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Dean e Kate: la loro storia inizia un pò qui

Non avrei dovuto portarla negli inferi: lei era un essere molto più puro di molti angeli che vantavano ali candide come la neve appena caduta. Eppure volevo dimostrare a me stesso e forse anche a lei che io ero un essere oscuro, che amavo il male e che non provavo pena per gli umani di cui mi nutrivo.
La condussi oltre la porta che recava la scritta più celebre, quella che gli umani avevano potuto leggere solo attraverso i racconti di un certo Dante e che qui erano intarsiate d'oro e di rabbia. La cruda verità era che dentro era molto peggio di quello che qualsiasi anima con ancora un briciolo di senno potesse immaginare.
Varcammo la soglia: Kate tremava da capo a piedi, accanto a me e io ridevo. Lei che si considerava tanto forte adesso odiava quello che vedeva entro quelle mura. La sentii opporre resistenza, ma io la costrinsi a proseguire: non poteva respingermi, era troppo debole per farlo e io volevo la mia vendetta.
La condussi fino a una stanza un pò particolare, quella che usavo sempre quando facevo quella che si chiamava la 'rieducazione': quando un vampiro come lei smarriva la strada e smetteva di bere sangue umano, tutto quello che si poteva fare era renderla di nuovo dipendente da esso. Come una droga, una volta ricominciato era difficilissimo tornare indietro e smettere di nuovo.
"Allora Kate da chi vuoi cominciare?" dissi sorridendo.
Nella stanza comparvero alcune gabbie: all'interno umani dotati di corpo si contorcevano, intuendo istintivamente il loro destino, immaginando cosa ci fosse dietro la nostra aria innocente. Alcune contenevano bambini, altre donne, altri ancora uomini, di tutte le età: tutti erano peccatori e tutti avevano commesso qualcosa, in vita, che li aveva condannati a quella pena eterna.
La vidi ritrarsi e premere contro un angolo della parete ed io scoppiai a ridere. La fissai: grazie a quel poco di controllo mentale che potevo permettermi di avere, illusi la sua sete e la feci crescere come fossero passati giorni dall'ultimo pasto.
Adesso aveva fame, era divorata dalla voglia di mordere e la cosa era piuttosto evidente visto il suo sguardo disperato e i suoi canini adesso appuntiti e pienamente pronti ad attaccarsi a una vena.
Aprii una gabbia e lasciai uscire un'anima, un depravato da quel che potevo leggere nei suoi ricordi. Anche lei li sentiva e il senso di colpa per quello che stava per fare era affievolito dalla enorme quantità di crimini che quell'uomo aveva sulla sua testa.
Mi avvicinai a lui, bloccandogli ogni possibilità di muoversi e prendendolo alle spalle per potergli mettere un braccio intorno al collo. Guardai Kate dritta negli occhi mentre i miei canini ferivano la sua giugulare e la mia lingua leccava il sangue residuo sulle mie labbra: la vidi scattare in avanti e io mollai la presa dell'umano, certo che l'avrebbe attaccato.
Tutto mi sarei aspettato, meno che mi immobilizzasse contro la parete in fondo alla stanza e mi guardasse sorridendo "E se io mi nutrissi di te, Dean?" La sua sete era così forte che non riuscii a impedire i suoi gesti, rinvigorita dal bisogno di mordere per non morire.
I suoi canini affondarono nella mia pelle, colpendo la vena, perforandola e facendo uscire copioso il mio sangue. Contrariamente a quello che si potesse pensare, venire morsi da una femmina era un piacere enorme, così forte che spesso ricambiare era una necessità. Solo che una volta stipulato un patto di sangue, una volta che due vampiri condividevano il sangue l'uno dell'altro, si instaurava un legame vincolante e permanente.
Chiusi gli occhi e abbandonai la testa indietro, lasciando che si prendesse quello che voleva di me: provavo una sorta di assuefazione, una sensazione di piacere indotto da quelle labbra  e da quella gola che stavo nutrendo.
"Kate.." dissi languidamente, con voce roca. Anche i miei canini si allungavano paurosamente, attratti dall'idea di potersi godere la sensazione dello scambio: solo che io e Kate non eravamo mai stati amici, anzi più che altro avevamo cercato di ucciderci l'un l'altro fino a pochi giorni prima. 
Non ragionai razionalmente, semplicemente mi lasciai guidare dall'istinto. Aprii la bocca e affondai nel suo collo senza nessuna gentilezza per la sua pelle: la sentii ansimare un momento e quel suono amplificò ulteriormente la mia sete e il mio piacere.
Dio, era come se stessi bevendo il nettare divino e contemporaneamente un forte orgasmo avesse preso i miei sensi. Un'emozione così travolgente che per staccarmi avrebbe avuto bisogno solo della forza di volontà, della voglia di non ucciderla per poterlo rifare.
Ci staccammo l'uno dall'altro, quasi in sincronia, fissandoci negli occhi, il fiato corto e il cuore in gola.
Per sempre, indissolubilmente legati..

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