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Ultimo contratto 2

Il ritiro di Moretti
 
 
Ho eliminato Ziegler tre mesi fa, ho dovuto farlo, non avevo scelta, e da allora la mia vita è cambiata. È cambiata già nel momento stesso in cui premevo il grilletto, mentre lui mi ringraziava perché mettessi fine alla svelta alla sua esistenza.
Pochi minuti prima gli avevo chiesto del perché della sua sventatezza, l’aver rivelato il proprio nome è una regola che nel nostro campo non si deve mai infrangere e lui, poi, l’aveva fatto per ben due volte nella stessa missione. Avevo intuito che ci fosse di mezzo una donna, lui me l’ha confermato. Era ciò che volevo sapere perciò gli ho sparato al corpo e non alla testa, come nostra abitudine.
Per farlo fuori ho dovuto servirmi di un secondo sicario, non era facile eliminare il numero 1 dell’Agenzia, in uno scontro diretto forse non ci sarei riuscito ma volevo parlargli prima che morisse, volevo sapere il perché del suo atteggiamento. Per questa bramosa curiosità ho sacrificato l’altro sicario, votato in partenza alla morte, perché Ziegler è uno tosto. Anzi lo era.
Aveva in mente di vendicare la morte della sua donna, da lui stesso fatta fuori per contratto, è entrato nel salone del suocero armato con due pistole. Ho detto al secondo uomo appostato alla sua sinistra di far fuoco appena lui estraesse le pistole e così ha tentato di fare, ma non sapeva di tenere sotto tiro Ziegler che fulmineo ha sparato incrociando le armi. Due colpi in tutto, alla testa, uno alla sua vittima predestinata e l’altro al sicario alla sua sinistra. Solo allora ho fatto fuoco anch’io, alla sua destra, cogliendolo al fegato ma sconquassandogli tutto il torace.
Perché Ziegler? Perché tanta inutile distrazione? Una donna vale la vita di un uomo? Un uomo di nome Ziegler? Questo volevo sapere direttamente da te e per questo non ho mirato alla tua testa.
Da quel giorno sono passati tre mesi, la vita doveva rientrare nella sua quotidianità e tale è sembrato, invece nulla per me è stato come prima.
Tutti abbiamo una donna che nella nostra vita occupa uno spazio, quello che noi le concediamo illudendola di essere la sovrana del nostro rapporto, la regina dei nostri sensi, la gendarme del nostro cuore, ma noi dovremmo essere persone normali invece non lo siamo. Siamo i dipendenti di una Agenzia speciale, che si occupa di morte, siamo killer professionisti, ben pagati per le nostre prestazioni di alta precisione e assoluta affidabilità e le nostre donne sono le prime vittime dì questa professionalità. Esse conoscono di noi solo ciò che noi concediamo loro di sapere sul nostro conto. Nomi, cognomi, origini, lavoro, sentimenti, tutta una finta facciata dietro cui si cela il vero individuo, impassibile, spietato, cinico, sordo al richiamo di qualsiasi sentimento. Ma fino a che punto?
La mia donna si chiama Noelle ed è la traduzione esotica di Natalina, il nome datole all’anagrafe dai genitori, siciliani purosangue; a lei non è mai piaciuto e, dopo diversi tentativi di modificarlo, appena uscita fuori di casa è passato da Lina a Noelle.
Ci siamo conosciuti cinque anni fa, casualmente, presso una mostra di pittura figurativa in una fredda mattina primaverile . Lei vi aveva portato la sua scolaresca di prima media ed io perché vi avevo trovato riparo dalla pioggia battente. Ci siamo rivisti e frequentati e qualche mese dopo abbiamo intimizzato il nostro rapporto, alla fine dell’anno siamo diventati conviventi. Da allora lei ritiene di essere la compagna di Alberto Maritati, rappresentante di macchine agricole e industriali, spesso fuori sede in giro per la penisola e a volte all’estero per le varie fiere. Mi crede originario marchigiano, figlio unico, laurea in ingegneria meccanica, invece il mio vero nome è Alessandro Moretti, sono nato a Imperia e ho avuto una sorella, deceduta a dieci anni di leucemia acuta. Un’altra morte, la più innocente di tutte, ma che non ha intuito per nulla sui miei sentimenti. All’epoca eravamo già soli poiché i nostri genitori erano da poco deceduti in un incidente stradale.
