A ruota libera (Cap. 7 - Parte 2) | Prosa e racconti | Claudio | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

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A ruota libera (Cap. 7 - Parte 2)

Ore 23.00
 
E’ giunta l’ora di tornare a Bari, raggiungerò Piero a casa sua. Festeggio lì la mezzanotte quest’anno. Tra amici e forse nuovi conoscenti. Saluto tutti. Li chiamerò dopo lo scoccare delle 24.00 per gli auguri telefonici di rito.
“Vai piano, mi raccomando…”
L'invito costante di mia madre. Ogni giorno, ogni volta che esco con l’auto. La velocità la terrorizza.
E’ quasi mezzanotte. A casa di Piero non c’è molta gente.
Pochi ma buoni, compresi alcuni suoi amici che non conoscevo. Comincia a formarsi il groppone in gola. Sapevo sarebbe accaduto, era solo questione di tempo. Inevitabile una reazione del genere. E’ il minimo, non mi sarei potuto certo aspettare di meglio. Ora sono io che voglio cercare Carmen. Mi manca. Ho bisogno di ascoltare la sua voce, di sentire la sua compagnia. Il calore e la forza napoletana che sprigiona nonostante la freddezza dei cellulari. Non voglio essere solo quando scoccherà la mezzanotte. Già è vero, mi guardo intorno e ci sono Piero, Marco, Katia, Michele, e gli altri, ma in realtà sono solo. Nessuno potrebbe davvero farmi compagnia adesso…
E’ tremendo e terribile questo quarto d’ora di festa. Spero solo passi in fretta, il più rapidamente possibile. Vorrei scappare e piangere. Correre via all’impazzata, mentre le lacrime mi offuscano gli occhi stanchi. Senza sapere dove andare, cosa fare, che pensare e cos’altro dirmi per rendere il dolore meno intenso. Soltanto fuggire potrebbe aiutarmi ad alleviare l’angoscia che mi sta esplodendo dentro. Impetuosa, implacabile e puntuale, come un orologio svizzero. Il resto non ha nessuna importanza. Mariagrazia, Antonello dove siete? Come sta andando il viaggio di nozze? Saremmo dovuti venire a trovarvi, io e Claudia, durante i vostri tre giorni di permanenza a Parigi, prima che partiste per le Mauritius. Adesso niente, più nulla ha un senso. Tutto quanto ha perso di significato.
La mia vita. I miei sogni. Tutto, assolutamente ogni cosa.
Si stappa lo spumante e si mangiano tutti i dolci possibili e immaginabili. A cominciare dal panettone che mi piace tanto. E ci si scambiano baci e abbracci. Caldi i loro, quelli dei miei amici che sanno, che immaginano come possa sentirmi, ma cercano di non farmelo pesare.
Freddi, gelidi i miei che non riesco a provare trasporto, verso niente e verso nessuno.
Li abbraccio e li stringo, perché devo farlo, ma vorrei essere solo in questo momento. Non è cattiveria, soltanto dolore. Un dolore immenso, incontenibile, a stento gestibile, da cui voglio tenerli lontani. E’ mio, unicamente mio. Non mi piace che qualcuno stia male per me e per colpa mia.
Il cellulare non perde tempo.
Carmen è peggio, o meglio, del Big Ben.
“Auguri!!”
“Anche a te, signorina, anche a te! Ero convinto non ce l’avresti fatta a prendere la linea.”
Intanto comincio a piangere, silenziosamente, sull’ampio balcone di casa di Piero. Lì, nell’angolo, dove nessuno potrà vedermi, avvolto dall’oscurità amica che è tutta dalla mia parte.
“Impossibile, lavorando qui ho una corsia preferenziale, dovresti saperlo.” Ho paura di non riuscire a parlare. Che le lacrime, grandi e dense, corpose come solo la sofferenza riesce a rendere, m’impediscano di farlo.
E non voglio, non voglio proprio, Carmen capirebbe.
Finirei per metterla solo in imbarazzo, e non è giusto.
“Dove sei narciso? E con chi, soprattutto?”
E’ una delle prime cose che ha capito di me.
E’ vero, non lo nascondo, ci tengo a me stesso. Forse troppo, a volte. Anche se Carmen, come tanti spesso, non ha colto che è più una maniera di apparire, che non di essere realmente un egocentrico interessato innanzitutto alla propria immagine. Più scena che convinzione, in verità. Mi aiuta a essere dissacrante. Sostiene il paradosso, perché solo tale può essere, che tutto debba girare intorno a me. In ogni caso, mi sta bene così. Sono altre le mie preoccupazioni in questo momento.
Soprannome più, soprannome meno…
“Sono qui da Piero. Ho deciso all’ultimo momento. Mi ha chiamato e mi sono ricordato delle tue parole.”
“Che tenero…”
“E’ la verità. Piangermi addosso non sarebbe servito a niente. Lo farò, so di non poterlo evitare, ma so anche bene che non mi aiuterà a uscirne. Per ora, esserne quanto meno cosciente, e cercare di crederci sino in fondo, è un passo avanti per me.
Non credi?”
“Certo, certo. Ma ora su, via la tristezza e raccontami un po’ dei tuoi amici, ti prego. Ho un quarto d’ora di pausa abbondante e voglio godermelo. Sono curiosa!”
Parlo di Piero, di Marco e di tutti quanti gli altri, ma sono un delfino. Uno dei tanti prodigi di madre natura: con metà del cervello nuota, con l’altra invece, riesce a dormire, e dopo un po’ di ore i due emisferi cerebrali si danno il cambio. Io faccio lo stesso con il mio di cervello: una parte parla, ride e scherza con Carmen, mentre congela le emozioni, i sentimenti, solo quelli che fanno male, l’altra invece, pensa all’unica persona con cui vorrei essere in questo istante: Claudia, Bi, e solo lei. Magari per alcuni minuti, o anche soltanto per pochissimi secondi. Quelli che servirebbero a sentirmi di nuovo vivo, accanto a lei.
Senza soffrire, senza patire l’inferno continuo dell’anima.
Il tempo scorre, inesorabile, sino a che è già mattino.
Carmen ha finito il suo turno di lavoro più impegnativo dell’anno, e ora starà dormendo. Io sono a casa.
Sveglio e psicologicamente solo, distrutto.
Ho aspettato l’alba, calda e luminosa, standomene di fronte alla finestra della mia camera d’attico sin oltre le sette. La nitidezza e lo splendore di questo nuovo giorno mi hanno riscaldato dentro, ma soltanto un po’...
Ora, ho bisogno di chiudere gli occhi anch’io e riposare.
Oggi, per fortuna, è un altro giorno.
Per ricordare Claudia. E per continuare a soffrire.
Ma soprattutto, per riprendere a vivere…
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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