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Equivoci e sospetti

Sono sposato da ventisei anni, (ed aggiungo felicemente perché se capita mia moglie a leggerlo e non trova l’aggettivo poi facciamo una storia infinita), felicemente con una donna incantevole, comprensiva e per nulla sospettosa. Almeno così credevo fino a un mese fa.
 
Fino al giorno in cui ho conosciuto la mia futura moglie non ero uno stinco di santo, il giorno dopo lo sono diventato.
Lei mi racconta spesso di quante volte ha dovuto rintuzzare i salaci commenti di amiche e comari e consigli gratuiti sul lasciarmi perdere per via della nomea che mi ero fatto. Lei, imperterrita, ci passava sopra con un sorriso di rassegnazione e con la ferrea convinzione che il passato è passato e sepolto e il futuro è da vivere con fiducia e stima reciproca.
La mia vita da scapolo era così incasinata e rumorosa che perfino le monache si facevano il segno della croce quando m’incrociavano, nemmeno fossi il demonio in persona. Per la verità confesso che un pensierino su una di loro, una giovane promessa, ce lo avevo fatto.
Comunque dopo sposato una di esse, quando il bambino andava all’asilo delle suore, intavolò una conversazione con mia moglie e gira e rigira si lasciò scappare una esclamazione di compatimento.
“Eh, poveretta te, come fai con quel marito che ti ritrovi!” Mia moglie, costernata, chiese spiegazioni ed ella continuò:
“Sai un donnaiolo come quello certo che non ti fa dormire la notte!” Mia moglie, facendo buon viso a cattivo gioco, cercò di appurarne di più e venne fuori che la sposa del Signore si riferiva a fatti molto antecedenti, ovviamente era rimasta piuttosto impressionata dalle dicerie sul mio conto. La controffensiva di mia moglie fu che conosceva per filo e per segno il mio passato e che da dopo il matrimonio io ero tutto casa e lavoro. Comunque dopo il chiarimento non credo che si siano più parlate.
Tutto questo per dire come la mia vita coniugale andasse liscia come l’olio fino a un mese fa quando successe il putiferio.
Erano le nove di sera, ed io casualmente non ero ancora rincasato, quando squillò il telefono. Mia moglie spensierata andò a rispondere:
“Pronto”
“Pronto sono Paolo, il figlio di Michele, vorrei parlare con il nonno” Ecco, è bastata questa semplice frase per scatenare un terremoto con tanto di tsunami. Per la cronaca Michele sono io. Il nonno, che doveva essere mio padre, purtroppo deceduto poco tempo dopo questa telefonata. (inutile malignare, non è morto per la telefonata ma stava male già da un pezzo).
“Scusa, hai detto di chiamarti Paolo? E da dove chiami?”
“Da Scandicci, vicino Firenze”
“Sì, so dov’è, e quanti anni hai Paolo?
“Trentadue. Posso parlare con il nonno, per favore?”
“Ecco adesso no, è assente, prova a richiamare tra un’ora”
“Non abita con voi?”
“No, ma a casa sua non c’è telefono. Tu chiama tra un’ora. Capito?”
“Sì, sì, d’accordo, tra un’ora. Buonasera”
Ora, facciamo una pausa di riflessione. Ho volutamente tralasciato la descrizione dello stato d’animo di mia moglie durante la telefonata, uno perché non ero presente e secondo perché non sono ancora riuscito, benché sia passato un mese e tutto si è chiarito, a trovare le parole idonee per descriverlo.
Un quarto d’ora dopo sono rincasato, calmo e tranquillo. Non ho fatto caso alla mia signora perché lei era intenta a leggere il Telesette, o almeno così sembrava. Le ho chiesto se avesse telefonato nostro figlio, il più grande, che risiede fuori Montepiano, e lei mi ha risposto di no scuotendo il capo. Le ho chiesto degli altri due più piccoli e mi ha risposto con una scrollata di spalle.
A questo punto campane, campanelli e sirene si sono messi a suonare all’unisono. “Attento Michele, qui c’è qualcosa che non va per il verso giusto” mi sono detto. Ho fatto finta di niente e ho tirato dritto alla successiva domanda di rito.
