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"Alessia" di Raffaele Piazza: una mia lettura

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Nel dormiveglia passa la vita e stende i suoi colori: si colma in precipizi e plana, evanescenza d’attimi e figure, nel coro di presagi a rincorrersi, soglie nel turbinio d’amore che tutto nomina e concede. Prende contorni netti la figura di amore in Alessia, ragazza danza nel corpo del tempo, in questa misteriosa stanza della mente che il poeta costruisce, all’esame paziente di versi turbinosi e alti, quasi volatili, venuti via da un’ala, sembra, a dirci l’esatta congiunzione di sogno e realtà nei giardini del cuore.
Piazza è poeta di presenze aeree che si materializzano nel vivido scenario del tempo che cammina e sembra immobile, sospeso: si colma in flussi d’aria variopinti e grava su ogni minima accensione come un uccello ammonitore; ma è poeta di terra, anche, capace a comprendersi in luoghi esatti, finitimi eppure espansi, dove amore coglie: e amore è crescita nella febbre, durante la notte, soglia nelle vene del giorno che spaventa ed esalta come una fuga, come un temporale. Si resta attaccati alla pagina, per vedere come cresce, quale forma imprevista  lo rinnovi, quale radice lo nomini tra i tanti minuscoli frammenti che lo tengono. Ed ecco elencati momenti di iconica poesia, nel nitore quasi acquatico dell’inquietudine per questa giovane presenza quasi fuori dal tempo; ecco Giovanni, ancora più distante, se possibile, figura ombra nel laccio che lo lega, fianco di nuvola che piove o piuttosto gocciola piano sul fiore del connubio  da cui germina. Alessia e Giovanni. Più ancora il loro avanzare abbracciati sul fiume, come due foglie staccate da Eros e coese, per una eterna genesi.  Alessia vent’anni cresciuti come semi, cresciuta nuotando madonna barocca dormiente, limine del cielo, angelus con tutte le età. Alessia ovunque una mano l’aspetti e sappia coglierla ignara delle sue vertigini, fin dentro l’estasi rosazzurre dell’anima, nel limbo d’una calda parola. Ed è parola alta a nominarla, nel profilo delle sembianze immaginate, d’ora in ora, di giorni che stanno nel tempo e nel tempo figura proibita che l’avvolge (come se fosse una ferita del pensiero).
Ecco, si ha la sensazione che Piazza dia luogo ad una geografia d’attese a poco a poco svelate nel corpo d’una impossibile rivelazione. E questa irreprensibilità è livida fiamma che s’invola, tremolio d’una costola. Sembra quasi che il poeta sperimenti un nuovo romanzo lirico, combinando sequenze e fermi immagini  e ritorni e singulti verbali invero riuscitissimi a dar traccia di mille segreti. Vediamo Alessia apparire nei luoghi della mente che sono anche luoghi fisici: l’osservatorio, l’università, il parco virgiliano, Capri, Ischia, Assisi; la vediamo apparire e scomparire in una macchina, nei metri d’una stanza, in un albergo; la vediamo in gita, proiettata, sempre, in una congiunzione astrale, scia percettibile d’aereo premonitore, (in jeans attillati e nei capelli l’oro)  completamente disegnata nel paesaggio tutto grano e polline, semi che la scandiscono e la colgono come una fragola, nel sempre azzurro cielo di un maggio ipotetico. Piazza è poeta avvertito. E colloca con precisione nessi, risonanze, rumori:  in lui ogni luce declina sapientemente: i colori s’intonano nel tempo, la musica svola come un’acqua di mare portata dal vento, acqua a bagnarti i vetri degli occhi. Metropatie liriche (se è concesso dire) risalgono gli azzurri a gradi, o scendono, per perdersi in scale di correnti a venire, si estendono in una specie di ordigno sintattico (amniotico, onirico) per un boato di autentica poesia.
*Raffaele Piazza, “Alessia”, Edizioni Associazione Salotto Culturale Rosso Venexiano, 2014, Introduzione Antonio Spagnuolo, pagg. 119. Note critiche a margine.
Giovanni Perri
 

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