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Gam-flowers

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Quella mattina era uscito di casa tardi. Gli esami di maturità erano terminati da un paio di giorni, ed ora attendeva una sua telefonata. Lei gli aveva promesso di farsi viva dopo gli esami, i suoi genitori volevano che potesse prepararsi bene per gli esami di maturità, libera da distrazioni.

Figuriamoci, pensava lui, lei, la prima della classe avrebbe conseguito una splendida maturità. Non certamente come la sua, che nella migliore dell’ipotesi avrebbe avuto, un trentasei scarso, molto scarso.

Il telefono squillò nel preciso istante in cui lui aveva acceso la seconda sigaretta della mattinata.

- Allora, com’è andata? - udì la sua voce squillante, alla cornetta del telefono, mentre gli cadde la cenere della sigaretta sui jeans.

- Sopravviviamo - esordì con fare laconico, spazzando via con la mano la cenere dalla gamba. Avrebbe voluto gridarle: corri qui da me, mentre il cuore gli batteva forte nel petto, e gli tremavano le gambe, ma aveva la sua reputazione di irriducibile sessantottino da difendere, quindi tacque.

- Dove ci vediamo? - chiese lei, con voce suadente.

- Non ho idea, tu che cosa proponi? - rispose lui.

- Potremmo andare alla Civica - disse lei.

- Dove? - chiese lui.

- Alla Gam, la Galleria d’Arte Moderna, sai quell’edificio che sembra la villa di Rockerduck, l’arcimiliardario dei fumetti di Topolino.

Non riusciva a capirla, quella ragazza. Certe volte era sfuggente come tanti semi di dente di leone trasportati dal vento, altre volte, per lei la vita era come la pagina di un allegro fumetto.

- Vedrai, gli disse, ho una sorpresa.

 

Lui uscì di casa e raggiunse corso Vittorio Emanuele, passeggiò sotto l’invitante ombra dei portici osservando distrattamente le vetrine. La giornata era luminosa e faceva caldo. Attraversò Largo Vittorio Emanuele due, così lo chiamava lei, e la vide. Era ferma all’angolo di via Magenta, teneva per mano la sua dispettosissima sorellina.

- Ma che bella sorpresa! - esordì lui sarcastico, sorridendo all’indirizzo della piccola peste, poi facendole l’occhiolino le disse:

- Ciao, mostro. - La piccola gli rispose facendo le boccacce.

Poi lui guardò la sorella maggiore, lei ricambiò lo sguardo e ad entrambi parve che il tempo, all’improvviso, si fosse fermato.

Trascinati dalla piccola e scalpitante furia, entrarono nella Galleria. Salirono al primo piano, lui vide le tele del d’Azeglio; era l’autore che aveva portato alla maturità, ricordava i pomeriggi passati a sgobbare sulle pagine dei “I miei ricordi”.

Guardando un paesaggio romano, lei disse:

- Questi, come dice mio padre (imitandone il tono pomposo della voce), sono i dipinti che “si capiscono”, riconosci il verso giusto per appenderli, non quelle colature da carrozziere del piano superiore. Scoppiarono entrambi a ridere. Erano gli anni settanta, tutto aveva il sapore della trasgressione e della conquista.

Lui, mascherando, con il depliant che aveva in mano, la parte inferiore del quadro, osservò con attenzione il cielo che era ancora riconoscibile, ridusse la porzione del rettangolo, ed ecco che la striscia azzurra del cielo, densa degli strati delle pennellate, assunse una sua propria astrazione. Pensò per un istante ai cieli dipinti da Antonio, poi pensò che rispetto a quello dipinto, lui, di cielo, preferiva quello vero, che gravava quotidianamente lassù in alto; dove svagato, amava durante il giorno, rifugiare la testa tra le nuvole.

 

Al piano superiore, lei si entusiasmò per una tela di Osvaldo Licini.

- Guarda che colori! - poi ironica come suo solito, disse:

- Questo verde e questo giallo mi ricordano una scatola di dadi Star.

Lui rimase colpito dalla grafica di quel dipinto. Quei segni vibravano ricchi di una propria intensità. Gli venne in mente quel libro che lei gli aveva regalato, sulla copertina vi era riprodotta un’opera di Licini. Quel libro, dal titolo vagamente classicheggiante, gli ricordava un’opera di Ovidio. Ricordava perfettamente il titolo, si trattava di “Le metamorfosi”, nell’edizione Einaudi scritto da Lalla Romano. Aveva dunque, attraverso un libro, scoperto due autori ed iniziato ad amare le loro opere.

Mentre la piccola, ad ogni sala, mormorava a piena voce:

- Uffaa… mi annoio, usciamo, uffa! -, lei disse:

- Guarda quei dipinti, da questa distanza perdono le loro forme, sembrano tanti fiori colorati, e dopo un attimo di riflessione aggiunse:

- Fiori di Galleria… .

- Gam flowers, - sentenziò lui sarcastico. - Gam flowers, Gam flowers, - fece eco la bambina.

- Fa caldo, ho sete, cerchiamo qualcosa da bere. - disse lei.

- Non so se qui c’è un bar, non ho nemmeno visto i distributori delle bibite. - disse lui.

- Voglio il gelato, voglio il gelato… - urlò la bimba, strattonandolo per la manica della camicia.

- Ok, piccola peste, usciamo e cerchiamo un bar. - disse lui.

All’uscita, si ritrovarono in strada davanti all’edificio, e, mentre loro incrociavano languidi sguardi, la bambina si voltò verso l’edificio e sollevando la mano disse:

- Ciao, ciao, Gam flowers.

 

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