Cosette Miserabili - Capitolo IX° | Prosa e racconti | Maria Savasta | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

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Cosette Miserabili - Capitolo IX°

 Patetica storia di Sole
 

In quel tempo in un sereno e tiepido giorno di metà gennaio stavo seduta su di un gradino al sole, ero convalescente di una brutta bronchite ed era il primo giorno che mi alzavo, la sorvegliante disse che ero più alta e più magra, io mi sentivo debole, come svuotata e con le gambe che mi tremavano.

Il tempo passava e le fanciulle diventarono sempre più irrequiete, il campanello del pranzo ancora non suonava.

Alle 14 circa la Superiora innervosita chiama la cuciniera:

“Cos'è questa storia? Oggi non si mangia? Facciamo digiuno e astinenza? Non siamo in Quaresima ed anche se lo fossimo di mezzogiorno si mangia sempre; le bambine hanno fame, hai dimenticato di cucinare il pranzo?”

<<Madre non c'è niente.<<

“Come non c'è niente...?! nemmeno pane?”

<<Nemmeno pane.>>

“E nemmeno pasta?”

<<Nemmeno pasta>>

“E patate, e farina...?”

<<Nemmeno patate e farina e nemmeno legumi e olio, non c'è niente di niente.>>

“Disgraziata, scimunita, e me lo dici solo ora con quella faccia da schiaffi? Mi sai dire dove trovo ora da mangiare per trentacinque persone?”

<<Ma non dice la Scrittura che non ci dobbiamo preoccupare perché Dio pensa agli uccelli del cielo e ai gigli dei campi e noi siamo più importanti?>>

“Ma la Scrittura dice anche <non tenterai il Signore Dio tuo>”

<<Ma non ci dobbiamo fidare della Provvidenza?>>

“Aiutati che Dio t'aiuta, questa è saggezza popolare, vattene, vattene davanti ai miei occhi, mi prudono le mani e non voglio dare scandalo alle ricoverate.”

La povera Suor Vincenzina si mise a piangere e coprendosi il volto con il grembiule andò a nascondersi in un angolo.

La Superiora suonò la campana grande quella che si usava per la Messa o per qualche evento o adunanza importante.

Tutte in Cappella a pregare Sant'Antonio che ci mandi il pane. Anche tu, mi disse una monaca trascinandomi per un braccio.

La cappella si riempì di bambine irrequiete ed affamate che cominciarono con voci argentine a gridare al cielo: “Sant'Antonio mandateci il pane, Sant'Antonio mandateci il pane...”

Gridavano così forte che non capivo cosa dicevano: avevo solo tre anni e un mese.

“E tu perché stai zitta? Ti fa male la lingua? Alza le mani e prega anche tu.”

Cercai di aprire bene le orecchie per capire la strana litania. Ecco, sì, ora mi era tutto chiaro e con le braccia alzate e la voce squillante cominciai a gridare anch’io:

<<Sant’Antonio mandateci il cane, Sant’Antonio mandateci il cane.>>

“No, no il cane; il pane, il pane…”

<<Sì, sì Sant’Antonio mandateci il cane, mandateci il cane…>>

La mia vocetta acerba si alzava forte nel coro: trentaquattro invocavano il pane, una il cane.

La monaca mi guardò truce: “prega, prega per il pane.” Ed io ancora più forte gridai: <<Sant’Antonio mandateci il cane.>>

Eravamo in Cappella da oltre mezz’ora a pregare e invocare Sant’Antonio, quando si sentì bussare e venne la cuciniera stravolta a chiamare la Superiora.

<<Vede? Non avevo ragione che ci dobbiamo fidare di Dio e della Provvidenza? Guardi.>> E con gesto teatrale le indicò alcuni uomini che facevano avanti indietro da un camion all’Istituto.

Scaricarono il ben di Dio: diversi sacchi di grano e riso, farina di grano duro e tenero, pasta a iosa, e una ventina di chili di pane caldo appena sfornato.

Quasi scusandosi il capo disse: “ci manda il proprietario del molino-pastificio ‘Granoro’ , tutta questa roba è per le orfanelle, per grazia ricevuta. E…, senta Madre, mentre venivamo per poco non abbiamo fatto un incidente, in mezzo alla strada c’era fermo un cagnolino che malgrado i colpi di clacson non si muoveva di un centimetro. L’abbiamo preso e se non le dispiace lo lasciamo qui, per le bambine perché noi non abbiamo dove metterlo o portarlo.”

