Scritto da © Andrea Occhi - Gio, 15/03/2012 - 08:42
Scavo, rimuovo terra, mi addentro negli strati geologici che si sono coricati l’uno sull’altro come un millefoglie di minerali dal nocciolo sorprendente. Non utilizzo strumenti diversi dalle mani e le unghie si anneriscono come listate a lutto per la perdita dell’oggetto del loro sensibile tocco. Ti sei presa gioco di me e mi hai strappato qualcosa che ignoravo di possedere, che ignoravo sorridesse dentro di me. Ed ora per cercarlo, talmente era prezioso ed antico, nato molto prima di me, penetro la preistoria del suolo che calpesto barcollando, schivando conchiglie e trilobiti imprigionati nel passato. Solo una pietra preziosa, racchiusa in un geode, che possiede il colore del vino e porta il tuo nome, potrà restituire sobrietà alla mia consapevolezza, potrà eliminare i postumi della sbornia della tua sgradita assenza. Per curarmi dalla tua infezione, pare assurdo, ho bisogno di te. Sei il mio φάρμακον, mi doni felicità, pur senza aver accettato che io ti amassi, quando lo desideravi.
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