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Efesto o la solitudine dell'artigiano

Scintille lampi faville
la mazza sull'incudine forgia
la forza del braccio che spinge
un colpo poi un altro poi un altro
si sbalzano l'oro ed il ferro
pronti ad epiche gesta.

Ed ecco le armi di Achille
l'elmo di Hermes, l'Egida di Zeus
: tutte opere del dio deforme
il dio artigiano, Efesto lo zoppo
deriso e tradito.

Cadde per nove giorni e nove notti
dopo che il padre Zeus
lo scagliò giù dall'Olimpo,
cadde qui a Lemno il dio.
Noi gl'insegnammo l'arte della forgia
e lui divenne il più grande.
Efesto è la perfezione del gesto,
l'orgoglio dell'opera fatta.

Ma è solo, il dio, e negletto.
Sfoga nella fucina le sue lacrime,
le gocce sfrigolano sull'incudine
e scivolano, si perdono
negli sbalzi dell'oro e del ferro.

Gli automi che lo circondano,
loro, tacciono
:
nessuno lo vede, il suo dolore.

 

Alle quasi notte

Non doveva avere assalti
in questo mezzo tempo a misura di campanule
a bolla di caligine
la città ch’evade dalla mente
trattando fughe al tornasole.
 
Fanali come fermi i vigili
non multano la doppia fila delle luci:
sono bigoli le attese
alle quasi notte.
 
Stanno sulle rive della pozza questa sera
dove andare somiglia civilmente ad un passo
di caucciù, ma se viene suadente
per lo specchio
si rifaranno lune le cicale cittadine:
le Nine, le Pine, Le Gine e le altre;
di cui il nome nei titoli di coda al sonno.
 
Non Giovanni,
quasi antico
come chi nasce dalle rose.

Il Gazebo

S’accorse di aver cliccato inavvertitamente con il dito pollice, o forse con un’intenzione partita da un inconscio che non aveva fatto in tempo, o voluto, controllare, sul tastierino in basso a destra del Motorola stretto longitudinalmente tra le dita.
Aveva lasciato scorrere più volte la piccola camera, nelle prime ore del pomeriggio dopo avere mangiato un panino al bar-mensa dell’ospedale ed aver letto tre quotidiani, su giardini pieni zeppi di siepi e parcheggi ai lati, e mancanti di aiuole, per documentare, insieme allo squallore di una totale assenza di colori vivi naturali, la similitudine con lo stato d’animo che quel giorno, e in quell'ora, lo stava soffocando.
Attendeva di conoscere l'esito di un intervento operatorio che si andava prolungando oltre il previsto e, impaziente com'era, avrebbe desiderato quasi che la natura gli avesse voluto anticipare, con il suo rigoglio, un segno benevolo e comunque di speranza.
Arrivato all’altezza dell’unico gazebo del prato circondato da padiglioni di cemento vivo, era rimasto colpito dall’improvvisa macchia azzurra che gli aveva invaso l’obiettivo e l’occhio, quasi una fastidiosa puntura di un insetto che avesse voluto arrecargli un ulteriore danno.
Andrea abbassò il cellulare fino al petto, per rendersi conto se fosse la rifrazione o l’insetto veramente, e rimase a guardarli ad occhio nudo.
Era un’intera famiglia, una famiglia probabilmente nordafricana, o indiana.
Dalla ventina di metri da cui li stava osservando non avrebbe potuto dirlo con certezza., poi invece pensò, magari sono pakistani. La donna che aveva dato colore alla camera del cellulare difatti, vestiva una specie di sari e gli uomini seduti in circolo sulle panche, coi bambini e tre donne più anziane, vestivano vesti lunghe fino ai piedi di un bianco sporco e sulle labbra portavano mustacchi importanti.
Andrea pensò ancora, deve essere la figlia, perché nessuno dei due uomini aveva i mustacchi color bruno.
La donna in piedi stava distribuendo sul tavolo circolare, tirandoli fuori con cura da sacchetti di plastica ad uso alimentare marchiati coop, sacchetti di carta bianca grandi e piccoli, e due pile di piatti e bicchieri, di plastica lattea.

