Nel lento declino della luce

Amo il declinare della luce. Il suo susseguirsi nel giorno, il suo manifestarsi e accompagnare gli stati d'animo. Mi affido al suo impercettibile scorrere, al suo mutare, ora dopo ora. Al suo essere negata da una nube improvvisa, passeggera. Mi abbandono al suo deliquio e mi lascio trasportare.
È una lenta deriva, un navigare tra particelle, nel colore e nella temperatura del giorno.
A nulla serve imbrigliarla nella rigida e razionale gabbia di una scala Kelvin, essa sfugge e satura i miei occhi.
Amo la luce e i suoi trascorsi. Il suo passato, ma soprattutto il suo presente, in tutte le sue declinazioni. La luce è gioia, è un disseppellire e resuscitare le ombre, nobilitare gli oggetti, segnare il presente, portare il sentimento verso l'umore allegro e la voglia di vivere. 
Una sequenza di numeri, 2000K, 5000K, 7000K. La luce scorre indifferente alle nostre trappole numeriche, al nostro voler imbrigliare e mappare il mondo. Si ferma sulle pupille e allaga l'anima.

È sui 4500 gradi Kelvin che l'emozione delle cime innevate preme sul mio cuore?
É sui 5500K che le onde del mare si infrangono sulla spiaggia del mio passato?
È in quello stemperare l'ombra che si saturano i ricordi, che danzano nella memoria?

Sussulto, sul giacere casuale del tempo, in un pomeriggio lasco, abbandonato all'accadere che rimbalza sulle ore con il tocco leggero dell'istante.
È una emotività ricca di rumore, nascosta tra le pieghe dei giorni, e suturata nella cruda essenza del reale. Scivola immersa in una luce priva delle sfumature del giorno, nell'abbandono dell'attimo, un lampo –  momento effimero - di gioia.