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Quattrocento settanta

Lirica di Vittorio Fioravanti

Superficie incolore e silenzio
neppure un grido animale nel vento
un deserto vuoto di niente
rari arbusti affiorati per caso
rattrapito fiore notturno
nato già morto al mattino

L'orma d'un passo grave
un nudo corpo abusato
grumi caldi di sangue umano
fardello gettato via dilaniato
tra sassi e polvere grigia
d'un aspero dosso
d'oscuri rifiuti
dallo stesso assassino

Ennesima giovane figlia
d'una misera primavera
che non torna più a casa viva
negl'intricati sobborghi poveri
di Ciudad Juárez

Quattrocento settanta

donne ammazzate
un grosso numero
d'inaudito spessore
che strappa brividi
di greve furia impotente
e disperato rancore

Novembre 2007

teatro

La vita, infondo, è un teatro.
L’Ultima battuta
Una preghiera
Orofiorentino

Commedia minima - (o poemino centrato).

 
(Del morto amare)
 
I
(Le labbra sibilano sangue)
 
Hai un’arma?
No, amo.
Sai colpire?
No, amo.
Hai difese?
Sì, amo.
Sei ferito?
Sì, amo.
Chi ti uccise?
Fu amore.
 
(Negli occhi chiusi il sipario.)
 
II
L’assassinio.
(Ah, nella sera dell’odio colpi di luna)

Il bacio

il tremor del labbro
che sfiora il tuo
canta tutto il sentire
d'amore che ti porto.
 

Domani

se mai, mentre siedo
sul mio miglior sorriso
solo e malinconico
mi chiedessero dove sei
dovrei cercare nel fondo
del mio cuore
una dolce bugia
per non dire che ti amo
ancora sempre.

Cappuccetto rosso *oh, la bella storia!*

Lontana dal paese è la casetta
della cara nonnina ch’è malata.

- Vorrà la bimba a mamma far piacere,
recarsi a visitarla a mezzogiorno?

La strada, bada, passa per la selva.
Non entrarci, chè il lupo puoi incontrare.

Eccoti il panierin con la merenda
e qualche buona cosa per la nonna.

Mi raccomando, sul sentier t’affretta
e troppo non tardare a ritornare.-

E’ brava Cappuccetto e ben vuole alla nonna,
pregusta i suoi dolcetti, le piccole sorprese,
inoltre a camminare il ciel seren l’invita;
così la fanciulletta in breve tempo è pronta.

- La mamma stia tranquilla.
Farà come le ha detto.
Già tante volte è andata a casa della nonna.
Prima che il Sol tramonti, indietro lei sarà.-

Tutti noi ben sappiamo come finì la storia:

a Cappuccetto caro fu passeggiar nel bosco,
non conoscendo il Lupo gli rivelò la meta
e, in veste della nonna, la fiera la mangiò.

I bimbi ancora oggi, nell’ascoltar la fiaba,
come con lei, contenti s’aggirano nel bosco.
Così ora sentendosi nel ventre della belva
reagiscono con grida, s’arrabbian tanto tanto.

Candidi come sono, la colpa è sol del lupo.

A questo punto giunge il prode cacciatore.
Ucciso è il cattivone.
La vecchia e la bambina rinascon dal pancione.

Son tante le morali di questa storia bella.
A voi sta ricercarle poi che il racconto ha fine.

 

 

Shivashakti

Bersi
di fauci
sudore salato
cristallo sulle tue cosce
accarezza velluti d’avorio
straziarsi
a danza di camionabile
su aspra terraglia di pampa
saziarti
su veleno d’australe sterpaglia
toccami
è il fieno che ti respira
su fremiti di fiato mammifero
sforzo parlarsi
scavarti
come terra impastata
è una scossa di fianchi, lurida
straziami, rapace
ti spazio, indiscreto
molli esploro tue cremisi sete
abbranco
stropiccio di nenia indecente
unto di olio o di enigmi stallatici
ti strazio a implorazioni di scrosci
asceso spazio di estasi discese.

 

Il primo Bordello del paese.

La casa ha un corpo che mi incanta con suoni di tufo indurito dall’età e dal peso di se stesso su se stesso.

Come un contadino antico sulla zappa, l’assito regge danze di fantasmi folli di calore; esalazioni di petrolio, assassino delle tarme, e mura che erano pelle bianca di calce su vene austere alla cui memoria avevano provveduto astuti amori di conserva in autentici quadri di amplessi stinti nei colori e nelle pose.

Poca luce, quasi stanca di ampliare il vuoto, si trascina nel buio ferita dagli scuri. Un vuoto di aria quieta che approfitta di ogni suono per un rintocco proprio; ma nessuna campana ha echi nei porcili e qui il peccato forse dissolse anche capigliature mistiche.

Ogni porta ha rantoli suoi: maniglie consunte e opache che flettono sui cardini il legno assente - o meglio, c’è, ma non invoca olio nei giunti di ferro.

Di qui è passato mio padre, penso, forse mio nonno prima del Carso, ed anche dopo: sulla roccia le pallottole con colpi di moschetto secchi e unici, qui le lenzuola madide degli scoppi al primo colpo di schiena.

La vita è anche questo: vivi su di un corpo che hai pagato male e muori in un corpo che non hai appagato bene.

Eppure, non ci sono tracce di piacere.

E’ fermo l’orologio dei gemiti, veloce nell’ora del vespro e nelle rapide alcove; segnò l’ultimo secondo dell’ultimo amplesso che ancora qui ricordano col nome di Giuan”o tuost’. Leggi tutto »

La vittoria della Resa (2007)

Ora la guerra è finita

Nessuna guerra la si vince se
la si combatte da sconfitti.
Orde di soldati armati di
paura combattono tra loro.
Orde di soldati armati di
rassegnazione si sparano
inutilmente.
La natura insegna all'animale
in estremo pericolo a fingersi morto.
La vita mi ha insegnato
nella stanza degli orrori a fingermi
morto mentre il grande scempio
si compiva.
La vita mi ha insegnato a
fingermi morto mentre mia
sorella piangeva.
Nessuna guerra la si
combatte da sconfitti.
Oggi la guerra sta per finire
nell'estrema attesa che
il Perdono sfondi il muro della
Colpa e inondi silenti deserti
di linfa vitale.
Nessuna guerra la si
combatte da sconfitti.
Chi si arrende alla sconfitta
non può essere più abbattuto.

il mio silenzio

si veste di vuoto
la mia silenziosa anima
un grumo nello stomaco
che non vuole sciogliersi
e mi dà la nausea

respiro il gelo dela notte
cercando disperatamente
il tuo profumo
ma il vento spazza via
ogni atomo di te

tendo le braccia
alla luna
e invoco i demoni
del mio dolore
che si portino via
le ombre
di questo amore

che inutile e perso
come un fantasma
vaga nella notte
dei mie pensieri
gelandomi la mente
con le sue lunghe
dita di ghiaccio
fredde come la morte

a te soccombe
la mia follia
e in ginocchio
mi piego
implorando
al mio silenzio
di tacere.

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