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E' accaduto


Il vomere sotterra il giallo dell'ormai inutile seccia e le colline mostrano il grigio creta che tende al viola tenue, come l'impasto destinato al vasaio che la maneggia, la forma e poi la mette in forno. Non si ricorda un'estate calda come questa, se non quella di fine guerra, la seconda, quando passarono di qui le truppe germaniche in ritirata. Quell'anno fu annata magra di grano e di granaglie. La frutta venne striminzita, l'uva dette poco vino e neanche tanto buono ma, per fortuna, c'era in attesa il raccolto più ambito, la pace, alfine.
Di quel tempo rimane anche un rudere, invaso dai rovi e dagli arbusti inutili, spontanei, tra i quali spunta un mozzicone di balcone, a testimoniare che ci si abitava. È l'ultimo baluardo dell'antico borgo, non ricostruito, una testimonianza che cerca ancora di resistere.
Si chiamava Hans, austriaco di nascita.
Durante la ritirata tedesca, era un artificiere della wehrmact in forza ad un reparto che risaliva la Toscana e comandava un drappello incaricato di far saltare i passaggi obbligati per ritardare l'avanzata degli alleati. Mentre faceva minare il paese, venne avvicinato da un abitante del luogo, un invalido di guerra, quella precedente, che aveva fatto anni di prigionia in Austria e conoscendo un po' di tedesco, cercando di fraternizzare, tentava di farlo recedere dal minare le case che incanalavano la stretta carreggiata che andava oltre, verso Nord. Cecchino, così lo chiamavano, per via della sua partecipazione alla Grande Guerra, non certo in quella veste, la mise sul sentimentale, sul patetico. Domandò al militare di dove fosse, come si chiamasse ed ebbe delle risposte insospettate, che lo commossero, perfino. Lui, fatto prigioniero, poiché ferito, venne mandato nelle retrovie e una volta curato, utilizzato nei lavori agricoli che sapeva fare. Ora stava interloquendo, coincidenza impensabile, con quello che era il bambino della famiglia di agricoltori presso i quali aveva lavorato come prigioniero di guerra.  Anche il “tedesco” ricordò, anche se non lo riconobbe e, per questo, minò soltanto parzialmente l'abitato che così ebbe danni limitati.  

Non c'era cuore per i ringraziamenti. Il fronte passò via accompagnato dal rancore e l'odio per le passate sofferenze. Molto dopo, qualcuno pensò di andarlo a trovare, una sorta di gratitudine ritardata, ma, oramai, soltanto pochi, ricordavano l'accaduto. Non se ne fece nulla.
Da quel rudere, sulla cui sommità riconquistata dalla vegetazione, svetta un gran cipresso e un leccio fronzuto, si perde lo sguardo sulle colline dai poggi sormontati d'abitati. Gli uliveti vestiti di verde  argentato, limitano i filari delle vigne, i rondoni sfrecciano a caccia d' insetti. Si sente la tortora tubare di continuo.
C'è attesa, manca la pioggia, perché crescano i frutti e un buon raccolto ripaghi della pazienza di aspettare.

 

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