Il ritorno di una Santa | Prosa e racconti | Giuseppina Iannello | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

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Il ritorno di una Santa

Maria Teresa, il mio estremo sforzo, renda omaggio al tuo monito: “Non ci sarà d'ora in avanti, uno solo dei miei persecutori che oserà calpestare questo suolo. Avete infranto la legge dei vivi, tirando calci ai morti! Non ci sarà più nessuno che si permetterà di guardare nel piatto del proprio fratello.

Dolce amica, tu venivi a scuola, del tutto inconsapevole di quello che stava accadendo; era la nuova preside delegata a giudicarmi. Mi elargivi un sorriso, e per quel sorriso, fosti assalita.

“Giusy, io ti sentii nel chiuso della stanza, parlarmi come allora... Perché devi sapere che il giorno di Ognissanti di tanto tempo fa, noi non ci incontrammo casualmente.

Rilessi il tuo biglietto, e poi socchiusi gli occhi; mi sembrò di sentirti... Perché mi hai rimproverata?...

Da quella scuola, all'ultimo degrado, sarei uscita da sola; avevo un sogno in fondo al cuore: conversare serena in un salotto, con tante amiche.”

Nel portamento, fin dal primo giorno, mi sei apparsa importante. E, allora, perché quell'affronto? “Come si permette?!... Non vede? Sono con le mie amiche.”

“Giusy, da quel giorno ti sentii ancora più frequentemente. Ti prendevo per mano e ti dicevo: “Non piangere, tua madre sa quel che patimmo insieme. Non sei più sola; hai tutte quelle amiche che non ebbimo il tempo... Devi sapere, che in quello stesso giorno, nel quale fui costretta a pronunciare la sentenza, io mi pentivo.

Ma devi sapere che a quel passo io fui costretta per le minacce invasive e costanti. Da ultimo, nel mio stesso appartamento, venivo legata ed imbavagliata. Immediatamente dopo la tua espulsione, io mi pentivo. Uscii di corsa... Ma ti eri involata. Mi rivolsi alle mie persecutrici: ecco sarete contente: avete spezzato le ali ad una rondine; avete insanguinato il cuore di una madre. Venni presa d'assalto e trasportata al più vicino CPS. Alle autorità competenti, così si rivolsero quelle diavolesse: mercé, per una povera incosciente...

C'è una tizia, che al suo secondo anno, non ha voluto arrendersi, ma lei... La difende e vorrebbe reintegrarla. Ella è un costante pericolo per la nostra scuola, perché si oppone alle nostre strutture programmatiche. Mi davano uno strattone. Sta bene dissero, i delegati alla pubblica salute del “regio stato”. Fate accomodare l'invalidata. Per il momento, noi vi consigliamo: 20 gocce di valium tre volte al dì.

Dopo il ricovero, farete regolare domandina e non ci saranno problemi per internarla.

Giusy da quel giorno, io non ebbi tregua. Infine, venivo relegata nella casa fatiscente di un mio prozio. Le diavolesse si fecero tutrici della mia persona, perché io ero una demente. Le minacce furono sempre ripetute e costanti. Dovetti sopportare tutti i maltrattamenti. Consacrai il mio sacrificio a tutte le madri. L'ultima minaccia era stata la più terribile. Mi dissero, riguardo ai miei due figli: non ci vorrebbe niente a toglierli davanti... Tanto più che sono muti e quasi non vedenti.”

Maria Teresa, dolce amica, non avrei mai immaginato... La tua sofferenza mi sconvolge. Ti ho sempre pensata e vista nel colore del giallo crisantemo, in un giorno solare bagnato di pianto. Non avrei mai pensato di dover raccontare del mio passato di docente, ma lo farò, perché la tua vicenda mi rende protagonista, inconsapevole. Sono vicina al tuo cuore e per sempre.

* *

Correva l'anno1992... Ero una docente di ruolo, dopo dieci anni di precariato, ma dovevo ripetere una prova. Avrei voluto non immettermi un'altra volta su quella strada, perché ero conscia del verdetto finale: sarebbe stato analogo al precedente: Espulsa.

Vidi mia madre prostrata: “Figlia, io soffro più di te... Ma non riesco a capire... Forse se non avessi reagito al Preside che è un superiore, tutto si sarebbe appianato. Compii l'ultimo sforzo; ripeti l'esame.”

Invano, cercai di persuaderla, che la situazione, non sarebbe cambiata: i miei avversari avevano organizzato un complotto che si sarebbe ripetuto. Ritorno al mio primo anno per spiegare l'atteggiamento del personale scolastico e la mia costernazione per quella condanna che non riuscivo a capire. Il preside all'inizio, mi sembrò un uomo in preda a grandi sensi di colpa, ma era il primo giorno di scuola... Ipotizzai motivi familiari. Nel giro di qualche giorno, lo vidi come un potenziale nemico. Le cose andarono sempre peggio, fino all'accanimento finale. Non avevo più dubbi egli era stato circuito con l'infida finalità di punirmi... Non seppi mai per qual disastroso crimine. Ero una pedina tra due scuole, quella nuova e quella vecchia, alla quale avevo avuto l'onore di essere stata assegnata. Tutti facevano a gara, facendo corona al preside, nel tessere una sottile trama, tiri mancini.

