La fornace | Prosa e racconti | Andrea Occhi | Rosso Venexiano -Sito e blog per scrivere e pubblicare online poesie, racconti / condividere foto e grafica

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La fornace

Lame di luce, inclinate come scivoli in un kindergarten, penetrano la penombra umida di quell’antico rudere, abbandonato alle incurie del tempo le quali proseguono nell’arrecargli vandalico scempio, tentando di sopire quel rosso passionale dei mattoni, sbrecciati, avvolti tra le spire di venefica edera, come se quel loro ardito colore fosse un lazzo sfacciato ed impertinente, un affronto alla monotonia circostante. Dall’alto della ciminiera, camino della fornace oramai muto, che si protende alle nuvole con la volgarità di un dito medio, come a maledire l’impietoso scorrere dell’abbandono dell’uomo, alcune cornacchie, nere come il ricordo del fumo che sbuffava, lanciano gracchianti risa lucide. Due lucertole, immobili nel sole si crogiolano al calore. Da bambino, varcato il pesante cancello, reso immobile dalla ruggine cancerosa, immaginavo la vita che un tempo trasformava la rena. Vigorosi muscoli di uomini che, sudati, si gonfiavano sotto la pelle cotta ed indurita e donne generose dalle risa giocose che, imbracciando cesti di vimini con pane e carne salata e secchi di latta colmi di fresca acqua di pozzo, arrecavano il giusto ristoro alla fatica. Dopo il pasto consumato con avidità, allegria e malizia, i corpi sporchi e quelli profumati si mescolavano in nude danze alla morbida ombra di antiche farnie dalle folte chiome. Ricordo che il sogno mi trasportava sino all’eccitazione. La felicità di quegli uomini e quelle donne era commovente. Non ho più violato quel rudere, perché ritengo di non poter più raffigurarmi quelle immagini, ma soprattutto quei suoni e quelle musiche che, uscendo da quelle bocche, si gustavano la vita, volavano nell’aria e picchiavano i miei timpani. Che io non appartenga più alla fantasia? Non voglio divenire mattone!

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