Sono entrato nell’Agenzia circa dieci anni fa, reclutato da Emile Costantini, un anziano franco algerino di Sètif, basso, tarchiato, viso grinzoso o meglio, scalpellato nella pietra; naso schiacciato, labbra grosse da cui pende un’eterna Gitane, capelli neri crespi e due fessure al posto degli occhi. Già l’aspetto non è dei più accattivanti e a questo occorre aggiungere un lungo curriculum di ben ventinove omicidi, quelli eseguiti per contratto, di quelli privati nessuno conosce il numero perché nessuno ha mai osato ficcare il naso.
Rimasto privo di famiglia, appena diplomato come perito industriale, ho iniziato a vivere per le strade arrangiandomi in mille espedienti finché un giorno, nei pressi di un’osteria del porto, ho sfilato il portafoglio dalla tasca di un tipo che credevo addormentato. Non lo era, ha aperto gli occhi e ha portato la mano verso una tasca, non quella del portafoglio. Ho intuito cercasse un’arma e, più svelto di lui, ho estratto dalla sua tasca un coltello a serramanico alla cui vista il tipo ha sgranato gli occhi puntandomeli addosso chiedendosi cosa avessi in mente. Sotto il suo sguardo, ben presto diventato supplichevole, ho fatto scattare la lama e l’ho infilata nel petto all’altezza del cuore. È morto in pochi istanti, i suoi occhi mi guardavano smarriti e increduli. L’ho adagiato su un fianco e mi sono allontanato con passo calmo e sicuro, stranamente il mio cuore batteva ritmicamente senza alcuna accelerazione. Non mi sono voltato nemmeno una volta e il tipo, da lontano, sembrava un ubriaco addormentato, di lui ne ha parlato la cronaca cittadina per i due giorni successivi, di lui so solo che veniva da Alghero, nulla di più.
Credevo di non aver avuto testimoni al mio omicidio e invece uno spettatore c’era stato, un intenditore per la cronaca. Era Costantini, a bordo di un mercantile distante un centinaio di metri, mi aveva visto all’opera con il suo binocolo da marina e, guarda caso gli ero piaciuto. Nei giorni successivi mi ha seguito per tutta la città finché una sera me lo sono ritrovato davanti in un vicolo, istintivamente ho impugnato nella tasca il manico del mio coltello ma a pochi metri da me, portando il palmo della mano in avanti mi ha detto:
“Niente scherzi, ragazzo, con quello non ci fai niente con me” lo guardai truce.
“Cosa vuoi da me?” gli chiesi sena mollare il coltello.
“Fare due chiacchiere” prima di rispondergli detti un’occhiata fuggevole alle mie spalle, ero solo.
“Perché? Non ci conosciamo”
“Tu no, ma io conosco te. Sai, ho potuto ammirare la tua abilità al porto” Cazzo, sapeva!
“?”
“Tranquillizzati, ho la faccia dell’infame io?”
“!?”
“Se avessi voluto denunciarti l’avrei già fatto, perciò?”
“Vuoi ricattarmi allora?”
“Ricattarti? Ahahahah, per toglierti cosa? I quattro stracci che porti addosso?”
“Allora cosa vuoi?”
“Te l’ho detto, parlarti. Ma dovremmo toglierci da qui, non è il posto adatto”
“Ok! Presumo che se avessi voluto farmi del male non avresti ciarlato tanto” lui sghignazzò.
“Oltre che svelto sei anche intelligente. Mi piaci davvero”
“E non sono un finocchio!” asserii per togliere ogni pensiero.
“Ahahah! Anche perspicace. Perfetto ragazzo, credo che c’intenderemo bene”
“In ogni caso, di qualunque cosa si tratti sappi che costo caro” Era un bluff il mio ma non avrei mai immaginato che in futuro sarebbe diventato una mia prerogativa.
“I soldi sono l’ultimo dei miei pensieri. Allora dove si va?”
“Non so, non ho una casa sicura” per la verità non ce l’avevo affatto ma lui già lo sapeva.
“Andiamo sulla mia barca, è ancorata poco distante dalla tua opera d’arte” non gli risposi, sapevo a cosa si riferisse e non avevo alcuna voglia di ritornarci sopra.
Sulla barca mostrò le sue carte, non mi svelò tutto, solo l’indispensabile a capire con chi avevo a che fare e, soprattutto, con cosa avrei avuto a che fare accettando la sua offerta.