Sto

In questo silenzio del cuore
che sa di te
io sto
E ricordo le carezze di labbra
e di baci la pioggia
Come un continuo scrivere "Ti amo"
nel mio respiro sconnesso
Attenderti
Tu, luna nuova dentro il mio mare d'Inverno

desideri

Ogni pensiero, ogni respiro della notte, ogni raggio di sole, ti penso e non vorrei.. non potrei.
Sei il mostro del mio incubo da cui non vorrei mai sfuggire, il mio primo volo libero carico di energia e voglia di amare... senza catene, ... ma mi infrango contro un duro muro di cristallo,... perché?
Ti penso e non vorrei, Ti voglio... non dovrei...

Il peccato

Il peccato scampato ai santi insegnamenti
- non spingere il passo che ti fa sbagliare -
resta impigliato tra cuore e coscienza

Pensiero musicale

Una vibrazione che sempre mi salva...
la mia musica che vibra e pizzica la pelle sollevandola con un brivido.E cosi vorrei innamorarmi...
Sarebbe come accogliere dentro di me qualcosa di nuovo.Una filo invisibile che prenda origine da lontano,oltre i miei spazi comuni,da località sconosciute e che riesca lostesso a raggiungermi.Lascerei che quella melodia lenta pizzichi le mie emozioni più nascoste e pian piano risolga fra le punte delle  mie labbra.Ne farei canzone,colonna sonora della vita di due anime destinate a sposarsi.Sarebbe come vivere  per la prima volta.Sarebbe come amare per la prima volta...
Sento già che una nota si perpetua nella mente,suona in me quasi familiare...come se qualcuno me l'avesse già cantata.Un angelo?Un salvatore?...
Questa nota che pian piano si fà sempre più chiara mi culla come quando ascolto la  musica più cara.E' un regalo che non è fatto di immagini,nè di carne,ma ha la forza di attraversare spazi e catapultarti dentro la tua emozione,in quel mondo fatto di solletico brividi palpiti...
Ti senti al sicuro,senti che nessuno può farti del male come se una calda coperta fosse sufficiente a difenderti dalle minacce di una realtà impastata di minacce e violenza.

Sconnessione

pensavi guadagnare la chiarezza?
la vita imita sempre più il sogno
nelle sconnessioni avanti con gli anni
 
ti coniughi ad un presente che s’infrange
dove l’orizzonte incontra il cielo:
e ti sorprendi a chiederti chi sei
oggi da specchi rifranto
e moltiplicato
mentre il tempo a te ti sottrae
<<<

Primavera

Non andrò questa sera al cimitero.
Non è forse spuntata sull’edera
Una cimetta chiara, allegra, guizzante,
com’erano i tuoi occhi quando scherzavi?
La piantammo insieme quest’edera
accanto al muro del giardino.
E io ti senti qui, in questo verde-chiaro.
non sotto quel sasso scuro.
L’opaca-scintillante polvere del cosmo
che tutto ha formato
l’ha certo presa anche dal tuo cuore
la forza che sospinge quelle foglie.
Non ci andrò, questa sera;
io li ho qui, i tuoi ricordi:
le foglie nuove del nostro giardino,
gli occhi d’oro del cane volti al cancello,
( lui non conosce le parole “mai più”)
le tue carte disordinate
un biglietto con tre parole.
Io non andrò più al cimitero.
Perderei quel po’ di speranza che mi rimane
di poter vivere ancora
e morirei anch’io.
 
Maria L. Agnisetta Prodon

Delenda mafia

Ho grovigli di spine, dentro
buchi di pallottole vaganti
scudisciate d'Etna sulla carne
sollevano la pelle agli innocenti.
Un gregge malinconico ci vive
asserragliato in arabesche mura
tra verdi giardini a frutti d'oro dove
la fragranza delle zagare cattura.
Subisce lo strazio d'ogni giorno
di gente, eppure son di loro
che laida preda ricchezze, pure il sonno.
Vetusta la malia che s'è incarnita
nell'anima dei più, la codardia
che cela con la facciata calcinata
il distacco dalla vita più impegnata.
Ahi quante volte al tremebondo
labbro, sentii voglie di riscatto
proferite a stento ma, il luccichio
dell'armi sfoderate a tempo
rintuzzò ogni coraggio, rimandando
al dì di poi ogni proponimento.

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