L'anno si chiuse con la mia interdizione.

“MA...”

“Non c'è nessun Ma,” mi disse il Capo. “Se tiene tanto al suo mestiere, le concediamo l'attenuante di una condizionale: la sottoporremo ad una ulteriore prova, durante la quale sarà rigidamente controllata.”

Ero una docente di ruolo... Che veniva defraudata della propria soggettività. Invano cercai una persona che potesse sostenermi. Mi rivolsi ad “AMICI”, e CONOSCENTI; non agli INSEGNANTI e ALTRO PERSONALE: perché quasi tutti facevano parte della congiura. Tutti mi negarono il benché minimo sostegno.

Mi rivolsi alle poche persone che circondavano i miei mesti genitori, quasi a voler dimostrare che ero un'imbecille. Mi risposero incrociando le braccia... “Se ti sei messa nei guai, sono affari tuoi... Evidentemente non sei stata in grado di mantenere il tuo ruolo; e poi sei troppo docile... Occorre avere polso... Soprattutto con i ragazzi.”

L'anima esigeva una smentita, perché amavo i miei studenti, sentivo di essere buona, e severa, nella misura in cui lo ero con me stessa. L'ultimo tentativo, lo feci con una genitrice, dell'assemblea dei genitori. “Signora, perché anche sua figlia, che era tra le più brave, quando mi vede scolora e si volge dall'altro lato.”

Rispose: “Cosa vuole non vogliamo che i nostri figli diventino dei delinquenti.”

Quelle parole mi ferirono, più di una condanna a morte.

Lettrice, riprendi quella pagina di ieri... Sono Rita da Cascia; io ti accennai a quel fatto luttuoso ed esecrando, accaduto nelle vicinanze di Brescia.

Maria Teresa, insieme a noi, ti riferisce, quanto accadde:

Giusy, devi sapere una cosa importante: quel giorno alle mie esequie non c'era nessuno; si disse: fu solo un'esule... Non è il caso che le diamo sepoltura. Fui seppellita sul greto di un fiume, quello che congiunge Lonato a Calvisano. Voglio che si sappia che a memoria di uomo, non seppe visto un delitto più efferato. Come ti dissi, io fui relegata; le mie carceriere si assumevano l'onere di farmi da tutrici. Fui sottoposta a ogni genere di maltrattamenti. Infine, furono esauste: io non ero la riccona che avrebbe, potuto risolvere il loro dramma esistenziale: quello di non essere eredi di “facoltosi industriali” come loro solevano chiamare gli onesti imprenditori... Dietro l'antipatia nei tuoi confronti, devi sapere che c'era un mostruoso disegno. Impossessarsi dei miei beni.

Infine, mi ammalai. Non sapevano più come disfarsi di quella vecchia malata e zoppicante che non avrebbe potuto più provvedere nemmeno alle primarie esigenze fisiologiche. Quel giorno, nell'antivigilia di Ognissanti, fui svegliata di soprassalto: erano loro, le mie persecutrici, C.L. Mi dissero con melliflua voce: “Perché stai dentro le lenzuola... Alzati. Ti abbiamo riservato una sorpresa.” Non mi alzavo; mi presero a pedate, dicendo: ”Per quest'oggi, ti lasciamo... Ma non ti abbandoniamo.” Lasciarono un fagotto sulla sdrucita poltrona e , finalmente, li vidi allontanare. Non ebbi il tempo di pensare; mi addormentavo. Mi apparve un Angelo, mio fratello: “Teresa, sono Robin. Indossa il saio. Non temere la trappola mortale; noi ti siamo vicini.” Chiusi gli occhi un istante e li rividi: c'erano tutti; formavano due ali: i genitori... E poi vidi il mio sposo, il padre dei miei figli che tutti si ostinavano a chiamare. “L'amante.”

Ed era l'alba.

Non ero più sola. Sentivo le parole: “Ti guideremo in ogni movimento.”

Come hai già saputo, la mostra non ebbe luogo: era stato l'atroce marchingegno per defraudarmi dell'ultimo oggetto: una parure di gemme, che era stata assicurata. Mi vestirono con l'abito da suora che avevano lasciato, dicendo. “I tuoi son logori... faresti brutta figura”. Mi imbrattarono di unguenti; quindi mi trascinavano fino al palazzo del diacono, dove avevano luogo le riunioni parrocchiali; tutto con la complicità degli assessori.

Giusy mi fermo qui, perché raccontarti nei particolari del mio assassinio, è molto raccapricciante. Fai sapere ai miei figli: Gianpaolo e Mirko, che non hanno provveduto ancora a darmi sepoltura. Ritornerò. Sono la santa che brandì la sferza.

 

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