“Cosa c’è per cena? Ed eccola lì la prima bordata.
“Quello che c’è” Uhm, attento, qui la situazione è davvero grave!
“Che sarebbe quello che c’è?”
“Veleno!” Eccolo lì, il siluro è partito. È la dichiarazione ufficiale di guerra. Ora non ci si poteva più tirare indietro né scansarla. Sospirai come un toro pronto davanti alla banderuola.
“Avanti su cos’è successo?” non sapendo di cosa si trattava non avevo alcun motivo di stare in guardia.
“Chi è Paolo?” mi chiese sillabando ma con tutta la risolutezza che solo le donne conoscono.
“Paolo? Paolo chi?”
“Paolo, tuo figlio” la squadrai come per dire: ti da di volta il cervello?
“Mio figlio? Ma di che diavolo stai parlando?”
“Me lo devi dire tu di cosa sto parlando” Uffa! La cosa che più mi secca è quella di affrontare una discussione in minoranza, all’oscuro dell’argomento, anzi certe volte mi fa andare fuori dai gangheri. E, lo confesso, ci stavo andando molto vicino. Mi armai di santa pazienza e mi avvicinai. Lei se ne stava seduta sul divano con la testa volutamente piegata in avanti. Allungai una mano per farle alzare lo sguardo ma il tentativo viene assassinato sul momento.
“Non ti azzardare a toccarmi!” Eh no, adesso basta, quando è troppo è troppo.
“Buon Dio, posso sapere che cazzo è successo?”
“Non alzare la voce con me e non usare il turpiloquio”
“Senti, se non mi dici subito cosa ca.., diavolo succede altro che turpiloquio” Chiarii scomposto.
“Sì, fatti vedere e sentire dalla gente”
“Guarda che siamo in casa”
“La gente ti sente lo stesso”
“Prima che esplodo, dimmi per carità cosa è successo!”
“Prima dimmi chi è Paolo”
“Ma Paolo chi?, per la miseria. Vuoi parlare una volta per tutte?”
“Ha chiamato mezz’ora fa dicendo che era tuo figlio e che voleva parlare con il nonno”
“Che cosa? Ha detto di essere mio figlio?”
“Sì e voleva parlare con tuo padre”
“Tu cos’hai risposto?”
“Che gli dovevo rispondere? Gli ho detto di richiamare tra un’ora. Anzi, a momenti dovrebbe farlo”
“Stammi a sentire, qualcuno avrà fatto senz’altro uno scherzo, sai, di stupidi ce ne sono in giro”
“Non credo, non mi sembrava la voce di uno stupido, con quell’accento poi!”
“Perché che accento aveva”
“Toscano, di preciso ha detto di chiamare da Scandicci” un campanello d’allarme prense a tintinnare.
Facciamo adesso il punto della situazione, ora voi direte: ecco, le magagne vengono a galla. Chissà cosa avrà combinato il porco trenta e passa anni fa? Il campanello è significativo in queste circostanze.
Invece no, siete tutti fuori strada e il campanello ha una giustificazione plausibilissima, mi dispiace deludervi ma è così.
“Hai detto Scandicci? Allora forse so di cosa si tratta”
“Se non lo sai tu? Chi allora!”
“Ah piantala e ascoltami. Ti ricordi quando una volta ti ho parlato di quel mio cugino di primo grado che si chiama come me e che per un certo periodo ha vissuto dalle parti di Firenze prima di trasferirsi in America?”
“E allora? Vorresti scaricati su di lui adesso?
“Macchè dici! Quello si era sposato in Toscana, poi si è separato dalla moglie e l’ha lasciata in Italia con un figlio. E questo è avvenuto circa in quel periodo. Tutto qui”
“Ed io dovrei crederti?”
“Ascolta, ti ha detto per caso come si chiamava il nonno? Ha fatto il nome di mio padre o quello di mio zio? Pensaci bene e rispondimi” Finalmente uno spiraglio, il dubbio le s’insinuò.
“No, veramente ha detto solo che sono il figlio di Michele e vorrei parlare con il nonno, nient’altro”
“Ecco spiegato l’equivoco. Comunque hai detto che dovrebbe telefonare a momenti, vedrai se non è così”
Dieci minuti dopo il presunto figlio ha richiamato, ho risposto direttamente io e in poche battute si è chiarito del tutto l’equivoco. Era mio nipote, che peraltro non avevo e non ho mai avuto il piacere di conoscere.
Però, com’è piccolo il mondo!
 
 

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