TRA LO SPLENDORE DELLE CAMELIE | Prosa e racconti | scribak | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

Login/Registrati

Commenti

Sostieni il sito

iscrizioni
 
 

Nuovi Autori

  • Gloria Fiorani
  • Antonio Spagnuolo
  • Gianluca Ceccato
  • Mariagrazia
  • Domenico Puleo

TRA LO SPLENDORE DELLE CAMELIE

L’ultima domenica di marzo termina la sagra delle camelie. La strada che sale fino alla chiesa di Sant’Andrea di Compito è un fiorire di colori, di profumi, di giardini. Le macchie vanno dal bianco al rosa e poi al rosso, mille sfumature tra le foglie oblunghe, lucide di sole.
I percorsi sono vecchi di anni, come le case aggrappate alla terra e i muri di pietra che sanno d’erba e di fatica. Le macchine parcheggiate formano un lungo serpente che si srotola fino alle ultime case della Pieve.
Il Centro Culturale è l’apice della festa. Il campo di calcetto è stato adattato a percorso labirintico usando i vasi di camelie come staccionate. La gente si aggira fino a sera tra i fiori splendidi e inodori, quasi che l’assenza di fragranza fosse un omaggio naturale alla loro bellezza. Solo a tarda ora l’aria che soffia sul parco davanti ai campi da tennis, sembra giocare con le foglie dei tigli disperdendone il profumo.
Sotto al pergolato di canne di bambù annodate c’è un vociare intenso. I volti delle persone sedute attorno a un tavolo di plastica verde sono accaldati, sorpresi e increduli.
«Ma come è successo?»
«Pare che una bambina, la figlia dei Fiorelli, si sia messa a urlare, è corsa su, dal campo del calcetto e, piangendo, ha detto che un uomo l’aveva abbracciata e toccata.»
«Toccata dove?»
«E che ne so, mica c’ero.»
Un tono severo del Di Santo, il vecchio professore che ha insegnato nelle scuole di mezza Toscana.
«Ma chi se ne frega del dove, se uno sconosciuto abbraccia una bambina e la tocca, qualunque sia il contatto, il gesto è quello del pedofilo.»
Il Guiducci si appoggia con le mani ai braccioli della sedia, aspira fumo dal mozzicone di sigaro che stringe tra i denti.
«Pedofilo. Mica è detto. Ho sentito storie di bambini che a crederci si va dritti dall’Orsini a comprare una scatola di cartucce calibro 30.»
«Quella ha dieci anni, cosa vuoi che s’inventi.»
Gli occhi del Paladino si sgranano come davanti a una sposa denudata.
«Il padre non ha perso tempo, ha preso il cellulare e ha chiamato i carabinieri. Questi erano di pattuglia proprio sul ponte. Tre minuti e sono arrivati. Si sono chiusi nella sala del Centro ad ascoltare, poi hanno cominciato a fare domande in giro.»
«Perché non hanno chiamato il maresciallo?»
«C’erano loro di pattuglia. Due giovani, magari dirottati da Pisa per la sagra.»
«Appunto, è proprio questa la ragione. Che ne sanno loro di Compito, di Sant’Andrea, della Pieve.»
«Che c’entra, se un uomo abbraccia e tocca una bambina sconosciuta, mica devi conoscere la storia del paese per arrestarlo.»
Il Petraccio quasi sborda dalla sedia.
«Ragazzi, d’accordo, ammettiamo pure che ci sia stato l’abbraccio e qualcos’altro. Il fatto però è un altro e se vogliamo ancora più grave, che i carabinieri hanno portato via l’Ermanno… l’Ermanno, oh! Mica il gonzo del Padule.»
«Sì, l’ho visto mentre lo facevano salire sulla macchina. Era bianco come un cencio, tremava e teneva la testa bassa. Mi ha fatto una pena.»
Uno sguardo dato attorno, quasi la posa dell’indifferenza.
«L’Ermanno! Chi l’avrebbe detto.»
«Ma non dire bischerate. L’Antonia va a fare le pulizie da anni, porta spesso le due bambine con sé, non è mai successo nulla.»
«Non vuol mica dire. È a casa sua e si conoscono da un sacco di tempo. Tra loro c’è un rapporto che, con il tempo, è diventato quasi intimo. Anche se ci scappa una carezza o un bacio alle bambine non vai mica a pensare che l’intenzione sia quell’altra.»
«Ma non farmi ridere, l’Ermanno lo conosciamo bene. È sempre stato un ragazzo che ha fatto invidia: bello, aitante, forse un po’ timido ma con tutte le donne che si è portato a letto, vi ricordate la livornese, la Sandra e quella di Torre del Lago, dai, vorrei essere io pedofilo come lui.»
Il Paladino ascoltava come rapito dai toni e dalle parole.
«Ragazzi, che storia però!»
 
