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Un nome

Sembra facile. Cosa? Questo, leggete. L’altra mattina, con ancora il sonno che rigonfiava gli occhi, mentre il caffè gorgogliava dalla caffetteria di alluminio, il trillo elettronico del campanello accese il videocitofono, dal quale scorsi il volto di mio padre. Col pulsante numero due lanciai l’impulso elettrico per aprire il portone. Nel frattempo, mi infilai i pantaloni del pigiama. Come entrò in casa appoggiò la bottiglia di vino, una bordolese, sul tavolo e mi fissò con quell’espressione soddisfatta ed interrogativa. Interpretai: “Il vino è ottimo, speciale. Occorre un nome. Ora tocca a te!”. Gli risposi: “Sì, ci penso io, babbo. Dammi qualche giorno…”. Annuì. Dalla porta che conduceva alla zona notte, entrò in cucina Iacopo, un atleta della squadra di pallanuoto, con una evidente erezione sotto gli slip che, aveva, almeno, avuto l’educazione di indossare. Mio padre non proferì parola. Non capiva più nulla. Qualche settimana prima, ero stato a cena a casa dei miei genitori, con un ospite di sesso femminile. Una maestra elementare che aveva subito legato con la mia mamma. Ed oggi, invece, mi vede in compagnia di un ragazzone muscoloso ed atletico con il quale ho trascorso la notte. Celando l’imbarazzo, il mio babbo, con un frettoloso “’Giorno…”, tra i denti, uscì. Iacopo: “Era tuo padre? Avresti potuto presentarmi…” Io: “Che avrei dovuto dire. Questo è Iacopo, quello che me lo…”. Iacopo: “No! Quello a cui piace prenderlo nel…”. Ridemmo. Iacopo: “Devi trovare un nome per il vino, immagino” – era perspicace. “Sì!” “E’ la prima volta?” “No. Ho già battezzato un vino bianco”. “Immagino come tu lo abbia chiamato” – accompagnò la frase leccandosi le labbra. “Fai proprio schifo!” – sorrisi. L’entusiasmo ci contagiò. Iniziammo a girare per casa, subito dopo la colazione, rimuginando nomi in silenzio. Iacopo mi ricordava Vicky il vichingo, un cartone animato. Quando doveva pensare si grattava il naso e, dopo qualche attimo, quando la soluzione era giunta, schioccava le dita, il pollice e l’indice; la differenza risiedeva nel fatto che Iacopo, non si sfregava il naso. Gira e rigira, il pensare mi eccita, Iacopo notò la mia erezione e mi fece un gesto volgare con il pugno verso le labbra, mentre la lingua rigonfiava la guancia. Risi. Mi sfilò i pantaloni e mi bevve sino in fondo. “Peccato non fosse un altro vino bianco”. Il nostro pensiero creativo fu interrotto da una telefonata al suo cellulare. Era sua sorella. Iacopo perse la sua baldanza atletica e si spense all’improvviso, sbiancando in volto. Bisbigliò qualche parola e iniziò a vestirsi. “Che è successo?” – domandai. “Mia madre…un incidente…sulle strisce pedonali…è morta…” Iniziò a piangere, lo baciai sulle labbra. Dopo che fu uscito, chiamai mio padre. “Ho il nome: Rosanese” Il nome di mia madre.

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