Il cacciatore, la preda (ipotesi dell'esterno variegato all'interno chiuso) | poeti maledetti | ferdigiordano | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

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Il cacciatore, la preda (ipotesi dell'esterno variegato all'interno chiuso)

1
La sagoma in fuga è la fuga stessa: Vita [vì-ta] s.f.
insieme di soste brevi, inefficaci. Rabberci funzionali.
Che rendono capaci di conservarsi, svilupparsi, riprodursi e
- nonostante - continuare la corsa.
 
Tutto questo non è chiaro al faggio, non è spiegabile.
Come è salvifico un rifugio!, pensa
la preda Persa. Anche solo pensarlo prossimo,
mentre il corpo è così vicino al suo ultimo confino.
E già il terreno detta la falcata con scarti laterali
alla corda della mira
e un rumore di ansia viene dagli sterpi con la stessa
altitudine dei salti.
 
Inseguire omette l’arrivo, che pure è norma
del cammino, limite della mappa, dice
il cacciatore Salvo, inseguire è quindi il vero muscolo
del divenire. E dovunque
scruta l’erba dirige l’arma. L’arma è una potenza disinibita
senza altro freno che un bersaglio; e questa aggiunta
di arto devastante pone il mito nelle statue
con la stessa attitudine a sgretolarsi.
 
Ma l’erba, qui, precede i fossi
quasi accaduta. Le radici discendono sulla terra
come bocca primitiva e vivono
contenute, da palombari della terra, dove un: sale!
nutre e porta alla luce. 
 
Ho una mira precisa, sostiene il cacciatore, nell’aria
compare una morte per volta: una linea tratta
dal punto di vista, desunta in un colpo solo - non lo sa,
la preda, che la caccia è ludica, come ogni sopravvivenza
spunta dall'ambiente in gioco.
 
2
Salvo ha visto le vanesse sfarfallare sui trifogli
con improvvisi occhi. La libertà ha un segreto
con molte chiavi - gli raccontava Lucido - ed una
si scopre con le ali, però in silenzio. C’è movimento
isolato, arbusti smossi, segni interrogativi
che lo concentrano. La passione assilla dai tendini
la macchina divina come ingranaggio di scena
per rappresentare l’infetto.   
 
Intanto, i cavalli sul falsopiano drizzano il lungo collo
scuotono il crine esprimendo dissenso
alle mosche. C'è lentezza dei vermi sul fieno, rassegnazione che serpeggia.
Il centopiede caracolla le centozampe: gli vanno di lato
continue ondate, ma i saltimpali, aviatori a sbalzo,
stanno a loro come ciclopi inquirenti sui reduci da una Troia quotidiana.
 
Il bruco dentro, il saltimpalo sopra, il cavallo
in atto, purché esista un recinto - Salvo pensa - la libertà
è un mistero e un’altra chiave la possiede la preda appena
appena nel convoglio dei sensi. L’avrebbe detto
anche Lucido al quinto barbera ai lumi di cera.
 
3
Lucido avrebbe aggiunto: la libertà è un male
indispensabile che finisce in gloria per qualità di martirio.
 
La preda Persa è nel roveto la più cauta delle ombre.
Intenzionata a non muovere muscolo
appende il respiro alle spine. Le spine paiono
ingigantirsi all’odore del sangue che saggiano. Sudore
e sangue rapprendono in fretta per restare vivi. Nello sguardo
un fruscio ha dimensioni spaventose.
 
Atterrito, l’occhio coglie “movimento
isolato, arbusti smossi, segni interrogativi
che lo concentrano.”
Quindi, chiunque affronti l’argomento,
deve sapere che preda e cacciatore, Persa e Salvo,
hanno almeno un gesto in comune, qualsiasi
sia il pensiero di Lucido nato dal sesto bicchiere
di barbera.
 
4
Ora, se è vero – ed è vero – che l’ombra rimargina
le ferite, non accade quando il buco va da parte
a parte. Di simile in natura è solo la contemporaneità
della vita e della morte. Si verifica quando Salvo
colpisce Persa: a quel punto
impone il buco e l’artificio delle vene
salassa l’eccipiente. La vita attraversa la terra
e fra i due poli
passa la segretezza violata, il mistero
della libertà viene inscritto nel nulla
come fa fede la polvere tutta.
 
Lucido sostiene che la libertà è un sacrario, un guazzabuglio
di paramenti e che qualsiasi cerimonia d’ossa
prevede nello stesso luogo il cacciatore e la preda,
la cesoia e lo stelo o - sono parole sue - agnello e vino
debitamente inutili.
Salvo, che è un lato del buco ancora chiuso, ascolta
e colloca il crac dei rami che evidenzia
la preda. Sembra la prima superstizione
pronta a colpire da uomo a uomo. Persa, né statua
né altare, dall’altro versante del foro
ha una mora nel fianco che diventa melagrana:
ogni goccia, volta a cuneo scuro, scava la voragine
cui si oppone la fuga. Guarda al faggio e dubita:
un buco nel corpo ha un corpo per lato?
 
5
La gola, ora, presiede la ribellione: un suono acuto
unico e selvaggio scorrazza nella bocca
digrigna i denti, incrosta l'avorio, lì resta; il costato freme al bivio in cui
il sangue, il suo sangue più ricco, abbandona l’interno
per darsi alla macchia nell'esterno immaginato salvifico.
La preda sembra inconsapevole della
quantità persa, proprio in ragione del terrore
che governa la gola: l’istinto è, però, il vero
pigmento del rosso: etnico, prima dell'argilla.
 
Grazia, che serve il settimo barbera, muove
le gambe con passi larghi. Non lunghi o rapidi,
ma lateramente e in avanti: figura di
annuvolamento marziale. In realtà, il volume dei seni
contiene i denti che non la morsero, il siero vitale
mai estratto per diventare chiave del segreto:
libertà dalla corolla dei sensi oppure
libertà di non bere quando hai più sete.
 
Similmente, Libero aveva osservato l’inamovibilità
che consacra il marmo a feritoia nella storia, storia
di Grazia, succursale di gesto devoto.
Nelle sue venature è possibile
conglomerare il miracolo verginale in quanto additivo
a lunga durata: da potersi dire misterico,
ma in posizione bassa anche quello è solo un progetto
che il tempo ha cura di smettere.
 
6
Il tempo è una misura di gomma. Anzi, la gomma
più efficace: con Grazia, cancella il superfluo
dal percepito. Una cera l’universo: il tempo eretto stoppino.
La vita, quest’aria equa, è solo fiamma, tanto bagliore,
calore se la mantieni animata. Libero si dimostra
possessore di codici che non gli appartengono
ma a cui non appartiene. Libero è la parola
di cui non si è schiavi, che non ci è soma.
 
Nel frangente ultimo, l’intuizione che Grazia sia Persa
e Lucido sia Salvo, appartiene al vero mistero:
tra chi scrive e chi legge c’è un nesso causale
che fa scegliere il roveto del verso come rifugio
dominato dal tremore da quietare.
Prim’ancora che questo si annoti, mi chiedo se
chi scrive e chi legge, siano prede cacciate o
cacciatori predati che si avvicendano.
 
[Answer] That you are here - that life exist and identity,
That the powerful play goes on, and you may contribute a verse.(*)
 
 
(*)da: “O Me! O Life!” (Walt Whitman).


 
 

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