Devo ammettere che non fui molto sorpreso, forse non mi aspettavo qualcosa di così grosso. Non presi subito una decisione, in fondo avevo solo ventitrè anni, però rimasi d’accordo con lui che ci avrei pensato su tutto il tempo che volevo, anche degli anni, lui mi avrebbe sempre accolto nella sua agenzia. Mi accolse due anni dopo, quando l’aria che respiravo si stava facendo troppo calda per me per aver fatto fuori un idiota della cricca del porto per cui dovevo mantenermi alla larga, non solo dal porto ma anche dalla città e dalla regione.
Quei due anni furono sufficienti perché Costantini arruolasse un altro giovane, dal nome esotico di Tobias Ziegler, diventando di fatto e a pieno titolo il numero uno dell’agenzia.
Ora sono io il numero uno ma la nostra non è una lunga lista, in tutto ora siamo in tre. Dopo di me Jacob Orloff, un ebreo polacco di trentuno anni originario di Lubecca ed infine Julio Santiago, trent’anni, spagnolo di Valencia. Noi siamo i professionisti, in più vi è una squadra di una decina di “aiutanti”, sicari di secondo e terzo livello che usiamo come contorno in alcune operazioni complesse. Uno di questi l’ho sacrificato per eliminare Ziegler.
La direzione dell’Agenzia è saldamente nelle mani di Costantini, coadiuvato da Magda Schillaci, una messinese di trentadue anni che funge da segretaria, Mirella Zamponi, una trevigiana di quarant’anni che si occupa della sicurezza e degli aspetti legali della nostra professione ed infine Igor Volcic, la spalla di Costantini, un montenegrino nato in Albania di circa sessant’anni, almeno credo, una vera sfinge dalla cui bocca ho sentito proferire si e no una dozzina di parole in dieci anni di conoscenza.
Ecco, questa è l’Agenzia della morte, camuffata da agenzia di consulenza industriale e artigianale con tanto di recapito legale.
 
L’ultima settimana è trascorsa nella calma più assoluta, niente contratti da stipulare, capita spesso nel nostro lavoro di restare inattivi per qualche periodo. Non è vero che la gente è desiderosa di ammazzarsi. In questi frangenti mi occupo dei lavoretti in casa. Vivo in una grande città, in periferia. Piccola villetta a due piani abbastanza grande per due persone. Noelle è al lavoro, insegna in una scuola media, io ho spaccato della legna nel retro cortile, mi piace farlo, mi tiene impegnato e, poi, la legna serve per il caminetto.
È quasi sera quando Noelle rientra a casa, la fermata del bus è a una cinquantina di metri, entra senza alcun affanno. La osservo mentre si toglie il cappotto, non posso che ammirare le sue forme sinuose. Mi è piaciuta dal primo momento, le ho fatto una breve corte, si è arresa presto. Credo sia innamorata di me, per me è un’ottima copertura. Mi piace stare con lei, convivere sotto lo stesso tetto, fare sesso con lei, sentirla gemere tra le mie braccia. In effetti potremmo essere una vera famiglia, ma un muro ci separa, un muro invalicabile di nome Agenzia.
Ho la canottiera bagnata di sudore quando mi si avvicina sorridente.
“Ciao amore” dice mentre mi si incolla addosso incurante del mio stato. Mi arruffa i capelli mentre la sua bocca s’incolla sulle mie labbra, succhiandomi anche l’anima. Riesco a svincolarmi e, divertito le do un buffetto sulle natiche.
“Ehi, vai di fretta questa sera? Sono stanco, sporco e affamato”
“Per la fame ci penso io a fartela passare, anche la stanchezza e…lo sporco..uhm ha un buon odore…”
“Meno male che non hai detto sapore, mi sarei preoccupato” aggiungo ridendo.
“”Anche quello, anche quello…” sussurra mordicchiandomi un capezzolo.
“Accidenti, cosa ti prende stasera? Sembra che ti sia strafatta con qualcosa”
“Ho voglia di strafarmi di te. Vieni…” afferma tirandomi per la canottiera verso la nostra camera.