 
Aveva caldo, sudava. Non riusciva a chiudere gli occhi. Fissava la macchia di umidità che si era formata sull’angolo destro del soffitto. Sembrava il profilo di una donna. Lo angosciava. No, non era la macchia, era quella strana percezione d’impotenza che lo stava soffocando. Era stanco. Una stanchezza che gli annebbiava la mente, gli impediva di seguire i pensieri, di capire, perfino di ricordare.
Era in una stazione di comando dei carabinieri. Sdraiato sopra una branda nella stanza di sicurezza. Non sapeva perché, né come ci era finito in questa brutta storia. Lui, Ermanno Orsetti, classe ’51, diploma di ragioniere. Allievo del Bulgarelli e presidente onorario dell’Associazione Giacomo Piovano a favore degli anziani.
«Dovrebbe venire con noi, abbiamo bisogno di farle qualche domanda. Non si preoccupi, si tratta di routine, sa, per via del Centro Culturale di cui lei è socio consigliere».
Così gli aveva detto uno dei due carabinieri che erano saliti su, dalla via della Croce. Lui era rimasto tranquillo. Il solito casino del Marino, pensava. Quello se non combina qualcosa non dorme la notte.
Poi però le cose erano cambiate. In peggio. E non era neppure riuscito a dare un senso alle domande che avevano continuato a ripetergli per ore. Ma cosa volevano? Come potevano credere che lui… Dio, Dio mio, una bambina. Erano convinti che l’avesse abbracciata, che l’avesse accarezzata, toccata. Ma come erano arrivati a una convinzione del genere? Chi aveva fatto il suo nome? Non sapeva neanche chi era quella bambina, non la conosceva, probabilmente non l’aveva mai vista.
Provò a chiudere gli occhi, a concentrarsi. Forse l’emozione di quel lungo ed estenuante interrogatorio l’aveva confuso a tal punto da fargli perdere il senso della realtà. Cristo santo ma, quelli cercavano solo d’incastrarlo, volevano incolparlo ad ogni costo. Insistevano, urlavano, minacciavano. Sembrava perfino che non lo stessero neppure ad ascoltare, che le cose che lui si sforzava di spiegare non interessassero. Poco alla volta si rendeva conto che c’era in gioco qualcosa di più di una verità scomoda, c’era la sua dignità da difendere e quella dell’intera famiglia Orsetti. Più ci pensava più la cosa gli sembrava ridicola. Un’accusa infamante, assurda. Sì, poteva anche aver commesso degli errori, poteva essere caduto in qualche contraddizione, una risposta ambigua, magari un’ora diversa, un viso che credeva di aver visto, la corsa di due ragazzi, il refrain di una canzone. Di una cosa però era sicuro: non ricordava assolutamente di aver incontrato, intravisto, colto un salto, un grido, un sorriso di quella creatura. Capiva anche che l’andirivieni delle persone che si susseguivano all’interno di quell’ufficio, le stesse domande fatte in toni e modi diversi e le ipotesi formulate dagli stessi indagatori, lo avevano fatto precipitare in uno stato confusionale dal quale non era più riuscito a emergere.
Avrebbe voluto reagire, spiegare meglio i motivi, dare delle giustificazioni. Possibile che nessuno garantisse sulla sua estraneità all’accaduto? Si sentiva depresso, solo. Avrebbe voluto tornare a casa.
A casa. Solo adesso si rendeva conto che lì, a casa, sarebbe iniziata un’altra storia. Forse ancora più brutta. Avrebbe dovuto affrontare una battaglia: i gesti, gli sguardi della gente, i sussurri, le domande, gli stessi amici. La Giuliana. Anche il parroco. Già, il paese. Avesse abitato a Lucca o meglio ancora a Firenze, chi l’avrebbe notato salire sulla macchina dei carabinieri. Nessuno ci avrebbe fatto caso. Alla Pieve invece no. Tra le case di quel piccolo paese tutti sapevano, tutti parlavano, tutti pontificavano. Era così, aspettavano che accadesse qualcosa per dare inizio alle danze. Senza musica naturalmente. E senza tempo.
Paura. Adesso aveva paura.
 
