Nell'armadio

Nell’armadio, protetta in una guaina semitrasparente, nella tasca di una vecchia giacca di velluto, dalle coste marroni, oramai logore sui polsi, ho rinvenuto una polvere brillante, luminosa, della consistenza della sabbia e del colore delle more. Me la sono rigirata tra le dita, l’ho annusata e un profumo di mosto, fragole mature e mare, ha investito le mie facoltà razionali, rapendomi in un vortice di emozioni che il mio cuore si era convinto di avere abbandonato al tempo, ma che, come brace sotto la cenere, si è incendiata ai miei sensi, al minimo alito di ossigenanti soffi. Ricordo le tue mani frenetiche sulla mia pelle e i tuoi occhi avidi sulla mia bocca, il tuo sudore, e le incessanti richieste di novità carnali che riuscivamo a soddisfare, senza alcun timore di apparire oltre i limiti di ciò che possa essere definito o contenuto nell’estremismo della normalità. Trascorrevamo ore a giocare con i nostri corpi, trafiggendoli con gli aghi dolci dei nostri gemiti rituali. Invertivamo i nostri ruoli e ridevamo al culmine delle nostre capriole, come monelli subito dopo la commissione di una divertente marachella. Stupiti per la fantasia che le superfici delle nostre labbra fameliche e libere potessero esprimere, ci siamo vissuti, consumati, sino a che la nostra magia, placebo della noia, non è divenuta abitudine e si è rinchiusa all’interno del suo lucido cilindro, prigione di un bianco e puro coniglio.