Le carte da gioco napoletane - Il tre di bastoni - | Recensioni | Antonio Cristoforo Rendola | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

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Le carte da gioco napoletane - Il tre di bastoni -

Don Enrico Tummolo e il tre di bastoni
 Carissimi lettori questa volta voglio farvi raccontare la storia delle carte napoletane, e chi meglio di don Enrico Tummolo lo può fare?
 
 
      Vi chiederete chi sia costui, allora vi parlerò brevemente di lui. Tanto per cominciare lo vedete immortalato nella foto a destra con la carta del tre di bastone, ed a proposito di “immortalato”, don Enrico è un mio caro amico, impresario di pompe funebri.  Se dovesse servirvi, sappiate che applica prezzi concorrenziali: due al costo di una, con materiale di ottima qualità, finemente lavorato e soprattutto comodo. Posso garantire, ho sperimentato personalmente. Una volta mi disse:
 
-Don Antò, quando vi prego, fate ‘na prova…-
- ‘Na prova?- feci sbalordito.
- Si, stendetevi dentro e ditemi come vi trovate…-
 
Dopo varie insistenze, mi stesi e lui mi chiese:
 
-State comodo?
-Comodissimo…-
- Don Antò, vuie llà dinte state nu bijù!-
 
      Con don Enrico ed altri tre amici: Don Cosimo ‘o salumiere, don Gaetano ‘o zarellare(1) e don Vicienzo ‘o sapunare,(2) eravamo soliti riunirci fuori dalla sua bottega bardata in nero e giocare a scopa. Le carte di don Cosimo, quando erano a “terra” si riconoscevano subito perché profumavano di mortadella. Don Gaetano ci rivelava i punti secondo il colore delle sue orecchie: se erano rosse, aveva in mano il settebello, se erano pallide, non teneva un punto, se si muovevano, minacciavano scopa, Le carte di don Vicienzo, invece puzzavano e bisognava starne lontano.
Don Enrico, poi, era un fenomeno! Ricordava tute le carte che uscivano e per questo era difficile giocare contro di lui, tanto che ce lo disputavamo come compagno con la “conta”.
La moglie era morta e, data la comodità, le fece uno dei più bei funerali che mai furono visti a Napoli: tiro a dodici, due cocchieri a cassetta e due valletti sul retro. fiori a morire…ehm…cioè voglio dire molti, bara a doppia piazza, artistica, dipinta a mano in stile barocco, corteo di battenti e quintetto di “neniose”(2) tutte rigorosamente in nero. Insomma: il trionfo della morte. Aveva già pronto qualcosa per la suocera sopravvissuta alla figlia, ma non intendeva svelarlo.
Vestiva, naturalmente sempre di scuro e voce di popolo narrava che, addirittura, andava a letto con pigiama nero sotto lenzuola viola.
Fatta questa debita presentazione, ve lo lascio leggere.
 
 
Il tre di bastoni
 
 
      Salute a noi sono don Enrico Tummolo, amico di don Antonio dal quale ho già avuto degna presentazione. Per non farvi sembrare questo scritto un mortorio cercherò di colorirlo con aneddoti e fatti divertenti e speriamo, ohibò, di divertirvi.
Dicunt, cioè si dice, si narra che le carte da gioco siano di presunta origine orientale e furono portate dagli Arabi in Italia, dove ebbero grande diffusione in Campania, Toscana e Veneto.
Salute a noi, le carte napoletane sono divise in semi e ogni mazzo contiene quattro semi ogni dieci carte. Quindi, se la matematica, salute a noi, non è opinabile, le carte sono quaranta. Il seme più importante è quello di denari con i quali si possono comprare le spade ed i bastoni ( armi e potenza politica) e le coppe (il potere del vizio).
I quattro semi rappresentano, quindi, salute a noi, tutti i caratteri tipici dal 1300 ad oggi e cioè: il potere, la politica, il piacere.
 
      Mò prestatemi attenzione che vi dico…Ho detto prestatemi attenzione si no vi suono un buffet tone! Mannaggia ‘a culonna! Guardate che io sono un tipo incazzoso da pigliare con le molle. Avete visto che faccia tengo? Si, si, quella lì in fotografia…Neh, io una ne tengo!
Andiamo avanti e buona salute…
Intorno al 1860 Napoli viveva in un caos spaventoso. Francischiello aveva concesso una costituzione impopolare, i garibaldini marciavano sulla città, un’amnistia aveva riaperto le prigioni riversando sulle strade la peggiore feccia…Mamma d’’o Carmine! La popolazione si preparava a difendersi dal saccheggio…Insomma ‘nu casino di chi l’è muorto!
Mò, datasi la situazione, la buonanima del Prefetto, salute a noi, che fece? Costituì ‘na specie di guardia cittadina reclutandola tra i camorristi amnistiati. Ogni squadra era composta di tre picciotti ognuno dei quali era armato con un bastone e portava in testa un cappello con una coccarda tricolore. Tra i capintesta vi era Nicola Ayossa, terribile e feroce camorrista che divenne poi Commissario. Questo Ayossa, sebbene, salute a noi, fosse tubercolotico, si metteva di notte da solo a bastonare i delinquenti. 'Na notte, si accorse che una mandria stava passando la barriera daziaria senza che i mandriani pagassero la dovuta gabella. Neh, quello, salute a noi, non li mise tutti in fuga da solo? Un’altra volta fermò un carro funebre, salute a noi, -Scummigliate ‘stu muorto – disse e tutti quanti videro che nel tavuto ci stava un grasso maiale. Insomma ‘stu guappo diventò tanto famoso che dopo la sua morte, salute a noi, se ne volle celebrare la figura dipingendola artigianalmente sulle carte da gioco. Il volto di Ayossa campeggia su tre grossi bastoni circondati da alloro che simboleggia l’idolatria che il popolo nutriva per questo personaggio. 
 
Proverbio del giorno:  "Si ‘a femmena bona vene tentata e resta onesta, significa che nun è state bona tentata".
 
Salute a noi e saluto a voi.
 
(1) Venditore di giocattolini e dolcetti
(2) Vende o baratta roba vecchia
 

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