Non posso fare a meno di ridere divertito, Noelle a volte é mille e una notte, imprevedibile come un terremoto della massima scala. Ai piedi del letto con una mano mi sgancia la cintura dei pantaloni e con l’altra si libera dei suoi jeans. In pratica in pochi secondi restiamo quasi nudi dalla cintola in giù ma la sua maestria è tale che nel breve tempo di altri pochi secondi lo siamo del tutto, dopodichè non ho più alcun bisogno di essere trainato da lei infatti sono io ora a condurre il gioco. Afferrandola saldamente per i fianchi la sollevo la terra mentre lei si avvinghia con le cosce ai miei fianchi, le sua braccia si serrano dietro la mia nuca e le nostre bocche sono diventate un tutt’uno, come due ventose alla ricerca di ossigeno succhiano l’aria reciproca con determinata violenza. In tal modo i nostri corpi si lasciano cadere sul letto, ancora per qualche minuto continuano ad avvinghiarsi nella estenuante e calcolata ricerca dei punti erogeni, infine sono le nostre bocche, distaccatesi per l’immissione di aria nei polmoni, a coadiuvare le mani nell’esplorazione dei corpi baciando, succhiando, mordicchiando e leccando le parti più intime e delicate tra infiniti sospiri, mugolii e spasmi di piacere.
Conosco Noelle da cinque anni e, devo ammetterlo, il più delle volte che facciamo sesso per me è una vera scoperta, sebbene alla fine il tutto si riduca a pochi secondi di potente gestualità sono i minuti di preparazione al rito finale che cambiano di volta in volta e, come ogni volta, i nostri corpi sono veri e propri vergini pianeti pronti per l’esplorazione sensuale.
Questa volta però accade qualcosa di diverso, nel bel mezzo delle nostre effusioni erotiche lei si distacca e, con il palmo delle mani sul mio volto, dice qualcosa che, ancora soggiogato dalle erotiche sensazioni, di primo acchito non afferro, tanto che deve ripeterlo.
“Al, vorrei che questo fosse per sempre” Dopo la seconda volta, quando si accorge della mia attenzione, porta la mia testa sotto il suo seno e, stringendosi a me, conclude il pensiero dapprima espresso.
“Vorrei che la nostra unione sia per sempre, non riesco più a vivere senza di te”
Sì, ora il concetto è ben chiaro. Le mie remore, come campanelli impazziti, intonano trillii preoccupanti, dovrei stare ad ascoltarli invece qualcosa, che non sono le sue braccia, mi cinge la testa tenendomi incollato alla sua pelle. L’odore che emana il suo corpo, il contatto vellutato della sua pelle, il battito incessante del suo cuore, tutto di lei mi avvolge in una nebbia sensuale, calda, protettiva. Afferro le sua braccia costringendola a distaccarsi, mi distendo supino sul letto con lei sopra di me, mi guarda curiosa chiedendosi cosa voglia fare. Nulla, voglio solo guardarla negli occhi, quegli occhi che a loro volta mi scrutano colmi di palpitante attesa. Non aspetta che io faccia altro, si piega su di me con le braccia tese puntate sul materasso, con il corpo cerca la posizione ideale finché è lei stessa a compiere il rito della penetrazione mentre io fisso la mia attenzione sulle sue labbra socchiuse che impercettibilmente si aprono e si chiudono assecondando il movimento che lei stessa impone ai nostri corpi.
Ed è proprio allora che qualcosa di imprevedibile succede. Nella mia posizione di passiva collaborazione davanti agli occhi della mente mi appare Ziegler, sanguinante e morente, che con estrema sofferenza mi dice “visto che l’hai capito anche tu Moretti!”.
Erano state, queste, le rivelanti parole del pensiero di un essere umano che dopo tanti anni di metodica routine aveva optato per una scelta di vita diversa. In quel momento mi sono chiesto in cosa di diversa sarebbe stata la sua vita, se avesse potuto realizzarla, ora, il corpo vibrante di Noelle su di me lo stava chiarendo alla perfezione.
In verità quelle riflessive domande rivolte a Ziegler in punto di morte ho continuato a rivolgermele nel tempo. Negli ultimi mesi ho iniziato a guardarmi intorno più spesso osservando tutto il mondo che mi circondava sperando che mi parlasse, che mi rivelasse qualcosa, che mi squarciasse infine la mente.
E comunque, nonostante la mia attesa di un segno rivelatore, ho continuato la mia attività con l’Agenzia.
Ben due contratti ho portato a termine, con estrema naturalezza, quella di sempre.
Il primo, in un bagno aeroportuale, per eliminare il socio in affari di un noto personaggio pubblico e il secondo, piuttosto insolito per la nostra Agenzia, in pieno centro presso un’edicola.
