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L'estate ha masticato anche le pozzanghere

L’estate ha masticato anche le pozzanghere,
il sentiero è stropicciato dalle crepe,
e sono rimaste soltanto loro
in cui tuffarsi,
sottili burroni nella terra,
profondi come le proprie lacune.
E’ il tempo della siccità,
si deglutiscono magoni
che raschiano sulle gole secche,
è il tempo dell’intimità persa,
spogliata dei suoi abiti lussureggianti,
un reliquia dimenticata per strada.
Il sole si lascia addormentare da colori tiepidi
e davanti a me si apre un labirinto
di fili che barbagliano;
ancora inciampo nelle ragnatele
dimenticate dal passato
scappando tra gli alberi
verso il tramonto che si spegne.
Sono appiccicose e dolci come caramelle,
il vento me le rigira addosso
e più corro più divento un bozzolo
che ha fretta di aprirsi
ed essere quello che deve.
In bilico tra una vita e un’altra,
tra lo strisciare e il volare.
Sospeso nel tempo,
abbracciato a un ramo di sequoia
come un profumo a primavera,
dentro all’equilibrio
più sottile di un filo d’aria
della trasformazione.

Mi fermo per un pelo
al raso di un dirupo,
del sole rimane qualche ciocca di capelli
che gioca con il vento sull’orizzonte,
come un bambino che non vuole andare a letto.
Non posso più inseguirti da qui,
siederò sull’alto di questa montagna
guardando la notte accendersi di stelle.

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