte morboso con la madre. Eccome se ne aveva di difetti, a volte anche peggiori dei miei. Se oggi devo dire la verità, a me stesso, devo farlo su entrambi, perché è questa l’unica maniera per fare chiarezza, dentro di me. L’unica, davvero, in grado di aiutarmi.
Di servire al mio domani, e a colei che dovesse prendere il posto di Gingil. Già… la chiamavo spesso anche così negli ultimi tempi. Perché per me era tanto tenera, dolce, delicata, da ‘custodire’ quasi come un ‘gingillo’. Salvo poi, lasciare che ‘Dora Pandora’, ennesimo suo soprannome, prendesse il posto di tutti gli altri nomignoli, nel periodo di Natale. La sua burrosa formosità la rendeva l’equivalente di un pandoro dorato, quindi, con un po’ di fantasia, Dora Pandora era più che azzeccato come appellativo.
Certo che ne aveva Bi di soprannomi…
Ma ci sarà un dopo lei? E quando? Chi mai potrà provarci? Chi potrà essere tanto coraggiosa da pensare di poterne raccogliere la pesante eredità?
 
Sì è vero, hai proprio sbagliato tutto…
 
 
Ore 20.30
 
Sono da zia Annamaria. Quest’anno festeggiamo qui le feste natalizie. Da un certo punto di vista mi auguro sia meglio. Molti meno ricordi, spero anche meno dolore. Mio padre, zio Nino, marito di zia Annamaria, e Sandro stanno guardando la televisione, in soggiorno. Flora è in cucina, con mia madre, mia zia, mio cugino Mimmo, la moglie e i loro due piccoli, pestiferi, al seguito. Squilla il mio cellulare. Non è a portata di mano, come ogni volta. Ogni santa volta. Una vera rottura, anche qui. E’ Carmen, la cugina napoletana di Antonella, una mia collega. Non l’ho mai conosciuta di persona, soltanto per cellulare. Non so come sia, quale volto abbia, che fisico si ritrovi. L’unica cosa che ormai conosco bene, di lei, è la voce.
Una voce decisa, estremamente calda e sensuale.
Da far rabbrividire a volte. Antonella ha voluto darmi il suo numero circa una settimana fa, dopo aver saputo che mi ero lasciato con Claudia, e io le ho inviato un primo messaggio. Per sfida, per una semplice scommessa. Antonella non credeva ne sarei stato capace. Ignorando cosa posso essere e diventare se mi sento male. Se sono ferito e ho bisogno di pensare ad altro.
Lei pensava non ne avrei avuto il fegato, e io l’ho accontentata, semplicemente. Da quel momento con Carmen è stato un continuo invio di sms e telefonate. Mi chiama quasi sempre lei, durante i suoi momenti di pausa. Lavora in una grande compagnia di telefonia mobile, nel napoletano, quindi ne approfitta. Ma sì, in fondo chi se ne frega. A me no di certo, ho altro cui pensare.
“Ehi Carmen!”
“Ciao Claudio, che fai? Qui si lavora, e tu?”
“Per niente. Qui si mangia.”
“Uhau, e cosa di buono?”
“Tutto. Ogni cosa che si può e che si deve mangiare in un Natale che si rispetti.”
“Come ti senti oggi?”
“Di merda come ieri, se non molto molto peggio.
E’ la vigilia di Natale stasera, te lo ricordi?”
La nostra confidenza è ormai consolidata. Ci conosciamo da soltanto una settimana, è vero, ma lei sa già tutto.
Di me, di Bi. Entrare in confidenza con una persona è una mia caratteristica. E’ da sempre che so di averla. Mi ha aiutato spesso nei momenti critici. Entro subito in sintonia con il mio interlocutore. Quasi sempre, soprattutto se si tratta di una donna. E Carmen lo è, per fortuna.
Forse perché sono cresciuto dalle suore, in classi a prevalenza femminile, non saprei, eppure è così.
“Lo capisco… ma devi reagire. Pensa a me che sto lavorando.”
“Hai ragione, anche se purtroppo non basta per sentirmi meglio. E poi, se non ricordo male, è stata una tua scelta. La mia invece, no.”
“Si è vero, preferisco lavorare nelle festività, sono pagate meglio. Inoltre, così posso andare in ferie quando gli altri lavorano. A me non piace prendermele in agosto, è il periodo peggiore.”
Silenzio. Ho cominciato a non seguire più il filo del suo discorso. Il pensiero di Claudia, della sua assenza in quell’atmosfera che dovrebbe trasmettere amore, in ogni istante, mi sottrae alla realtà. Appena è possibile, appena riesce a distrarmi dalla vita che mi scorre intorno.
“Sto cercando una persona con cui andare a Barcellona, perchè non ci vieni?”
“Stai scherzando vero?”
“E perché? Te l’ho detto, nella mia prima telefonata. Sono pazza, e soprattutto sono fiera di esserlo. Antonella te l’avrà accennato!”
“Sì qualcosa… ma non credevo sino a questo punto.
Non ho mai ricevuto un invito simile, a dire il vero. Per giunta da una ragazza che non conosco ancora, di persona.
Anzi a pensarci, nemmeno tu mi conosci!”
“Innanzitutto, sono adulta e più grande di te d’un paio d’anni, se non ricordo male. Poi sbagli, tu una tua foto me l’hai mandata, sono io che non ho ancora un volto. Se accettassi sarebbe l’occasione giusta per farti vedere come sono.”
“Carmen sei pazza. Davvero…”
Sono lusingato dal suo invito.
Forse l’imprevedibilità con cui è giunto mi sembra il più bel regalo che avrei potuto ricevere in queste condizioni, la sera della vigilia di Natale.
“Lo so. Ma ancora non mi hai risposto.”
“E che ti devo dire?”
“Si o no, è semplice.”
“…Ok, ci sto.”
“Grande! Sono proprio felice. Allora ci sentiamo, la pausa è finita. Ciao Cla!” e sorride teneramente mentre butta giù.
Non la posso vedere, ma riesco a immaginarla, a darle un volto. Anche se non so come sarà in realtà, Carmen. Torno in soggiorno. Sono ancora tutti davanti alla televisione. Non si cena per adesso. E’ un classico nella mia famiglia: mai mangiare in orario. Tanto meno a Natale. Toccherà aspettare. Sono costretto a pensare. A riflettere su che cosa ho fatto.
Fhummm… ho accettato il suo invito.
Sono un vero e completo idiota.
E’ l’anticamera del disastro, lo sento. La mia impulsività, l’irrefrenabile voglia di andare sempre a mille, anche quando dovrei stare tranquillo, il più calmo possibile, ha avuto la meglio un'altra volta, l’ennesima volta.
 
