Il vicolo | Prosa e racconti | Andrea Occhi | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

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Il vicolo

Da qualche tempo ho effettuato una scoperta in campo…medico…scientifico…deciderete voi qualora la pazienza vi consenta di leggere queste non poche righe, vergate elegantemente non con la punta tagliata di sbieco di una penna di pavone, perché io sono così, come si dice...frou-frou, ma con il freddo carattere a stampa di questo ingegnoso insieme di sabbia, rame ed altri preziosi metalli che mi consente di comunicare a voi le mie emozioni e di rendervele, questo è il mio intento, comprensibili. Ebbene, senza smarrirci per i giri di parole, giochi cui per natura e per professione sono avvezzo e che, devo confessarlo, mi divertono, ritorniamo all’inizio della mia casuale, ma quanto mai incredibile scoperta. Una notte in cui il sonno tardava ad appesantire le mie palpebre, stanche di osservare il vuoto che il tuo corpo aveva lasciato impresso, nel letto, al mio fianco, dopo aver eliminato la tua impronta sprimacciando il materasso come un’onda cancella i passi sulla battigia, scesi in istrada e camminai, con la lentezza di chi si affretta adagio nell’abbandono dei pensieri, senza una meta predeterminata, ma con la certezza della propria destinazione. Globi arancioni diffondevano il loro triste alone, privo di capacità illuminanti, rendendo la geografia dei luoghi irreale e paurosa. Svoltai nel vicolo, denominato “Diavoletta”, in virtù di un’antica leggenda secondo cui una notte, sul muro appena imbiancato, proprio nell’angolo ove il vicolo svoltava a sinistra, comparve una sagoma, nera come un’ombra, che rappresentava un piccolo caprone, in un’oscena posizione umana. A guardare bene, quell’orribile graffito presentava fattezze femminili, un seno ben tornito ed una mora matura tra le cosce. Da lì il nome. Ma questa è solo la fine della storia. Tale immagine s’impresse poiché in quella casa, oltre il portone di pesante legno dai fregi d’ottone, viveva un bambino bellissimo d’aspetto, ma di salute assai cagionevole, minata da quegli scoppi nervosi che tendono la lingua a soffocare il respiro e la bocca ad emettere rantoli frammisti a schiumosi olezzi. Il piccolo, per alleviare la propria solitudine in cui una famiglia apprensiva lo aveva relegato, si era creato amici immaginari con cui trascorrere il tempo dei giochi e della spensieratezza: uno maschile ed uno femminile. Il primo con lineamenti delicati e la gentilezza dei gesti, la seconda con l’irruenza della focosità e della lussuria. Dopo anni vissuti in armonia, l’immaginazione pareva essere mutata in realtà: tre voci, sei mani, tre bocche, sperimentarono i primi approcci a quella calda e densa emozione come solo la curiosità e l’attrazione fisica possono provocare nel sangue di un essere umano. Venne, purtroppo, il giorno in cui i tre amici, divennero due. Un attacco improvviso impedì alla schiuma densa come panna il respiro ed il piccolo spirò. Ora, “il delicato” e “la lussuriosa” erano soli ed ognuno si dissolse nel suo mondo privo di fisica autonomia, ma, prima di separarsi in direzioni opposte, si giurarono eterna amicizia e mutuo soccorso qualsiasi evento li avesse investiti. E così fu. Un giorno “il delicato”, smarritosi tra le ruvide spire di un roveto, entro le cui spine era caduto, nell’intento di raccogliere more succose, chiamò urlando con la sua voce immaginaria, l’amica lontana, la quale giunse velocissima sul luogo sulle sue quattro zampe e si lanciò a testa bassa in quell’intrico sbaragliando con le sue piccole corna la trappola in cui “il delicato” era imprigionato. Una volta liberato, pieno di graffi e sanguinante, abbracciò l’amica la quale ricambiò con immutato trasporto. I due presto si ritrovarono a rotolarsi nudi sul vicino prato e si giurarono amore eterno. “Il delicato” come pegno d’amore le donò la mora più bella e succosa che avesse colto e “la lussuriosa” gli donò la sua impossibile fisicità, in cambio della propria, che fu impressa per l’eternità sul quel muro di fronte al luogo in cui, per un atto d’amore e solitudine, essi erano nati. Egli, per l’eternità ogni notte, dopo l’amore fugace ed effimero, insonne, ritornava dall’amica sul muro, con gli occhi lucidi di colui al quale pare che la vita sia priva di significato, senza l’amicizia. La scoperta sensazionale? Sono in un vicolo con le lacrime che mi solcano il viso. Gli occhi fissi al muro.

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