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A sbruffi, a ciuffi, a strati e strati e tonde...

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A sbruffi, a ciuffi
a strati e strati e tonde
e ovali e oblunghe e mille volte lobate e solitarie
e compagne festose e spettinate, sempre diverse.
 
A sbruffi, a ciuffi
a strati e strati e tonde,
soffici e chiare (quel bianco bordato d’argento, quel rosa)
o cupe e scure
come un bambino dopo un capriccio.
O i miei occhi che guardano il telefono muto. Vanno.
Loro vanno.
 
Ne avrò mai vista una uguale all’altra?
Doppione, clone. Scolorita cianografia impigrita?
E di che mi meraviglio?
I tuoi sguardi. Anche loro sempre nuovi.
Sempre da stupirsene, in fondo. Trasalire.
Precipitare senza dolore, o con dolore, è uguale.
Si sente lo schiaffo dell’aria, cadendo.
(non è l’aria. È che ancora mi dibatto, a volte)
 
M’accorgo quando stanno per piangere
queste nubi gonfie e imbronciate.
Trattengono a stento, poi scrosciano. Singhiozzi,
o quando, furbette e leggere, monelle, ecco,
hanno voglia di giocare.
 
E io con loro. O con te. Domani. Vero?
(by poetella)
 
 
(le foto sono sempre di poetella, ok?)
.

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