Noelle intanto ha svincolato il suo corpo dal mio, le nostre intimità si sono distaccate me lei continua il suo assalto erotico riprendendo a stuzzicarmi con la bocca, per alcuni secondi pare indemoniata tanto che le mie mani le afferrano le anche riconducendo la sua intimità ad avvolgere la mia.
 
Ho eseguito il contratto il terzo giorno di pedinamento, pochi minuti prima che salisse su un aereo diretto a Melbourne. È entrato nel bagno pubblico chiudendosi in una cabina, io l’ho seguito dopo pochi secondi scoprendo che l’antibagno era completamente vuoto, una sola delle porte delle cabine era chiusa, la sua. In un attimo ho preso la decisione, sono entrato nella cabina a fianco, ho estratto la pistola, ho inserito il silenziatore poi salendo velocemente e silenziosamente sul vaso prima e sulla cassetta dopo mi sono issato sulla parete divisoria gli ho puntato la pistola alla testa. Ho sparato un solo colpo e velocemente sono ridisceso ma facendo in tempo a vedere l’effetto del colpo. Il proiettile che ho usato era stato precedentemente segnato alla punta per farlo aprire appena fosse entrato nella testa, non nel corpo ma specificatamente alla testa, come nostra consuetudine. Appena entrato nel cranio è esploso squarciandogli il capo e spargendo schegge da ogni parte, ho fatto in tempo a vedere un occhio attaccato sotto un cazzo disegnato sulla porta della cabina prima di ritrovarmi in piedi nella mia. Ho smontato velocemente il silenziatore, ho riposto la pistola sotto la cintura dietro la schiena, ho tirato lo sciacquone e sono uscito con estrema calma dal bagno. Ho attraversato la sala d’attesa fingendo di leggere un opuscolo illustrativo e mi sono diretto verso l’uscita fermandomi per cedere gentilmente il passo a una coppia di anziani signori che mi hanno ringraziato con un lieve sorriso. Fuori l’aeroporto mi sono fermato in attesa del solito taxi appostato nelle vicinanze. Ne sono arrivati ben due che quasi si sono messi a litigare su chi si sarebbe accaparrato la corsa. Ho rivolto un sorriso divertito all’agente davanti la vetrata d’ingresso che complicemente mi ha corrisposto, infine sono salito sull’auto del vincitore della verbale contesa allontanandomi dal posto. Ho saputo in seguito dai notiziari che il corpo è stato scoperto mezz’ora dopo, quando l’occhio attaccato alla porta è scivolato finendo per terra nello spiraglio della porta e attirando così l’attenzione. Nessuno ha fatto caso al gentile signore che poco dopo era uscito tranquillamente dileguandosi nel nulla.
 
Noelle ora accelera il movimento dei fianchi, finora sono stato passivo sotto di lei lasciandole condurre il gioco a suo piacimento, ho resistito grazie al ricordo dell’aeroporto. Lei pare si sia accorta della mia inerzia e sospettando un mio assenteismo mentale cerca di indurmi ad una fattiva collaborazione. Non ha torto, il suo corpo merita tutta la mia attenzione.
Mi inarco verso di lei raggiungendo con la bocca i suoi capezzoli turgidi, ne mordicchio la punta, lei geme di passione, alza la testo in su mostrandomi selvaggiamente il collo su cui affondo avido la bocca come un felino. La copro di baci, con il viso sommerso dai suoi capelli mentre lei tenta invano di sfuggire la mia presa. Le impedisco di scappare tenendola inchiodata sopra di me fermamente deciso a restare immerso dentro di lei. I miei colpi si fanno furibondi, la mia mente esplode.
Ziegler! Ziegler! Ziegler! Cosa mi hai fatto, dannazione!
Con un colpo d’anca cambio posizione, la costringo supina a sottostarmi, per alcuni secondi affondo violentemente dentro di lei mentre con le mani le immobilizzo la testa e con la bocca le soffoco la sua impedendole di respirare. I miei colpi si fanno più prepotenti e determinati allora lei, con un colpo di reni si libera della mia morsa e, sempre restando immerso dentro lei, cambia di nuovo posizione. Ora siamo distesi di fianco con la sua coscia sopra il mio fianco e, per non farmi allontanare, con la mano serra un mio gluteo mentre di contro acuisce la spinta. Pur eccitati siamo entrambi stanchi e ansanti, restiamo in questa posizione, eccitati ma coscienti. Le bocche si cercano questa volta con delicata sensualità. “Ti amo” mi ripete non so quante volte in un minuto.
