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Pacco, posta, visita, partenza

Venti luglio duemiladieci, ore quattro e trenta del mattino rientro a casa sfatto dopo aver passato un’ora seduto sulla consueta panchina sul molo in cerca di refrigerio a questo caldo assassino che mi sta divorando le notti in un lago di sudore.
Finalmente un vento deciso,senza per questo essere fastidioso pulisce l’aria e porta sollievo ai polmoni carbonizzati. Spazza via dalla mia mente anche le nebbie che si sono accumulate in tutti questi anni. Ora, con la mente lucida e il blocchetto degli appunti sott’occhio il ticchettio della tastiera è l’unico rumore distinguibile in questa notte che ormai volge al mattino. Scrivo, ed è importante aver rilevato con precisione la data, poiché questa è una dedica a me stesso, nel giorno del mio compleanno. Il battere delle dita sui tasti mi spinge al ricordo e immediatamente la mente va al periodo più bello e piacevole della vita: l’infanzia con la sua spensieratezza e i suoi giochi.
 
“Un due tre, stella!”, voltarsi all’improvviso e trovare i compagni immobili, bloccati di colpo e punire chi ancora fosse in movimento, “Ciapa el tram balurda”, seduti in cerchio e passare al compagno di fianco un qualsiasi oggetto seguendo la nenia canticchiata da chi conduceva il gioco, i “cinque sassolini” da lanciare in aria e raccogliere uno dopo l’altro con una mano sola, ecc. Tutti giochi cui partecipavo spinto più che altro dal desiderio di comunicare, socializzare, per nascondere una timidezza di fondo che spesso da bambino mi accompagnava nei rapporti con gli altri. "Dire, fare, baciare, lettera, testamento", ecco, questo gioco aveva per me un fascino particolare, mi attirava e cercavo in ogni modo di esserne partecipe. Forse perché solleticava in me il desiderio innato di essere accettato con le mie timidezze e con gli slanci improvvisi di effimera allegria. Ma il mio preferito era, seduto sulla massicciata della ferrovia, attendere il passaggio del treno e “battezzare” i vagoni in sequenza con il celebre “pacco, posta, visita, partenza” e attendere la fine del treno per sapere cosa il treno ti avrebbe portato. Inutile dire che ho passato delle ore in attesa di un responso favorevole. Poi il tempo, la vita, ha travolto tutto, i giochi sono diventati cose serie, e il timido bambino si è costruito e guadagnato la vita giocando e lavorando nel mondo dell’effimero.
 
Ironia della sorte! Un timido con tendenze malinconiche e crepuscolari che campa e vive fingendo allegria per tutti questi anni!
 
Sono quasi le sei, mi alzo e vado a sedermi sul poggiolo, (sorta di davanzale allargato che qui in Veneto sta a indicare un rachitico balconcino), guardo il canale e respiro di nuovo il Garbino che nel frattempo si è fatto più imperioso. Ora sono più calmo, i sentimenti e i ricordi fluiscono con dolcezza e il cuore ha un ritmo accettabile. E’ iniziato il traffico nel canale e i passaggi dei pescherecci e delle imbarcazioni si vanno infittendo... ”pacco, posta, visita, partenza”…nooooo! Di pacchi ne ho ricevuti tanti, la posta la guardo sempre con un misto di curiosa ansietà e terrore e i treni, beh quelli sono passati e partiti tutti, ormai.
 
Ho comprato un’indefinibile tortina preparata con ingredienti “ecosostenibili”, la infilzerò con sessantasei candeline, le accenderò e attenderò che si squaglino completamente, ricoprendo di cera fusa quell’orrida torta, rendendola immangiabile persino all’appetito del più sfigato dei gabbiani.
 
Non mi piace questo gioco, non ci gioco più.
 
 

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