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4 - 5 - 6

Spesso occhi e tocchi sono corti. guidano i camminamenti
le rincorse vuote. vorresti prendere senza esser preso.
suonano a vista le campane, quand’occorre. lei non sa
che non la vedo lontano: sa che l’odo. sento la voce, e devo dormire
per apparirle. ma non vedo in giro di belli che la rubano. non è
merce, non è rara: è unica. allora mi dico che arrendersi è più male
del male stesso come se in gioco ci fosse
un perché non farlo e si facesse.
 
Quindi lui, l’occhio, si butta passando a destra
e là. direi che tocca ogni tua cosa per sentirla sua.
per credere che sia vera, usa le mani. non le stesse mie:
le stesse tue; ma non vede da lontano e insidia di brutto. prendi me,
ad esempio, vedendoti alla finestra la schiena,
credo al sorriso dell’attesa e tocco i miei denti;
ed anch’io aspetto, nient’affatto ridendo.
 
Parleresti a qualcuno che non c’è, mi dico e taccio,
ma rideresti se io lo facessi dalla porta,
incespicando a un cenno d’abbraccio, gli occhi che ancora
non si toccano più delle labbra? ci vorrebbero mani diverse
ma solo le nostre con quell’abitudine ad essere altrove.
non lontano, al buio.

L' Uomo Dei Cateti

      L'Ipotenusa, è la via più breve.

      Io sono l'Uomo dei Cateti

      Prendo il mio tempo

      E mi godo lo spettacolo.

Guardami

 guardami
avvolgimi di braccia e mani
perché io sono qui
adesso
e non altrove o quando
 
                          sia marea l'amore
                          sia liquido confine che si sposta
                          e invade
 
                          infiniti cicli finiti
                          che ci vincolano all'essenza
 
 
 
 

solitudine

 
 
Che colore ha la solitudine?
Che peso, che forma?
Una nera rosa di rasoio
che stride e lacera
la mia maschera tranquilla.
 
 
 

1 - 2 - 3

Lui sta lì. per stare ad una sedia
che non se la prendesse il mare. poggia
ad un’altra le toppe delle calze. senza i piedi
il pavimento non trascorre. il pensiero va nella stanza
dove cambia il tempo un pendolo. più col suono
che dai segni è ancora oggi.
 
Domani com’è sul calendario più di un santo.
niente di suo beninteso ma buoni per la cravatta
la mutanda candida il sugo con la carne.
domani c’è più vita solida che un culo da spiattellare.
si andrebbe all’altare se fosse casa.
si andrebbe si andrebbe se fosse solo domani.
 
Ora e solo ora s’accorge che il mare è d’acqua.
crede di capire i pesci e il peso che li circonda
lui sulla sedia affonda loro muovono l’onda.
vorrebbe un bacio e se lo dà. non cade
per non vedersi intorno stanco e non si muove.
ama il pensiero e va di qui o di là. stando alla vita
non vive.

Un acanto, un lichene

Un acanto, un lichene
e trasmutarsi in liriche di vento
come di savana
eccedere nel compiersi
di favola gitana
amare e dire
il rosso della sera
come folle
su abissi e sommità
raccontare
l’odore di gimcana
fra corolle di luce
e freddi baratri di inerme niente.
 

tralascio una lisca nello scoglio

un foglio di colla
per non deludere
le patelle
vietate.

quando gli scogli
rifiuteranno appoggio
forse l'onda
cercherà rifugio

in qualche banco. 

La mia poesia

La mia poesia è in punta di piedi
sottovoce in silenzio sull'altare delle parole
la mia poesia è dal ventre spinta sulla schiena
per cercarla, rubarla, donarla.
 
La mia poesia è schizzo di sangue
sul vetro della finestra del mondo
è graffio dolce mutato in versi
disseta, sfama, nutre.
 
La mia poesia parla ai muti, ai folli, ai sordi
parla alle donne nude sotto i ponti
ai clochard fuori e dentro le stazioni
agli infelici caduti nella polvere bianca che uccide
grida alle maledette prigioni scavate per le pene
ai nomi senza volti e senza sguardi
ai grandi maestri amanti di vendette e d'odio.
 
Ma la mia poesia è anche mia
poesia della speranza
di questa luce meta che ogni giorno
più la cerco e più la sento accanto

.

__________________________
Autorizzo questa mia poesia alla pubblicazione senza chiedere alcun compenso nè ora nè mai. Francesco Paolo Dellaquila.
 
 

viva italia

terra di mattanze
di vincoli
di speranze

terra di fuochi
e luci
di leggi, di abusi

terra di pietre scritte
di fiori recisi
di asili chiusi

terra degna di nome
che trema

ma non demorde 

In luce

Illùminati attorno a candele spente
recidi gli argini dell'ombra
nel risalire la luce
Scopri le mani all'aria e 
spargiti nel vento
mentre infondi quel bacio.
Nutriti di pelle umana
agguantane il fascino
a posar scompiglio, insana circoscrizione
di un istante reciso.
Ci è dato di scoprir il viso alla brina del mattino
 e ci annuncerà sempre la vita
la testimonianza del nuovo giorno.
Non essere vergogna del Mondo
indifferente di vita, di mal di esserci
nell'involo di un battito.
Non siamo gioie ammesse da labbra crudeli
nè segni indelebili di misteri da imbrattare
Non siamo che la crosta di piante sulla terra
un po' con le radici nascoste
un po'con i rami gentili
a puntare quello stralcio di cielo
che eternamente ci è concesso.

 

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