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Giovedì

Non che m'importi che quel giovedì sia stato giovedì,
né che si faccia chiamare così perché precede anni luce il venerdì
Non mi preoccupa nemmeno che per ogni sette cambi di luna
si ripresenti  uguale con le stesse lettere da pronunciare
So che mi rimarrà  incastrato fra i denti,
sicuramente tra una gengiva sanguinante
e la lingua che cerca di arginare la dispersione del dolore
Si rifarà vivo nel bel mezzo del corso di joga
o mentre, in fila dal dottore, sfoglierò un 'panorama' senza orizzonte
Mi tormenterà con la spigolosità della 'gi'
si ripeterà come catena di sant'Antonio
e mi obbligherà a mandarlo in giro con un francobollo storto
verso un vaffanculo qualsiasi, ad un civico barrato.
Forse mi sveglierà anche alle due di notte
con il suo accento squillante sulla 'i'
con la sua ombra avvolta nell'universale incertezza
come un giorno fatto uomo e arreso alla paura
Allora lo cullerò, lo prenderò in braccio come si fa con un figlio,
non lo rinnegherò.
Lo terrò in alto, senza superarlo.
Perché il dolore, anche quello di un lunedì,
non va superato.
Va tenuto fianco a fianco, a tracolla, sottobraccio
Come un monile fatto di pietre e di parti

che a conti fatti vale un vita intera

 
 

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