Ma ci pensi?
Hai accettato l’invito di un’estranea, di una sconosciuta!
Neanche tre settimane fa stavi con Claudia, la tua Bi, e ora fai il ‘chiavico’ (*) con la prima che conosci, per telefono per giunta?
E soprattutto, che non hai mai neppure visto!
 
Il mio sguardo è assente. I pensieri cominciano a scontrarsi, isterici. Non hanno più capo né coda, sono schegge impazzite di un enorme cristallo andato in frantumi: l’amore di tredici anni e mezzo, quasi. Penso, tutto e il contrario di tutto.
 
(*) Il bullo
 
In un attimo sono con Claudia, un istante dopo sono con Carmen. Sto tradendo Bi. No, impossibile, lei non è più con me. Noi non stiamo più insieme. Entrambe sono nella mia testa, e soltanto lì. Nella realtà, sono da zia Anna.
Ma anche da solo, come un cane.
 
A pensarci, tu e questo ‘cane’ andreste proprio d’accordo.
 
Sì, come no, alla grande...
 
 

Cerca nel sito

Cerca per...

Sono con noi

Ci sono attualmente 7 utenti e 6948 visitatori collegati.

Utenti on-line

  • Antonio.T.
  • Il Folletto
  • Manuela Verbasi
  • Francesco Andre...
  • live4free
  • LaScapigliata
  • Fausto Raso