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A questa luna

di Roberto Furcillo

A questa luna introversa
che disdegna di illuminare le ombre.
A questa luna lunatica
che non si allunga più sugli angoli
delle mie mura sbriciolate,
ora annerite, un po’ammuffite.

A questa luna cieca
che rende il mio nero ancor più nero.
A questa luna pigra che non ha voglia
di colorare di bianco il mio bianco
e il mio rosso di rosso.
A questa luna risentita
disamorata ed assente
quasi offesa, indolente,
che si nasconde dietro nuvole uggiose.

A questa luna ormai stanca
che non sopporta teste chine
e nasi appesantiti di innamorati svogliati
che non sognano più abbracci rubati
nei campi di grano
e mani vogliose
frugare sull’acre frutto nascosto
e sentir mugolare la lupa solitaria.

A questa luna che non si tuffa più
ad illuminare il pozzo
dove ormai languono desideri
tristemente avvizziti.

Che quasi non ricordo di te

Quasi ho dimenticato il tuo volto
che mi appariva come mantello della Notte
come rugiada cristallizzata di sogni
Che quasi ho dimenticato come batteva forte il cuore
non ho avuto il tempo
di contaminartelo nella memoria
Mi sei passato affianco come un lampo di Fuoco Spento
squarciandosi negli occhi
che oggi si chiedono di cosa lacrimeranno ancora
nei nuovi giorni avvenire
Tremerò nel nuovo percorso Inconscio
La Natura di certo sarà clemente
con la stanchezza del mio volto
Ricamandomi fra le rughe la nebbia
mi abbandonerò allo stretto sorriso
che ancora le mie guance
avranno la forza di affrontare
come fruscio di vento freddo
che mi ricorderanno le Tue carezze

 

Novembre

Cielo di piombo,
che si confonde con il grigio
di una città caotica,
corse nevrotiche di auto che avanzano
sputando veleno dalle marmitte.
Il mare con il colore del petrolio
si agita nervoso,
invadendo il lungomare.
Volti senza nome,
infastiditi dal vento
che porta via i loro cappelli
e vecchi che scuotono la testa
gridando parole incomprensibili.

Il tempo non consola
chi piange senza saperne il perché.

Franco

© Franco Limbardi

Alla fonda

Alla fonda immobile con sotto le nuvole
a correre lievi sulle acque scure del lago
la barca miraggio tra me e l'isola appare.

Sto piegate le vele fermo all'imbarcadero
e cupi pensieri voglio annegare nell'onde
desiderando leggero un altro volo di vento.

Un respiro

 
Facile e dolce come un respiro,
stare con te.
Come essere al mare
con l’aria tra i capelli
e il cuore sprofondato
nella sabbia dorata.
 
Quel sapore di festa.
di gioia e libertà,
denso di vita
pieno di limpidezze,
che ti sgorga dagli occhi.
 
E l’espressione forte
Di vivace stanchezza
Da ragazzo ribelle:
un volo di gabbiano
 
Immagini a colori
Quelle che trovo in te,
nel film dei tuoi pensieri;
te le regalo adesso,
prima che la memoria
le ributti nel nulla.
 
           Danila Corlando

a mio padre

C'è un posto per te dietro quel vetro
in questa notte dagli occhi gialli
Un vento bianco
asciuga la rugiada e taglia la faccia
Sono una spettatrice impotente
una nuvola stanca
che prega e prega.
Ti osservo
mentre il dentro diventa fuori
in un volo lucescente.
E fa maledettamente male
lasciarti andar via
 

Mamma...

Parlami ancora mamma,
dentro l'anima del mio amore
Raccontami di te,
della tua vita faticosa...
della saggezza e dei silenzi,
ricchi di parole...

Dammi le tue mani,
che adesso tremano per la paura di invecchiare...
di non esserci più nelle mie giornate
come manto protettore del dolore...

Ti parlerò ancora e ancora,
nella tua anima dimorerò
e ivi racconterò al tuo cuore
i miei silenzi, le mie angosce...

Tu, candida creatura,
ascolterai,
poggiando l'orecchio al petto:
tutto il mio amore tu sentirai
e allora stanca
riposerò sulla tua ferma spalla....

Poetanelcuore & Rosemary3
 

Alla giovane contadina che mi arò passando.

 
Ti ritrovo alle terre dei tigli
ampia come le più larghe lampare
distesa tra una balza sopravvento
e i conci a secco
che reggono sassaie.
 
Hai più sentieri che precorrono salite
di quanta pelle io possa mostrare al sole
Sei un terso arabesco di frescura
in questo puro fondo di passione.
 
Hai timidi sorrisi.
Ahi!, per la tua bella fronte a volta
offri pensieri pensili in giravolte
che meravigliano gli acrobati.
Hai un corridoio di riga tra le ciocche
per le stanze di memoria in cui ripormi.
Leggo nelle accurate visite alla mia pelle
le traverse scie di una certa rotta
il lembo o il molo per l’approdo
della tua grazia vera gravida e agreste.
 
Ecco
richiedi sensi seplici in risposta
carezze - ad onor del vero ostiche ma dense -
fondi di labbra
in cui la lingua affonda.

Ricordando Alda Merini

Chiedi poesia. Ma la morte
ti è scesa nel sangue
a crescere buio e vuoto
in terra.
La tua anima è memoria
di ramo ed abisso,
rifugio di emozioni respinte
alla vita.
Il tuo scrivere dura un orizzonte
che sento eterno,
forse il mio silenzio
è anche il tuo,
una rima a vincere assenza.

Cecilia

Stridono i violini
in agonia,
ali s’inventano
in spazi senza volo.
Suonano, suonano
girano d’intorno,
si fanno rondine
che non sa migrare.

E sono pugno di terra
da mangiare,
d’aria assetati
ignari delle mani,
note superbe
scappate tra le grate.

Pregano adesso
ancora, senza sosta
e tu, di madre assente
e ignoto padre,
regali loro
l’abbraccio dell’archetto,
un corpo a corpo
impossibile
col mondo.

Stridono, Cecilia,
i tuoi violini
dentro un commiato
che non ha parole.
Sarai domani, lieve,
sopra il mare,
l’orizzonte tacito davanti,
come musica
sommessa 
senza sbarre.

(Qs poesia si ispira al libro Stabat Mater di Tiziano Scarpa che mi ha particolarmente colpito. Cecilia è un’orfana sedicenne accolta nell’ospedale della Pietà di Venezia; insieme alle sue compagne suona il violino nell’orchestra dell’orfanotrofio. Ha modo di conoscere Vivaldi e la sua musica, ne subirà l’influenza ed eserciterà a sua volta un influsso sul compositore, ma alla fine dopo aver suonato per un giorno e una notte intera fino a stramazzare al suolo, deciderà di scappare da quella che è comunque una prigionia dove può suonare solo protetta da grate che si erigono tra lei  e il mondo)

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