Non aveva finito di parlare che fece capolino dal portone ancora aperto il farmacista Raffaele detto Benedicite. Era da poco tornato dall’India per un suo viaggio mistico-spirituale alla ricerca di se stesso. In India aveva il suo guru personale che materializzava oro dall’aria e riduceva in fumo i dollari. Questo guru o maestro gli aveva insegnato a respirare senza inspirare ed espirare aria, a fare lunghi digiuni senza morire e restare seduto mezzo nudo in meditazione per ore senza sentire ne fame, ne sete ne caldo ne freddo. Il farmacista era tornato ancora più segaligno e con l’aria ascetica. Con voce ieratica e gesti quasi sacerdotali disse che mentre si accingeva ad andare fra i suoi alambicchi, aveva sentito delle energie positive nell’aria, erano energie cosmiche di grida d’aiuto e bontà umana, aveva seguito questa forte energia che sentiva nella sua mente e l’aveva guidata dritto all’Orfanotrofio.

Finì profondendosi in inchini e sproloquiando a destra e a manca ‘benedicite, benedicite … ‘ in continuazione. Il mistico Raffaele non aveva mai fatto dei discorsi così lunghi e ed eccezione di quella volta non lo sentii mai più parlare, tranne che per borbottare ‘benedicite, benedicite’.

La monaca ascoltò la cuoca, l’operaio, il farmacista; vide farina pasta pane e cane, e sbiancò: il pane e il cane, il pane e il cane … Mi guardava stranita: “sei stata tu a chiedere il cane, E meno male che sei stata solo tu, t’immagini se fosse stato al contrario, che solo una bambina pregava per avere il pane e trenta per il cane …! Avremmo avuto una trentina di cani e un solo sacco di farina. “ e il suo volto dai lineamenti duri di naziskin per un attimo si illuminò d’un sorriso.

Come per un tam tam, la storia del pane e del cane si propagò in un batter d’occhio nel paese, i più semplici e fervorosi gridarono al miracolo, altri sapienti e intelligenti delle cose del mondo e della vita credevano che era stato solo una casualità, gli gnostici e i rossi scuotevano il capo dicendo che era tutta un’invenzione della Reverenda Madre per far pubblicità all’Istituto; il Parroco e il Signor Vescovo messi al corrente dell’accaduto furono convinti che le nostre preghiere inumidirono il Cielo e che piovve su di noi l’amore.

Io posso confermare che è tutto vero: pregai per il cane e le mie compagne per il pane. Arrivarono l’uno e l’altro. Non so come e perché, ma quel giorno ci sfamammo con pane caldo ed avemmo cibo ad iosa per diversi mesi.

Il cane era un piccolo meticcio di tre mesi circa, tutto biondo con una stella bianca in fronte, lo chiamai Sole perché con lui era entrato un raggio di sole nel grigiore dell'orfanotrofio.

Era vivacissimo e scorazzava da una parte all'altra dell'Istituto inseguendoci e tirandoci per la vestina, non rispettava il silenzio e quando tutto taceva si sentivano il suo allegro abbaiare, noi ridevamo coprendoci la bocca, le monache pretendevano che anche lui stesse zitto, ma poverino era più forte di lui: taceva per pochi minuti e riprendeva felice a parlare e correre chiamandoci perché giocassimo con lui.

Sole aveva anche il vizio di seguirci in Cappella e questo non era accettato nel modo più assoluto dalle monache. Una volta si nascose dietro l'altare mentre il Parroco diceva Messa, e ciò fu un errore gravissimo del piccolo Sole: lo presero,lo picchiarono e fu rinchiuso nella legnaia.

Sentivamo il suo pianto.

Il cagnolino non era un pelouche, era un essere vivente con la sua sensibilità e il suo cuore; anche lui come noi cominciò ad avere paura delle Vestali e quando si avvicinava la Kapò o la sorvegliante, abbassava le orecchie e la coda e se la faceva sotto.

Sole divenne sempre più antipatico alle monache, lo chiusero più spesso nella legnaia e lo facevano uscire solo nella mezz’oretta della ricreazione: anche lui era un orfano ricoverato e come tale doveva sottostare alle regole, e visto che non capiva un accidente perché era un cane, glielo imponevano con la forza.

Per rendere giustizia al piccolo cagnetto devo dire che non era affatto stupido, anzi…! Aveva capito benissimo il nostro amore e il rigore delle Vestali: infatti era felicissimo quando ci vedeva, facendo feste e capriole, mentre s’intristiva e si faceva piccolo piccolo, sdraiandosi a tappetino alla vista delle Kapò.

Il cagnetto Sole giocò con noi durante la ricreazione per qualche mese, poi lo vedemmo sempre più raramente.

All’inizio dell’estate quando la maggior parte delle bimbe tornavano in famiglia per le vacanze estive, scomparve anche Sole.

Io restai all’orfanotrofio, nessuno veniva a trovarmi o a farmi passare un fine settimana in famiglia. Mai. Cercai dappertutto il mio piccolo amico, ma sembrava svanito nel nulla.

Ne soffrii molto.

Mi consolai pensando che almeno a lui era stata risparmiata l’ignominia del ‘numero’.

Sì, perché pur essendo orfano e ricoverato come noi, Sole non fu mai numerato e mantenne il suo nome.

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