 
«L’hanno preso!»
«Chi è che hanno preso?»
«Il Bamba, il figlio della Lucina. La bambina l’ha riconosciuto subito. Pare che indossasse una tuta uguale a quella che aveva l'Ermanno, quella con la banda bianca sul fianco della gamba.»
«Allora l’Ermanno…»
«Sì, l’hanno lasciato andare. È già tornato a casa.»
Il professore si era pulito le lenti degli occhiali strofinandole sul bordo della camicia.
«Ma quello, il Bamba voglio dire, non era ai domiciliari?»
«Sì, però pare sgattaiolasse fuori non appena la ronda finiva il giro. Lui la seguiva dalla finestra finché vedeva la macchina scollinare dopo la chiesa.»
«E la Lucina?»
«Sì, la Lucina…»
Anche lo Spadino prese coraggio.
«Però non era tardi, c’era ancora gente in giro. Possibile che nessuno se ne sia accorto?»
«È scappato scavalcando la rete metallica, ha corso lungo il vicolo di Corte, attraversato la vigna del Fiocchetto e sparito tra le case. La Lucina manco se n’è accorta.»
«E tu com’è che sai tutte queste cose?»
«Cretino, le so dal Bonucci che è amico del Fiorelli. L’ho incontrato in piazzetta mentre si stavano parlando. Poi mi ha raccontato tutta la storia.»
«D’accordo, però che cavolo di indagine hanno fatto? Qui a due passi c’è uno ai domiciliari per lo stesso tipo di reato e a nessuno è venuto in mente di sentirlo, di interrogarlo, ma in che paese viviamo?»
Il professore parve assumere un’aria accomodante.
«I due carabinieri che sono intervenuti erano giovani, probabilmente era la prima volta che gli toccava un caso del genere.»
«Sì, però l’Ermanno sono andati a prenderlo quasi subito. Sono bastate poche domande alle due o tre persone che erano nei paraggi al momento del fatto.»
«Evidentemente la descrizione rilasciata da qualcuno corrispondeva alla sua figura. Magari la tuta. In effetti i due hanno più o meno la stessa corporatura.»
«Però, dopo un fatto del genere, prima di portare uno in caserma dovresti fare degli accertamenti più accurati. Quelli erano giovani ma alla centrale credo che tutti fossero a conoscenza del Bamba. Bastava mettersi in contatto, chiedere al maresciallo.»
Lo Sguincia, il guardiano del museo Botanico, guardò il sedere di una signora che, leccando un gelato, passeggiava nel parco con la figlioletta per mano. Sospirò.
«Belle queste serate di inizio primavera. Fresche, come certe storie che pare nascano apposta per essere raccontate. Questa del Bamba che arriva di soppiatto travestito da Ermanno, si apparta con una ragazzina, l’abbraccia, la palpa, fugge via e sparisce, beh, non è niente male, no?»
 
 
Lo trovò l’Antonia, non appena aprì la porta e mise un piede in cucina. Il cuore le scoppiò nel petto, le mancarono le parole, non riuscì neppure a urlare. Dalla gola le uscì solo un rantolo.
«Ermanno… no, Ermanno, no!»
Lui era appeso per la gola a una corda legata alla trave centrale. La testa reclinata da una parte, gli occhi quasi aperti e quel colore ceruleo che si perdeva nell’aria ancora fredda. La punta della lingua fuoriusciva dalle labbra. Sembrava il segno del suo disprezzo, come una smorfia alla vita.
Una sedia era capovolta e uno dei listelli della spalliera era rotto.
Poi l’urlo squarciò la quiete del mattino, si perse nell’aria e riempì tutta via della Croce.
 

Cerca nel sito

Cerca per...

Sono con noi

Ci sono attualmente 2 utenti e 4924 visitatori collegati.

Utenti on-line

  • Antonio.T.
  • Ardoval