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Come di passaggio a me

Vieni lenta nello scialle dei capelli.
Quasi nuda alle spalle
dei glicini di cinta
con la paturnia della notte
negli occhi ancora acerbi per la luce.
 
Sei nel gesto rapida
come una danza di cardi in ala.
 
Si muovono gli uomini del dopolavoro
senza smettere il riposo.
 
Zappano coi loro denti
ai fianchi
per la guancia su di un lato.
 
E di là tu passi a me.

La scoperta

Cosa fosse
di lato a quel divano
cauta
l’incoscienza
-e dal soffitto venne giù
a parole scarne
quasi in silenzio-
non sapevamo.
No, non sapevamo.
Occhi bendati
nella coltre di fuoco
di viola alle tenebre.
Fissi volavano
tra i nostri argini
liberi sguardi di qualcuno
che, persi, erano lì
nell'apparenza del nulla.

Il tocco lieve,
la carezza mancata.

Là fuori

Fluttuano parole in aria.
Una dopo l'altra, fluttuano.
Di alcune colgo perfino il significato,
 ma il più delle volte
 mi limito a ripetermi che tanto la voce non è la tua.
 
Volano discorsi in questa stanza vuota.
Uno dopo l'altro, volano.
Ad alcuni rispondo,
ma il più delle volte
mi limito a ricordarmi che non riguardano te.
 
Parlano, parlano
e mi chiedono
d'associare
sentimenti a pensieri...
 
Ma io proprio non ce la faccio
a staccarmi da questo idillio
che mi esplode dentro,
mentre là fuori sorridi a quella che potrei anche non essere.

Ci sono stato...

Ci sono stato laggiù
dieci anni o dieci secoli
non ricordo
il buio mi usciva dagli occhi
l'otalgia dalla bocca
e appassionatamente amavo
cullare il pensiero della tenebra
godendomela femmina
sensuale finale, come fosse
la prima e l'ultima volta
che potessi vivere.

La maledizione della camera del Fraz (atto IV) -estratto dal mio romanzo, capitolo 20

Cloe ha appena finito di lavare via la granita di vetro e sangue dal pavimento, adesso dovrà lavar via la colpa. Il suo problema –dice Ummerda –è la cattiva influenza di D. Il suo problema –dice D. –è che lei ragiona con la fica. Il problema di D. –dice lei –è che lui ragiona con il cazzo. Un evento che accade è come un dado. Offre una faccia diversa ad ogni coppia d’occhi. La casa dev’essere pulita entro le 6, perché oggi attendiamo pretendenti alla camera del Fraz. Non possiamo permetterci che un’altra persona se la dia a gambe dopo 24 ore. La stanza del Fraz è infestata. È un periodo no, questo. Fuori il tossico, il malavitoso, la ragazzina punkettona pane e salame. È come se la camera del Fraz pensasse, come se fosse dotata di un’anima e aspettasse invano il ritorno del suo illustre inquilino. Si è aperto a casa un periodo giacobino.

La cucina deve rimanere pulita fino a stasera. Dobbiamo piazzare la stanza a qualcuno.

Ci ha lasciati anche Rizlo.  Rizlo, l’uomo che mi aveva fatto entrare a casapace. L’uomo che mi somministrava negroni e vodka lemon ai tempi in cui stavo con la donna-Druido e litigavamo e bevevamo. Litigavamo e bevevamo. Ere fa. La partenza di Rizlo era annunciata. Ormai non si vedeva più da mesi. Impegnato col tirocinio in un’altra città, dopo aver rotto con Cate, con Palermo, con tutti, ha ufficializzato il suo addio. Ero rimasto l’unico della vecchia guardia. Il satrapo di casapace, e in quanto tale mi toccava la stanza dell’anziano: quella bellissima nel soppalco, con zona giorno nell’anticamera, zona notte e verandina privata per ottime pecorine con vista cattedrale. Ora che ho questa stanza, posso accarezzare l’illusione di essere qualche metro in più vicino al sole. Il soppalco anni fa era il regno di Pinnie e Rizlo, amici dai tempi del liceo. Motori di casapace e polmoni rivestiti in THC. Mi sento solo. Ho una camera bellissima. Ho perso i miei amici. Ho una camera bellissima. Devo darmi una mossa con il dottorato. Ho una camera bellissima. Non ho un cazzo da mangiare per stasera. Ho una camera bellissima.

Limerick "OO"

 
contento davvero io appena fatto
giù disceso nel water ratto ratto
è lungo digerire
un pasticcio da dire
alfine son libero, mentecatto.
 
 
 

Io

T'inclino le ore del tempo
e se scrivo corrispondo a un fabbisogno
Testina dolomitica, dicevi
fortuna tua, dicevo
 
Sfiora il vento le piante del mio orto
e tu
che mi guardi mentre le curo
e pensi soltanto a come farmi l'amore

A casa del mio ego

Stava nella sua poltrona quasi atono
il bambino di sempre che nello ieri continuato
della nascita mi trovò

quella strana meta

alle sue spalle la luce misi
appesi l'ombra
e con i denti
tenni dura
a morsi
la speranza .

ai ricchi la ruota a noi la pala

noi  saremmo miseri,
 ma del tempio
  ricordiamo
lo tzunami
 
ergo sum
 
nessuno imiti
 
nella coscienza giace
il filo della costanza
 
capaci nel blatero
alteri di vissuto
infantili controlliamo
 
 un nuovo giocattolo 
e le righe che un quattro ruote
 lascia nella polvere
 
euridipendenti
 
da chi doniamo stracci
vorremmo inchini
nel gesto
di pretesa
mostriamo
indifese terga ai vili
e
incassiamo il capo
 
nell'apparenza.
 
can camminì
dammi la tua coda
per cancellare le tracce
 
e  sostienimi,
 
dentro la luce che scolora
voglio ritrovar decoro e grinta
per 
non perdermi nel sonno
 
 

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