Scritto da © Anonimo - Mer, 05/05/2010 - 16:15
Le vie, d’altra parte,
hanno percorsi più alti delle gambe:
rapiscono i fermi e se ne vanno.
Vanno giocando a pari e dispari la sosta.
Vanno di corsa, quando sfuggono ai portoni.
Vanno di gobbe come antilopi d’asfalto,
vanno prendendo frasi dalla terra
a dirci: parti, sopra di me un fagotto di ventura;
un’anima alle spalle che occasioni le rimonte.
Ha nuvole di pelle, ogni via,
e sotto quella, la stessa terra al sonno persa;
ma ai lontani, quelli che stanno negli accampamenti di memorie,
il sonno fa gl’incontri così che abbiano frontiere di risveglio.
Per ciò la via è maestra delle direzioni.
Non lo diremmo per ognuna. Questo ci suggerì
un viandate orfano d’arrivi.
Non tutte si raccordano a miliari di distanze.
Non sempre dall’incerto è l’impossibile.
Eppure affascina quel suo spirito oblungo
quando calchiamo il cielo a frotte
e a flotte il mare,
quando presi dall’invidia del libero percorso
facciamo rotte ai pesci nati
e ai nati con le ali, liberamente edotti.
Che dirne, dunque, se non ch’è traccia di attraversamenti;
e se la traccia è prima del cammino
ci dirà - la via - il valico-traguardo
dei passi in cui lasciare i piedi.
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