Dealan-Dé | Post comici, demenziali, ludicomaniacali | Andrea Occhi | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

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Quando non si sentiva appartenere al mondo che lo circondava, non per inadeguatezza, quanto, piuttosto perché tutte quelle infettive reazioni ai batteri patogeni che lo aggredivano per l’esposizione al male in cui viveva ogni giorno, non solo per necessità, ma anche per piacere, si rifugiava tra la marmitta nera e la sella celeste della sua piccola Honda XLR rossa. L’aveva acquistata usata nel 1986, con i soldi guadagnati a raccogliere pesche nettarine e albicocche nei frutteti sulle colline vicino a casa. Le era affezionato. Calcava il casco in policarbonato nero sul capo, girava la chiavetta di accensione appesa ad un portachiavi di stoffa rosa a forma di boxer, stampa Naj-Oleari, premeva il pulsante di avviamento elettrico ed il rombo quattro tempi, pieno, lo conduceva altrove, nel suo altrove. Spenta la spia verde “neutral” fuggiva. Non era difficile. Bastavano pochi litri di carburante ed una cartina dell’IGM, avvolta in una bustina di plastica, di quelle che hanno il margine destro traforato, sotto il giubbotto. Prima di percorrere il ponte sul fiume che divide la Romagna dalla Toscana, svoltò a destra, attraverso il borgo celtico di Gattara e proseguì sulla salita sino a che sulla sinistra un piccolo cimitero abbandonato comparve con la sua croce arrugginita. Si fermò. Tolse il casco, il sole era caldo sul viso, gli occhi protetti dai neri Wayfarer. La marmitta scricchiolava per il calore. Ronzio di api intorno. Varcò il cancello. Lapidi a terra con nomi illeggibili. Alcune lettere lucide brillavano ciondolanti, un parziale nome di donna, spiccavano sull’opaco abbandono. “De..an.é”. Ogni volta si fermava ed ogni volta aveva la strana sensazione che fossero mutati alcuni particolari, oltre allo scintillio dei caratteri. Le parlava, si confidava. E lei pareva comprenderlo con il suo sguardo in bianco e nero sbrecciato ed il sorriso imbronciato. Una farfalla si posava sempre sull’accento finale, muovendo le ali come palpebre. Erano tre anni che non baciava labbra femminili. Non ne sentiva il bisogno. Non che fosse giunta quella situazione in virtù della quale i vasi sanguigni di quella parte del corpo non la riuscivano più ad inturgidire poiché occlusi, quanto piuttosto perché il suo cervello non richiedeva una compresenza per la creazione di endorfine. L’appagamento ed il benessere, quando necessario, se lo donava da solo. Trascorreva ore in sua compagnia e, prima che indossasse il casco, la farfalla dalla lapide, leggera, lo accarezzava sul viso. Prima di rimontare in sella, quel giorno, si ricordò di avere tre piccoli doni per la sua amica. Estrasse dalla tasca dei jeans tre lettere luccicanti e le incastonò tra le altre. La farfalla sfiorò il suo nome.
 
 

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