Carne fresca di giornata | Prosa e racconti | nino vicidomini | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

Login/Registrati

Commenti

Sostieni il sito

iscrizioni
 
 

Nuovi Autori

  • Gloria Fiorani
  • Antonio Spagnuolo
  • Gianluca Ceccato
  • Mariagrazia
  • Domenico Puleo

Carne fresca di giornata

Si era verso la metà degli anni trenta del secolo scorso.
Il paesello pedemontano vesuviano viveva dignitosamente, sostenuto delle sue cospicue risorse agricole.
Ci si contentava di quello che la terra forniva che era del tutto genuino e sostanzioso.
 
Trecase era un paese rurale dedito a variegate colture con agrumeti dorati nonché produttore di svariate qualità di albicocche dal nome fascinoso che primeggiavano proprio per la loro squisitezza.
Fra le estese coltivazioni ad ortaggi della zona che mutavano ad ogni raccolta va sottolineata l’attesa delle produzioni di fave e piselli tenerissimi nel periodo pasquale, ma a portare il paesello al culmine della notorietà era il Lacryma Cristi prodotto con le pregiatissime uve del Vesuvio.
 
Don Francesco, padre del protagonista di questo mio racconto, gestiva un ampio deposito di  mangimi vari e  legumi secchi  fornendo  gran parte dei  dettaglianti del luogo e delle zone limitrofe.
 
Aveva di tutto: dalla crusca alla scagliola, dal farro alle carrube; aveva:  fave, ceci, piselli, lenticchie fagioli, cicerchie e quant’altro esistesse essiccato in provviste.
È chiaro che tanto ben di Dio richiamava l’attenzione degli abbondanti roditori che vivevano liberamente nel circondario, ma a quello, il nostro don aveva già posto un mezzo rimedio.
 
Ci pensava Pio, suo terzogenito, che sempre forniva il suo limitato aiuto all’anziano genitore disbrigando qualche incarico alla sua portata.
Il ragazzo aveva poco più di sette anni e tra le altre cose cui assolveva fare  con diligenza vi era il compito precipuo, a fine serata, di tendere delle trappole per gli intrusi della notte.
Una decina in tutto, dissipate nei punti più strategici dei tre ampi locali, che al mattino successivo provvedeva a rimuovere, quasi sempre piene.
 
Delle bestiole ben nutrite, di buona stazza che Pio, a due alla volta, trasportava fuori in prossimità della fontana pubblica che continuamente versava acqua in un catino sottostante ad essa.
E qui le immergeva per  pochi minuti, il tempo necessario che impiegavano dimenandosi nel tentativo di salvarsi, ma senza alcun scampo.
Dopo di che il ragazzo provvedeva a rimuoverne il contenuto, le poneva ad asciugare sul muricciolo adiacente alla fontana  e subitamente si accingeva a dare seguito ad una successiva operazione, sino allo sterminio di tutte le altre bestiole catturate.
 
Aveva una abilità tutta sua; svuotava quelle trappole tenendole fra le due mani come un uovo aperto facendone fuoriuscire la preda morta e sversandola sistematicamente  nel cassonetto dell’immondizia posto a pochi passi dalla fontana.
 
Dopo alcune ore, una volta asciugate dal vento o dal sole, le ricaricava con la solita esca  serbata in un vaso di vetro ( rimasuglio di lardo o scorze di formaggio)  ed erano belle e pronte per la notte a venire.
 
Questo faceva Pio con zelo e coraggio in quegli anni della sua tenera età.
 
Comunque non gli mancava il tempo per lo svago che il genitore sempre gli concedeva; quelle ore trascorse per strada, all’aria aperta, con i suoi coetanei, indifferentemente dalle condizioni climatiche; ore dedite ai giochi inventati in quella magica atmosfera di allora.
 
Unica.
 
Non vi era età stabilita oppure obbligo di frequenza alla scuola; non c’erano neppure le scuole per tutti e ad insegnare la vita a quelli più sprovveduti  ci pensava “la strada”.
 
