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D'improvviso (Racconto di una fine, e di un nuovo inizio...)

Quando quel venerdì di metà gennaio decisi che fosse giunto il momento di andar via per sempre da Bari, l’unico pensiero impossibile da abbandonare fu quello di Angela. Fui in grado di lasciarmi alle spalle gli affetti familiari e i tanti cari amici di una vita vissuta per 39 lunghi anni in una città ambigua, dai mille volti, e senza prospettive professionali per un uomo
della mia età, ma l’assenza di Angela rimase a lungo un vuoto incolmabile, una ferita impossibile da rimarginare. Ogni volta che il suo ricordo, o anche soltanto il suo pensiero, faceva capolino nei miei occhi, o nella mia memoria, quella profonda lacerazione dell’anima riprendeva a sanguinare d’un dolore sordo, soltanto sopito nella sua crescente e inarrestabile intensità. Spesso talmente forte, pulsante, che avvertivo la sensazione di non poter più respirare. Avevo desiderato sino all’ultimo che anche Angela prendesse la mia stessa decisione e trovasse il coraggio di seguirmi, ma le cose erano andate purtroppo diversamente. Nonostante in precedenza le avessi in più di un’occasione ventilato la possibilità che un bel giorno avrei tirato i remi in barca, e avrei lasciato sprofondare nelle paludi della mediocrità cittadina tutto quello che non mi era riuscito di costruire professionalmente, sparendo dalla mattina alla sera senza voltarmi, nulla in lei era cambiato. La sua unica risposta era sempre stata una passiva e frustrante accettazione dell’eventualità discussa ogni volta con troppa foga, e senza che neppure gli strascichi di quella tensione fossero mai riusciti a spingerla un minimo a rivedere la sua decisione, o quanto meno a riconsiderare la possibilità che anche lei potesse fare un passo del genere, così da evitare che la rottura del nostro amore si consumasse in circostanze tanto tragiche. A niente era mai valsa l’irruenza verbale con cui m’intestardivo a rivolgermi a lei quando le circostanze ci portavano d’improvviso a discutere della mia volontà di scelta, né le catastrofiche previsioni delle quali non facevo mistero su ciò che sarebbe divenuta la nostra vita di amanti lontani, se un bel giorno quella decisione fosse stata presa, nell’incuranza delle drammatiche conseguenze che ne sarebbero scaturite. Tentavo di scuotere Angela sperando che la sua sopportazione travalicasse i limiti che una donna mediamente riesce a mantenere, e l’inducesse a riconsiderare l’unica scelta che le avrebbe consentito di restarmi ancora vicino. I nostri continui e accesi scontri verbali finivano invece, sempre, per dissolversi in un chiacchiericcio inutile, litigioso, sterile e sfibrante per entrambi. Uno scambio di reciproche accuse incapace di far comprendere a me per tempo quanto lei contasse nella mia vita, e ad Angela la vera portata dell’eventualità di una mia partenza, ‘fuga dal presente di un uomo irrealizzato’, che sarebbe presto o tardi arrivata a concretizzarsi in maniera sconvolgente e immediata. In un dove e in un quando che però neppure io, in realtà, quando ne litigavamo, avevo ben chiaro in mente. Poi una mattina, una mattina diversa dalle altre, in cui il sapore del Natale si percepiva ancora a sprazzi nell’aria sferzante e salata che il Maestrale spingeva con forza dal lungomare verso le vie della città più interne e strette, aveva d’improvviso sparigliato le carte in tavola, e qualcosa dentro di me era cambiato nel tempo d’un respiro. Come quel vento sapeva agitare qualunque oggetto o persona incontrasse sul suo cammino, confortato dalla potenza donatagli da madre natura, così il mio lato più nascosto prendeva in pochi istanti con prepotenza possesso delle decisioni di una vita, e a nulla e a nessuno sarebbe stato consentito chiedergli appello. Il proposito ripetuto alla mia codarda coscienza tante, troppe volte, negli ultimi tre anni, a cui mai ero stato in grado di dare seguito nel