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Di testa

Boris si svegliò di testa, quel mattino. Forse l’aveva sempre fatto, pensò, poi non ne fu più così sicuro. Ad aggredirgli quella certezza, infatti, scaturì immediatamente dalla sua memoria un ricordo: palpebre sferzate seccamente da un raggio traditore, del sole filtrato dalle tapparelle nonostante egli curasse, ogni sera, di abbassarle completamente.
In genere a svegliarlo erano passaggi interni, dalle terminazioni nervose al cervello; meglio, i segnali che queste abitualmente, percorrendo il suo corpo, gli portavano.
Il senso del tatto, ad esempio.
Non che accadesse sempre, ma nella maggior parte dei casi queste percorrenze partivano dalla punta di uno, preferibilmente il sinistro, degli alluci, ma a volte il destro, o anche ambedue.
Avvertivano, come antenne paraboliche, il ruvido o il fine, il tepore o il fresco, delle lenzuola.
Le medesime sensazioni gli capitava di averle quando, in luogo del tessuto, le dita gli venivano a contatto con l’epidermide della donna che gli si era addormentata accanto.
Boris rise, al pensiero di averci i piedi, quale sonda preferita. Ciò non voleva assolutamente significare che per parecchie volte nella vita non si fosse verificato che avesse avvertito, invece, quel particolare formicolio prodromico proveniente da un abbraccio in tentativo, o pieno, casualmente già avvenuto. Oppure di tutt’altro gli fosse rimbalzato nei primi pensieri del risveglio.
Il giovane sedette senza sforzo sulla sponda sinistra del letto, avanzò le gambe alla ricerca delle ciabatte di feltro nel riquadro in cui sapeva generalmente di lasciarle, tastò varie volte con i piedi il buio circostante senza trovarle, si risolse quindi a malincuore ad affrontare con un brivido il pavimento in gelida marmetta della camera.
Maledisse, come gli capitava sempre più di frequente, con un’imprecazione il fatto di sentirsi inabile ad un lavoro tale da procurargli un adeguato emolumento fisso mensile, e si precipitò di corsa nella direzione in cui sapeva esserci la porta del bagno.
Trovò la maniglia e trapassò da un’oscurità ad un’altra. Lì, in quella ancor più profonda di quel ex sgabuzzino, scostò l’orlo dello slip e cercò di centrare con la maggior rapidità e precisione possibile il centro dell’unica ellisse biologica.
Gli strozzò il veemente piacere un urlo di donna.
-         Stronzooo

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