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La lettera di Maria

 Urbino mi fu cara, quanto Firenze... E via Pratesi, la rivedo ancora: vivevo solo, ma non lasciavo mai gli affetti, che eran tutta la mia vita. Le mie sorelle erano a Sogliano. E, dal convento, Maria, mi scriveva: ”Fratello, mio sincero amore, qui, cerco di adattarmi, ma mi manca qualcosa; non sto bene. L'aria di casa, la sento ad Urbino; Ti prego di venire in tempo, prima che l'anno volga al termine. Le suore non gradiscono il mio congedo definitivo, per cui, se mi riscrivo, non mi lasciano andare... Giovanni, io sto male...

Quanto ad Ida, non si lamenta: le suore le insegnano il ricamo che è la sua passione... Ma c'è un altro motivo: il conte di Bernais, sovraintendente ai beni culturali, le fa la corte, attratto di suoi riccioli chiari, dai riflessi dorati. Egli non è gentile nei miei riguardi, perché pensa che io mi assuma il ruolo di chi vuol controllare, la propria sorellina. Anche Ida, a volte, pensa la stessa cosa, ch'io non voglia far nascere, il suo amore. Che cosa devo fare? Se l'accompagno in biblioteca, mi dice di temere la suscettibilità di Casimiro... Quando, invece, le dico risoluta: se non la smette di farti le fusa, io me ne vado, perché le sue son smancerie, mi dice: che ti ho fatto, sorellina... Resta e non far caso a quel che dico, quando sono nervosa.”

*Brano tratto dall'opera, in corso di ristampa: "Le Memorie di un professore", di Giuseppina Iannello.*

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