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Salmonella ed altri veleni

Turchia, campeggio di Kusadasi, agosto 1979. Il sole rendeva già vibrante l’orizzonte di un blu terso, teso all’infinito sulla superficie del mar Egeo, da cui si ergeva la piccola Isola degli Uccelli che i miei occhi osservavano senza stupore alcuno, poiché era nella normalità della mia infanzia quella di giocare con l’antico. Di lì a poco, infatti, avrei calpestato le pietre lucide di Efeso, goduto di quell’ultima colonna, unico resto eretto della settima meraviglia del mondo, distrutta definitivamente, dopo varie demolizioni e ricostruzioni, da colui che dalle labbra d’oro è collocato tra i 33 Dottori della Chiesa, nonché sarei asceso alla collina degli Usignoli ove, tra le fresche ombre di ulivi, frassini e faggi, si trova la “Meryem Ana Evi”. Prima della partenza, la mia mamma mi disse: “Andrea, vai a riempire la borraccia, per favore?”. Poiché l’acqua erogata dai rubinetti dei servizi igienici del campo non era potabile, all’interno degli ambienti adibiti a latrine, ovviamente alla turca, erano stati collocati ampi frigoriferi cubici dispensatori di acqua fresca. Così, avvicinai il collo del contenitore termico alla spina e premetti il pulsante a tempo. Neppure una goccia. Riprovai, stesso risultato. Stavo per ritornare da mia madre sconsolato, con la previsione di una giornata assetata, quando vidi un inserviente del campeggio il quale, a mani nude, stava provvedendo alla pulizia dei sanitari. A gesti e con qualche frase in elementare inglese esposi il problema al turco. Facile: premevo il pulsante e dicevo: "No water!". Egli, compreso immediatamente quanto da me spiegato, si diresse al frigorifero, ne sollevò il coperchio come fosse il cofano di un’automobile e immerse l’avambraccio nel liquido. Agitato il braccio villoso, richiuse il dispensatore e premette il pulsante di erogazione: l’acqua fluì gelata. Mi guardò con un sorriso soddisfatto, come se avesse compiuto un impresa idraulica pari a quella della diga di Assuan, e mi scompigliò i capelli. Riempii la borraccia e bevvi avidamente, senza alcuna remora e senza alcuna conseguenza. La morale? Non sono schizzinoso, non mi accontento facilmente. Con parole semplici, adatte alla mia persona: mi piace smarrirmi nelle profondità del passato per raggiungere quella staticità temporale all’interno della quale berremo la stessa acqua, respireremo la medesima aria, vestiremo l’uno la pelle dell’altra, senza alcuna ambizione di purezza ovvero salubrità. L’amore, solo se lo eviti, ti avvelena.

 

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