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La Yena

Turpe figura, carca di lordura,
da capo a piedi naviga nel fango.
pelosa e brutta,verme di trattura
confà dei striscianti al tristo rango.
 
Di corpo tozzo, dall’aspetto rozzo,
da petto prospiciente a mò di vacca
che par esser tutt’uno al mento gozzo
ch’accompagna lo stomaco in risacca.
 
Pare un porcone,tanto ch’è cafone;
solo sembianza ha d’umana gente,
diventa yena accanto alle persone,
per essa il male è il bene più fervente.
 
Indegnamente siede in posto altrui,
in loco non adatto a villania;
qualcuno va piangendo:Ah! Dov’io fui:
Quel posto l’ha ridotto ad osteria.
 
Se, poi, parlar potessero i canneti,
se dir potesse il loco detto Tonnara,
se disquisir potessero gli abeti
direbbero:Dei vermi è ancor men cara.
 
Or ch’à raggiunto il sospirato trono
l’hà reso lordo e pieno di vergogna
perché le yene ch’anno l’oro in dono
Gradiscono più d’esso le carogna.
 
Poiché incapace d’ogni  movimento
vive la yena in circoscritto ambiente,
raspa nel fango con  il muso e il mento
giacchè di forza d’intelletto assente.
 
La dignità per essa è cosa astrusa,
per due lenticchie ha dato il corpo untuoso,
donato l’ha come si dona cosa:
vergogna è di famiglia e dello sposo.
 
 
 
 
 

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