 
Il secondo contratto è stato diverso da tutti gli altri. Si trattava di un testimone in un processo per omicidio, la commessa ricevuta era di non farlo arrivare al processo. Non era specificato da nessuna parte se bisognava ammazzarlo o meno, solo che non doveva presentarsi al processo. D’accordo con Costantini abbiamo preso alla lettera l’ordinativo. Il testimone non avrebbe testimoniato ma non l’avremmo nemmeno ucciso.
Con questo proposito mi sono messo sulle sue tracce, non sarebbe stato un compito facile intervenire.
L’uomo era sotto protezione, un agente in borghese gli faceva da angelo custode perciò bisognava eludere la sua guardia. Per una settimana abbiamo seguito passo per passo ogni loro movimento, tutte le usanze, infine puntualizzando un’abitudine quotidiana mattutina, l’unica che ci offriva uno spiraglio per intervenire. Nei pressi di un sottopassaggio vi era un’edicola e i due uomini ogni mattina sostavano per circa un minuto, il tempo di acquistare un quotidiano, aprirlo e scorrere velocemente le notizie in primo piano prima di avviarsi verso un parcheggio poco distante. Bisognava intervenire in quel frangente, solo in quel momento, nemmeno nel parcheggio perché la via di fuga era troppo aperta ed esposta a eventuali interventi di forze d’appoggio.
Una grigia mattina con un cielo coperto e una leggera umida nebbiolina, indossando un giubbotto da operatore ecologico e un berretto a visiera spingendo un trabiccolo a forma di cariolone su cui spiccava una lunga scopa e il manico di una pala mi sono appostato nei pressi dell’edicola. Nel momento in cui il mio uomo e la scorta si sono fermati all’edicola ho spinto il cariolone facendolo urtare di proposito sulla schiena della scorta mentre, impugnando la pistola con il silenziatore nella destra, velocemente ho portato la canna della pistola su per il corpo del mio bersaglio al disotto del giaccone. All’altezza della cintura dei pantaloni ho fatto fuoco una sola volta puntando alla spina dorsale. Contemporaneamente ho chiesto scusa all’uomo di scorta che stava per ricomporsi mentre la mia vittima è rimasta immobilizzata con le mani poggiate sulla mensola dell’edicola. Ho tirato indietro il cariolone portandolo di lato all’edicola e con apparente calma mi sono diretto verso il sottopassaggio. Ho sceso la scalinata con calma, senza correre, svoltando l’angolo mi sono tolto il giubbotto indossandolo di nuovo rivoltato, era infatti un double face. Ho tolto il berretto a visiera e dopo aver fatto fuoriuscire un una folta chioma di capelli posticci l’ho ricalcato sulla testa. Poco più avanti mi sono fermato a osservare la vetrina di un negozio di telefonia, ma non sostando a lungo, solo una decina di secondi, il tempo di far imprimere nella mente di eventuali testimoni l’immagine di un capellone che bighellonava senza alcuna meta precisa. A un mendicante che chiedeva qualcosa gli ho fatto segno con le dita della mano di non avere nulla strappandogli anche un sorriso di comprensione. Sono risalito sull’altro lato della strada a una trentina di metri dall’edicola soffermandomi solo per un attimo a contemplare la scena dell’uomo di scorta chino sul corpo ormai crollato a terra della mia vittima mentre chiedeva a gran voce aiuto, incurante persino di guardarsi intorno. Mi sono allontanato dalla piccola folla di curiosi sparendo di nuovo nel nulla.
 
“Sei stanco?” mi chiede Noelle. La guardo curioso accorgendomi solo allora di un mio percettibile rilassamento. Le sorrido, le faccio cenno di no e con rinvigorita passione mi immergo di nuovo dentro di lei che riprende a gongolare di piacere.
Ora lei è sotto di me e i miei colpi sono diventati ritmici e di crescente potenza infine, dopo alcuni minuti, il desiderio di lei mi ottenebra la mente placando la mia forza. Dopo un ultimo spasmo crollo esausto al suo fianco, anche lei rimane priva di energie a fissare il soffitto mentre la mia mente ancora una volta si lascia catturare da un’immagine che ben conosco.
Ziegler! Ziegler! Ziegler! Maledizione a te cosa mi hai fatto? Quale malattia mi hai trasmesso? Con cosa mi hai contagiato?