terrore che ciò comportasse la fine di tutto quanto rappresentava il mio presente, aveva finito in meno di due ore per trasformarsi in una precaria realtà dalla quale non mi sarei mai più distaccato. Il lato razionale di me stesso, quello che da sempre aveva saputo contrastare i propositi di fuga del mio io adolescente in crescita, di continuo preda di un delirante e istintivo bisogno di libertà ed evasione da una realtà troppo stretta e angusta, buona solo per un uomo qualunque, era stato colto di sorpresa dalla partenza a cui la mia ingovernabilità d’animo seppe consegnarmi, senza che nulla di me stesso riuscisse a opporle freni né dubbi. L’irrazionalità confinata per una vita intera alla definizione di essenza d’un carattere difficile e non gestibile, non fu in grado in quegli istanti di agire lucido eppure così ‘volutamente confuso’, di prevedere il dirompente e inarrestabile domino di eventi e circostanze che, nel bene e nel male, la scelta della fuga avrebbe innescato da quell’istante in avanti. Che mi fosse piaciuto o meno, gli eventi in cascata che ne sarebbero seguiti, avrebbero avuto pesanti ricadute oltre che sulla mia vita anche su quella di tutti coloro che ne avevano sino a quel giorno fatto parte, e che dopo la mattina della mia partenza non seppero più a quale funesto destino avessi deciso di consegnarmi. Erano le sette e trenta del mattino quando cominciai a prepararmi la valigia. Angela non ebbe il coraggio di alzarsi dal letto. Sapeva ciò che stava accadendo, ma sembrava che la cosa non le importasse. Il giorno prima, nell’ennesima discussione che avevamo avuto il suo modo di fare era stato freddo, distaccato, quasi assorto. Dentro di me però sapevo che, non meno di quanto stesse accadendo al mio animo, la lacerazione e la frattura che la sua coscienza avrebbe subito dopo che fossi andato via non sarebbe mai più guarita, eppure recedere dalle proprie convinzioni sarebbe stata un’impresa ardua, se non impossibile per entrambi. Terminai di prendere le mie ultime cose mentre lei si girava e rigirava nel letto in preda a un terrore e a un’angoscia percepibili a distanza. Pur tuttavia, non sufficienti a far cambiare idea nessuno dei due sulla sorte alla quale ci stavamo consegnando incapaci di trovare un’altra via, un’altra soluzione che potesse mettere d’accordo le aspirazioni dell’uno con le aspettative dell’altra. Il dado era tratto, e soltanto un ripensamento dell’ultima ora, ai limiti del miracoloso, avrebbe potuto e saputo impedire che il peggio potesse avere inizio. Quando ebbi finito di preparare il mio piccolo bagaglio, vidi Angela davanti alla porta d’ingresso che stazionava in camicia da notte, con le lacrime agli occhi e uno sguardo spento, intriso d’un misto di rabbia e sconforto. La sua fisicità snella e formosa al tempo stesso sembrava aver perso la sensualità che me l’aveva fatta notare tra tante, così come la magia che ci aveva unito sino a quegli istanti sembrava essersi dissolta in un fugace e sbiadito ricordo.
- Sai che non potremo più tornare indietro, vero? - sentenziò mentre cercavo di sviare il suo sguardo disperato.
- E’ un rischio che ho messo in conto di dover correre. Non ce la faccio più a restar qui. Non mi sento più un ingegnere, e soprattutto non mi sento più un uomo. Devo riappropriarmi di me stesso - le risposi, evitando però di aggiungere quel ‘con o senza di te’ che la mia lingua non avrebbe disdegnato di proferire per inorgoglirmi il morale.
Angela non replicò e smise di guardarmi. Abbassò gli occhi in direzione dei suoi piedi, e quando le fui accanto, vicino alla porta d’ingresso, si allontanò in silenzio a piedi nudi senza darmi il tempo di riuscire ad aggiungere altro. Quella fu l’ultima volta che vidi Angela. L’ultima volta che la vidi dal vivo, intendo, perché in realtà la sua presenza fu una delle poche certezze costanti nel lungo viaggio che mi stava aspettando.
 
 

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