Fu una mattina tiepida di Primavera che Pio, ligio al suo impegno, si accingeva a portare al supplizio le prime due bestiole catturate nelle ore della notte precedente.
Si avvide subito della presenza di uno spazzino che, lasciato il suo carretto ai margini della fontana, si accingeva ad abbeverarsi dopo aver continuamente stropicciate e lavate al getto dell’acqua che  fluiva nelle conche delle sue mani.
 
Gli si avvicinò senza scomporsi minimamente mettendosi in attesa per dare inizio al suo operare.
Di conto suo, l’omone, continuando a gustare l’acqua  lo guardava di sbieco mettendolo in soggezione però senza turbarlo affatto.
Saziatosi si raddrizzò e tergendosi più volte il muso col dorso della mano destra  fissava ancora il ragazzo con aria interrogativa.
 
Fu allora che apparve ancor più nella interezza della sua grande corporatura.
A confronto del bambino sembrava un gigante, per un frangente, un Polifemo al cospetto di un piccolo Ulisse.
Furono attimi lunghi nei quali tante idee strane passarono per la testa del nostro Pio.
 
Ma finalmente il silenzio fu rotto dalla voce possente dell’ estraneo.
     –  Che fai?  –
     –  Non lo vedi?.. Devo affogare queste zoccole. –
     –  Aspetta – gli tuonò prontamente in risposta lo sconosciuto.
Ne hai altre?  –
Eh sì, ce ne sono  ancora quattro nel magazzino –
Valle a prendere.  –

E nel frattempo che il ragazzo si allontanava, sorpreso da quella arcana richiesta, si sentì nuovamente chiamare dal tizio che gli ordinò:

Porta anche un giornale  –

 
Tanto più incuriosito e senza riferire nulla al padre  Pio obbedì  a quell’ordine come ammaliato da qualcosa di misterioso; portò fuori le rimanenti tagliole ed una copia vecchia di un quotidiano che l’omone, apertolo al centro, la sistemò sul ripiano dei coperchi del suo carrettino.
 
Sollevata una delle tagliole, riposte in fila per terra, la poggiò sul piperno circolare della fontana e, prontamente, aprendola con la mano sinistra vi intrufolò dentro la destra afferrando con destrezza la bestiola per la testa strozzandola, poi, con un sonoro colpo secco inferto dal pollice e l’indice.
 
A quello spettacolo Pio restò sbigottito e, senza fiatare,  assistette alle successive repliche dello spazzino che  ad ogni operazione compiuta poneva la bestiola senza vita  nella mezzeria del giornale che aveva precedentemente dispiegato sul carrettino.
 
Ultimato il lavoro, le arrotolò ben strette chiudendo le estremità del fagotto ottenuto proprio come usano fare i beccai quando servono al banco  i loro clienti.
Con la mano destra  soppesò il cartoccio ed ammiccò ben soddisfatto del peso contenuto.
Una capatina di assenso per Pio e per ringraziamento, frugando nelle sue tasche ne estrasse alcuni nichelini porgendoglieli.
 
Pio li accettò di buon grado e  dopo avergli dato una sbirciatina le depose gelosamente nel taschino della  sua giacchetta.
 
L’omone lo salutò dicendogli che in appresso sarebbe ritornato ancora, rispettando il solito orario, al piacere di ritrovare altra carne fresca.
 
Erano tempi di ristrettezza, non v’era dubbio; non esisteva tutto quello che oggi, da incoscienti, buttiamo nei cassonetti della spazzatura, ma c’era tanta gente che si compiaceva di quello che aveva.
 
Chi non si contentava, come lo spazzino, sbarcava il lunario differentemente, così facendo.
 
È risaputo che dove c’è il gusto  non c’è appetito che tenga.
 
 

Cerca nel sito

Cerca per...

Sono con noi

Ci sono attualmente 2 utenti e 3353 visitatori collegati.

Utenti on-line

  • Laura Lapietra
  • Antonio.T.