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blog di Mariagrazia Tumbarello

la nostra quercia

perdonami quell'aria
da perdente depressa
che m'ha stampato l'aere addosso ai vestiti stamane,
senza cenere questa volta,
che mi baci di soppiatto,
come una candela che s'asciuga al bagliore del vento,
t'aspetterò,

sento freddo

ridonami il sorriso
e la fronte alta
delle occasioni buone,
t'ho amato a vita
e ora corro sola,
smarrita al vento
senza più cieli,
sai, fa morire,
questa distanza,
e blocca il fiato
senza patire,

ripensami, disegnami

ripensami,
quando alla notte
avrai concesso
l'ultimo impenitente sguardo
da appendere
alla soffitta buia, dalla luce scalfita solo per pietà e onnipotenza,
e dentro quell'unico soffio
sottile
di calce e pietra

nonno partigiano

svetta la bandiera
in memoria di avamposti divelti,
barricate elevate,
rosso fuoco
il senso della libertà conquistata,
di quelle voci recuperate
al senso,
sebbene avvolte in sudari o annegate
nel tempo che scorre,

ginocchia

quante mani avranno cura
del tempo che va,
scivolando quiete
tra le imposte socchiuse
di un giorno di velluto chiaro,
vorrei spalancare gli occhi
sopra le tue ginocchia impazienti,
impazienti di vita nuova,
che planano con il vento

canta, danza

canta,
danza senza freno
al fiorire maturo
del maggio buono,
coglimi una rosa col profumo addosso,
cimentami in pulsioni basse e vitali,
saranno i fiumi della vita
ad arrogarsi il diritto
d'annusarmi per la strada
ed indicarmi la meta giusta

primo bacio

 
 
 
non trovo argine
al ricordo nel tempo,
che smarrisca confuso
quel tuo viso e i tuoi occhi,
e se serro le dita
sopra il seno deluso,
all'immagine cupa
io riservo il sorriso,
e ti bacio lontano

filo d'erba

ho incontrato
quel filo d'erba
che fino al giorno prima
avevo rimirato al respiro innocente,
fruttare qualche goccia d'estasi matura al sole cocente,
m'ha parlato di noi
e delle frasi ingombre che abbiamo sentito
vibrare
cortesi,

distanza

tremava il tuo sorriso,
quella notte sul molo
con lo sguardo perduto
oltre la balaustra dell'orizzonte,
rimiro
quegli istanti
come fossero ancora miei,
e nella notte centellino
l'amara consapevolezza
di quanto distanti

voglia

ho una voglia pazza
di quelle pozzanghere bambine
che ci divertivano al suono mesto
di una promessa ardente;
pazzi giocavamo a rimpiattino,
urlando i nostri nomi
al calar del giorno,
per poi fuggire intrepidi lungo i perimetri insinuosi
del nostro rifugio diletto;

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