 
Costantini mi guarda con una curiosa espressione, non sembra affatto sorpreso della mia rivelazione, come se l’avesse già intuita da tempo. Con una mano tamburella sul piano della scrivania e con le labbra fa strane smorfie, il volto, però, non tradisce alcun nervosismo.
Dopo qualche minuto, rivolgendosi all’onnipresente Volcic, dice in tono ironico:
“Sentito Igor? Moretti ci lascia”
“Ci lascia o vuole lasciarci?” replica Volcic.
“Non rompere Igor, ha detto che ci lascia, chiaro e tondo”
“Non ha specificato il momento” ribatte lui.
“La volete piantare voi due? Sono qui, se avete qualcosa da chiedermi fatelo ora”
“Ok Moretti, immaginavo da un pezzo che avresti preso questa decisione, si trattava solo di tempo”
“Non te ne avevo mai parlato”
“Tu no ma la tua faccia sì. Vuoi sapere da quando? Dalla morte di Ziegler. Quella sera sei rientrato stravolto e non era un atteggiamento che ti si confaceva. Emil, mi sono detto, Moretti prima o poi ci lascia!”
“Mi dispiace ma credo sia la soluzione migliore per tutti”
“Non te ne voglio Moretti, hai fatto fin troppo per questa agenzia”
“Nessun rancore anche da parte mia, ragazzo. Beh la vita continua, vado giù, c’è una macchina da sistemare”
“Grazie Igor, stammi bene”
“Anche tu Moretti, qualche volta passa a salutarci” afferma ridacchiando mentre si allontana. Sa che sarà impossibile perché una volta sganciati dall’agenzia è tassativo non mantenere più alcun contatto con il passato. È una questione di sicurezza generale.
“Allora cosa farai da domani?” mi chiede Costantini.
“Ciò che ho sempre finto di fare, il rappresentante industriale, così non devo tante spiegazioni a Noelle”
Nell’ufficio di Costantini compaiono le due ragazze, Magda e Mirella. Noi le chiamiamo così sebbene siano donne fatte.
Magda ha trent’anni, dal corpo pienotto e dall’apparenza di un’oca svampita, in realtà ha un’intelligenza di prim’ordine. Ha una memoria di ferro e sa gestire il computer come e meglio di una ragazzino con il proprio telefonino.
Mirella di anni ne ha quaranta ma ne dimostra almeno cinque di meno, sarà forse per il trucco sapientemente usato e per un’attività sportiva che ha sempre praticato fin da bambina che il suo corpo snello e longilineo fa di lei la più ammirata avvocatessa del foro penale.
“Qualcosa bolle in pentola capo?” chiede cinguettando Magda a Costantini mentre Mirella ci saluta con un cenno.
“Moretti si ritira dall’attività” afferma lui.
Le due donne hanno una reazione totalmente contrastante, Magda sgrana gli occhi e si lascia andare a un lungo “Ohhh!”
di stupore mentre Mirella mi punta gli occhi indagatori addosso senza proferire alcuna parola poi, come a confermare un proprio pensiero commenta:
“E’ giovane e carina almeno?” mi strappa un sorriso, ci ha preso in pieno al primo colpo. Non le rispondo, lei mi fa un occhiolino e si allontana agitandomi una manina. Fortunato chi la catturerà, mi chiedo, è una ragazza in gamba.
Ancora dei passi e questa volta entrano insieme senza parlare tra loro Orloff e Santiago. Il primo mi volge un sorriso, l’altro mi guarda con indifferenza. Mi è sempre stato antipatico, dal primo momento, e per fortuna non ci ho mai dovuto lavorare insieme, non mi ispira nemmeno fiducia.
Anche a loro Costantini da l’annuncio del mio ritiro. Santiago mi lancia un’occhiata e mormora “buono a sapersi”, Orloff mi si avvicina tendendo la mano che stringo volentieri.
“Davvero vai via Moretti?”
“Sì Jacob, smetto da oggi”
“Per l’agenzia sarà una grossa perdita ma a me fa piacere che tu chiuda tutto intero” è davvero un simpaticone.
“Hai ragione non è da tutti”
“Beh, allora buona fortuna la fuori” mi augura.
“Credo ne avrai più bisogno tu di me”
“Sì, anche questo è vero, comunque buona fortuna lo stesso” conferma ridendo.
“Addio Orloff!” gli auguro prima di andar via
 

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